Dakar 2013: per alcuni è già arrivata la prima notte nel deserto

Dakar 2013: per alcuni è già arrivata la prima notte nel deserto
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Sembra difficile a credersi ma dopo solo quattro tappe per qualche pilota della Dakar 2013 è già arrivata la prima "notte nel deserto". Un'esperienza allucinante, spesso carica di sofferenza ma anche di intelligenza tattica | <i>P. Batini</i>
9 gennaio 2013

Arequipa, 8 gennaio. E… 9 gennaio. La Dakar 2013 ha già cominciato a far soffrire i suoi… figli. È tornata a quel genere di epopee che l’hanno ingigantita nell’immaginario collettivo dispensando sofferenze e cinismo, sin dall’inizio. Anche se all’inizio la Paris-Dakar non poteva definirsi cinica, per il semplice fatto che neanche il suo ideatore, Thierry Sabine, poteva immaginare sino a quale girone del suo inferno si sarebbe spinta la sua creatura.

 

Oggi l’esperienza degli organizzatori, affinata in decenni di “sperimentazione”, può distribuire la “cattiveria” in modo misurato, stabilire a priori, e con un basso margine di errore, la dose di difficoltà che i concorrenti incontreranno durante questa o quella tappa.

Premesse confermate: una Dakar difficile da subito

Avevamo previsto, come probabilmente la maggior parte dei Piloti, che sarebbe stata una Dakar difficile da subito, in special modo perché in Perù, ovvero in tutta la prima parte della gara, le piste erano state “collaudate” lo scorso anno, e ritenute buone per questa edizione senza smussare alcun angolo. 

 

Il risultato è sotto gli occhi di tutti: un’edizione senza mezzi termini molto selettiva. Neanche un terzo di gara e sono già fuori un paio di dozzine di moto e di auto, sei Quad e 4 Camion, e altri Piloti sono già con il fiato cortissimo. Non solo debuttanti e inesperti, ma anche “vecchie volpi” e atleti al di sopra di ogni sospetto.

Un’edizione senza mezzi termini molto selettiva. Neanche un terzo di gara e sono già fuori un paio di dozzine di moto e di auto, sei Quad e 4 Camion, e altri Piloti sono già con il fiato cortissimo

Il significato di una "notte nel deserto"

Quello che non volevamo immaginare è che sarebbe arrivata così presto la prima "notte nel deserto", quella pagina dell’esperienza dakariana che segna un altro spartiacque dell’avventura, questa volta nel senso della sofferenza. Non arrivare al bivacco è molto triste, perché coincide con la fine dell’avventura, ma arrivarvi molto tardi o, come in molti casi, il giorno dopo, magari appena in tempo per la partenza della tappa successiva, è un’esperienza allucinante.

 

 È una chiara dimostrazione di irriducibilità e di forza di volontà, ma è anche l’inizio di una china che può essere pericolosa. Una notte di sonno sottratta al piccolo bilancio preventivo di riposo è l’inizio di un circolo vizioso di fatiche indicibili. Tutte le operazioni e le cose da fare arrivano implacabili e sembrano sommarsi senza tregua o interruzione, mentre la mente perde parte della sua lucidità. 

Ricavare il massimo da una disavventura

Entrano in gioco automatismi non dissimili da quelli innescati dall’istinto di sopravvivenza. Raramente chi ha passato una notte nel deserto può dire di aver potuto riprendere la gara più difficile del Mondo in condizioni non dico ottimali, ma almeno “normali”. Solo in taluni casi, eccezionalmente favoriti dalle circostanze, la “notte nel deserto” può diventare un piccolo capolavoro di freddezza e di intelligenza tattica

 

È il caso di quei Piloti che decidono di fermarsi e di sfruttare la notte per riposare, rimandando la fine della tappa alle prime luci del giorno dopo. Correre (si fa per dire) e navigare di notte, soprattutto sulle piste di sabbia e tra le dune in fuoripista, è praticamente impossibile. Si possono passare delle ore per coprire solo pochi chilometri, non arrivare comunque e sfinirsi fisicamente. 

Correre (si fa per dire) e navigare di notte, soprattutto sulle piste di sabbia e tra le dune in fuoripista, è praticamente impossibile. Si possono passare delle ore per coprire solo pochi chilometri, non arrivare comunque e sfinirsi fisicamente

 

Accade allora che il Pilota decida freddamente di fermarsi. Calcola il tempo “teorico” che gli serve per arrivare a destinazione, punta la sveglia, si avvolge nella coperta di alluminio della dotazione di sicurezza obbligatoria, manda giù i resti della razione di cibo (obbligatoria anch’essa), conserva l’acqua calcolata necessaria per finire la tappa e si addormenta. Molti piloti hanno “salvato” così la loro Dakar.

Un tempo i piloti erano veramente dispersi

C’è da dire che le circostanze che permettono di agire in questo modo sono particolari, e dipendono dalla distanza dalla fine della tappa e dalle difficoltà, dalle condizioni del mezzo… e dalla capacità di gestire emotivamente una situazione tutt’altro che abituale e confortevole. La sola differenza che esiste tra una notte alla Dakar degli “eighties” e di oggi è che prima al bivacco le notizie sui “dispersi” erano sempre poche o nulle, e le possibilità di intervento ridottissime e circoscritte all’attività dei Camion Scopa, mentre adesso, nel ventre dell’aereo o del camion PC Course, il Posto di Controllo, c’è un addetto che sorveglia i monitor 24 ore su 24, se necessario, ha la posizione dei concorrenti, li “vede” e ne interpreta condizioni ed intenzioni. E nel caso, naturalmente li lascia dormire.

 

Non siamo arrivati ancora a queste condizioni, nella Dakar che si corre in questi giorni (di solito l’extra è riservato alla tappa che precede la giornata di riposo) ma qualcuno la sua notte nel deserto l’ha già passata, ed in ogni caso la quarta tappa si è conclusa, per molti, molto, molto tardi (o presto la mattina successiva).

 

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