Dakar 2014, Rest Day. Riposo necessario, per riflettere

Dakar 2014, Rest Day. Riposo necessario, per riflettere
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La giornata di riposo è sempre servita per rigenerare un poco di energie da riversare in un serbatoio ormai vuoto. Quest’anno è un giorno indispensabile per mantenere in vita la corsa, troppo selettiva e nel modo sbagliato | <i>P. Batini</i>
12 gennaio 2014

Salta, 11 Gennaio. Lo abbiamo visto nella Storia, ci sono state edizioni della Dakar sopraffatte dalle difficoltà, rese infernali e davvero impossibile dal tenore di un programma diabolico e dalla recrudescenza di situazioni ambientali portate al parossismo. Quando Thierry Sabine decise di far attraversare il Ténéré alla carovana della Dakar, intendeva mettere i partecipanti di fronte ad una situazione limite e inedita, basata sulla solitudine e l’indecifrabilità del luogo.

Nel Ténéré non ci sono dune impossibili, e tanto meno fiumi di fango da attraversare. È una distesa di sabbia piatta e abbacinante, priva del ben che minimo riferimento, affascinante ed essenziale, come l’oceano. I concorrenti avrebbero dovuto attraversarlo immaginando di raggiungere un punto quasi teorico, rifornirsi, di lì prendere un’altra direzione e finalmente, dopo aver viaggiato con l’impressione di aver fatto girare le ruote sui rulli con uno sfondo immutabile, uscirne.

Dispersi nel nulla

Parliamo di un’area dell’estensione di 400.000 Km2, dove puoi fare 1.000 chilometri senza vedere nulla se non un vecchio copertone corroso dal sole, o la carcassa di un camion, o un camion… guasto con 100 persone a bordo che attendono da giorni che arrivi da Agadez il pezzo di ricambio. I Piloti della Dakar dovevano attraversarla con l’aiuto di carte e bussola, nient’altro, e le carte lì non servivano a nulla. Oggi è una situazione difficilmente immaginabile. Accendi il GPS, inserisci i punti, in ogni momento sai dove sei, e lo strumento restituisce l’immagine virtuale del movimento e della direzione reali. Quella volta, era la prima volta, era difficile anche soltanto avere la certezza di procedere in linea retta, e arrivò una tempesta di sabbia che cancellò totalmente, insieme alla visibilità, anche questa possibilità di sensazione, per quanto potesse essere rassicurante o utile. La corsa piombò nel caos, tre tappe vennero neutralizzate, e una quarantina di concorrenti furono dispersi per quattro giorni. Davvero sembrò che la storia della Dakar si fermasse lì per sempre.

The show must go on

Ma la corsa andò avanti, per ordine di Thierry Sabine. Andò avanti lo show, sotto la direzione dei “subalterni” dell’organizzatore unico, e Sabine tornò indietro per tre giorni, rastrellando il deserto palmo a palmo, con la caparbietà, la risoluta determinazione e l’elicottero che tre edizioni più tardi gli sarebbero costata la vita, per recuperare tutti i suoi Piloti, lanciando acqua e viveri, istruzioni, raccogliendo quelli allo stremo. Si salvarono tutti, e la corsa riprese più tardi, anzi, non si fermò realmente mai. 1983, Chirfa, Dirkou, Agadez.

La corsa andò avanti, per ordine di Thierry Sabine. Andò avanti lo show, sotto la direzione dei “subalterni” dell’organizzatore unico, e Sabine tornò indietro per tre giorni, rastrellando il deserto palmo a palmo, con la caparbietà, la risoluta determinazione e l’elicottero che tre edizioni più tardi gli sarebbero costata la vita


31 anni dopo, gli stessi giorni, nel deserto Argentino tra Chilecito e San Miguel de Tucuman, 300 chilometri in linea d’aria, Eric Palante è rimasto per sempre imprigionato nel suo sogno dakariano, privo di vita non lontano dalla sua moto. Non ha troppa importanza di cosa si muore, quando si muore. La morte può essere istantanea in un incidente, rapida per un infarto, un collasso, la puntura di uno scorpione, una lunga agonia per un cancro. Si può fare o no, molto o nulla, si può arrivare in tempo e salvare, o non avere neanche il tempo di muoversi. Il fatto è che, se una persona non scompare, si sa molto presto quando e dove è stata vittima di un destino.

Quando la realtà venne a galla

Eric Palante, invece, dopo essere stato registrato alle ore 11:13:31 al passaggio del way point numero tre della speciale, ed essere scomparso dai monitor che seguono la corsa basandosi sui passaggi dai wp, non è stato mai stato visto passare al wp 4, ed è stato trovato morto dall’equipaggio Camion scopa, lo ha comunicato ufficialmente l’organizzazione, alle 08:30 del mattino successivo, al chilometro 143, non distante dal wp3. Ancora, ogni pilota ha uno strumento Iritrack montato sul mezzo di gara, e l’organizzatore può seguirne in tempo praticamente reale, dipende dall’intervallo di rilevamento, ogni movimento. E ogni sosta e il tempo di quella sosta. Attraverso lo stesso sistema di sicurezza il Pilota può allertare l’organizzazione, e l’organizzatore può mettersi in contatto con il Pilota. Ma la cosa importante è che la posizione e il movimento, o l’arresto, sono chiaramente rilevabili su tutto l’arco della prova.

La quinta tappa è degenerata per le difficoltà che Piloti e mezzi in gara hanno incontrato nella prima parte della Speciale, tanto è vero che la Tappa delle moto è stata poi interrotta al KM211 e quella delle auto al CP1. Non è un fatto improvviso o derivato da circostanze imprevedibili, come la tempesta di sabbia, ma la conseguenza di quell’accento che gli organizzatori avevano voluto dare a questa edizione. Il caldo, la sabbia molle, un waypoint introvabile per moltissimi concorrenti, le moto bruciate e i Piloti persi che girano in tondo, la distrazione di una manifestazione di lavoratori che avevano picchettato il passaggio a Tucuman, lo scorrere rapidissimo del tempo, il sole alto e implacabile, poi il tramonto, la notte, l’alba per molti, la notte eterna per Eric Palante, il cui “corpo è stato trovato alle 08:30” del mattino successivo. Giorni fa dicevamo che l’elastico era stato tirato un po’ troppo.

Giusto dunque hotel, pranzi, sonno e relax, road book con calma, briefing e procedure doganali per la Bolivia, una visita a Salta, la ricerca di Piloti non visti da una settimana perché troppo avanti o troppo indietro. Ma sarebbe giusto che questa giornata di riposo fosse stata dedicata almeno in parte alla riflessione

Chiamalo, se vuoi, destino

Io penso che la morte sia sempre legata ad una qualche forma di fatalità ineluttabile, improvvisa, indotta, incrociata, anche cercata, e che molte volte si può mettere insieme una vita di indizi che si accoppiano perfettamente all’attimo fatale e appaiono all’improvviso rivelatori. Penso anche che per dare e darsi delle risposte, e per giudicare, bisognerebbe avere la facoltà di raccogliere tutti, dico tutti gli elementi utili a comporre quella verità che regge l’autenticità del giudizio.

Ma dal momento della notizia non ho smesso di pensarci, e per tutto il giorno di riposo della 34ma Dakar, mi sono fatto una serie infinita di domande e dato infinite risposte, e nessuna mi appare soddisfacente. C’è un buco nero di molte ore, fino a quelle 08:30, che si ingoia tutte le ragioni.

Giusto dunque hotel, pranzi, sonno e relax, road book con calma, briefing e procedure doganali per la Bolivia, una visita a Salta, la ricerca di Piloti non visti da una settimana perché troppo avanti o troppo indietro, il bucato e la crema di fissan. Ma sarebbe giusto che questa giornata di riposo fosse stata dedicata almeno in parte alla riflessione, e sarebbe più che giusto, obbligatorio, che gli organizzatori l’avessero fatto. Solo così la Dakar, non questa soltanto del 2014, può andare avanti.

 

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