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182 moto, 39 quad, 156 auto e 75 camion passano, con i rispettivi Piloti ed equipaggi, le ultime verifiche tecniche a Lima, prima di entrare in Parco Chiuso ed attendere, con un’impazienza ormai al limite di tenuta delle valvole, che scattino le ore 08:00 del cinque gennaio.
La Dakar è un'invasione di piloti e mezzi
Sono una marea di mezzi, e un oceano di piloti e co-piloti che fremono in riva al Pacifico, pronti a scatenare l’inferno della 34ma Dakar Perù-Argentina-Cile. In totale, in sella, nell’abitacolo o in cabina suonano come 750 persone. Se le distribuissimo sulla lunghezza media di una tappa della Dakar, 600 chilometri, ogni frazione sarebbe “coperta” da un uomo ogni 800 metri.
Un esercito di combattenti che ricorda il Camino degli Inca, lungo un tracciato che riesce ad evocare lo scenario di un’invasione, questa volta per fortuna pacifica. Per non parlare del “personale” di supporto dell’armata, che conta forze logistiche, mediche, sportive, mediatiche, televisive e giornalistiche, di approvvigionamento e distribuzione del cibo per l’intero esercito, l’impianto dell’organizzazione, e quelle specifiche di ogni battaglione o pattuglia, che ogni Team ha deciso di schierare sulla base delle rispettive strategie e possibilità economiche. Tutto e tutti sono arrivati via mare, via terra o in aereo. È una vera e propria invasione, e questa è l’idea che ci possiamo fare per quantificare l’importanza e l’impatto di un evento come la Dakar.
“Nessuno, o pochi a meno di non essere coinvolti più o meno direttamente, ricorda i nomi dei secondi o dei terzi. È una regola spietata della Dakar, eroi vincitori da una parte, e altrettanto eroi, ma sconfitti, dall’altra”
Solo pochi arriveranno al traguardo finale
Ogni uomo corrisponde a un nome e, di tutti i nomi che costituiscono l’elenco sterminato dei partecipanti, solo pochi arriveranno a Santiago per incidere il proprio sulle tavole della Dakar, accanto ad un titolo che vale un anno di Sport. Un vincitore per le moto e i quad, due per le auto, tre per i camion.
Lo scorso anno, alla fine della 33ma Dakar, a scrivere il proprio nome sull’albo d’oro erano stati Cyril Despres (KTM), Alejandro Patronelli (Yamaha), Stephane Peterhansel e Jean Paul Cottret (Mini All4 Racing) e l’equipaggio Gerard De Rooy, Darek Rodewald, Tom Colsoul vittorioso con l’IVECO. Nessuno, o pochi a meno di non essere coinvolti più o meno direttamente, ricorda i nomi dei secondi o dei terzi. È una regola spietata della Dakar, eroi vincitori da una parte, e altrettanto eroi, ma sconfitti, dall’altra. Per la maggior parte di questi ultimi il risultato è una questione privata, legata per lo più alla riuscita della sfida personale, che coincide con il portare a termine la maratona, più spietata ancora delle sue regole.
I regolamenti modificano di tanto in tanto la Dakar, per riequilibrare la corsa e le chances, e soprattutto per contribuire instancabilmente a un decente livello di sicurezza. Dicono anche per contenere i costi di acquisto, allestimento, sviluppo dei mezzi e quindi di partecipazione, ma questo è un discorso più delicato, poiché le cose non funzionano esattamente così. Talvolta i regolamenti sono adattati e rivisti in funzione di fatti e realtà non trascurabili, a volte anche solo per questione d’immagine e di spettacolo.
Robby Gordon e il suo Hummer H3: il "Ribelle Americano"
È il caso, per esempio di Robby Gordon, il “Ribelle Americano” che, con il suo Hummer, ha riempito youtube di video pazzeschi, che ha vinto tre tappe lo scorso anno (e nel 2009 ha terminato la Dakar al terzo posto), ma che alla fine della scorsa edizione è stato preso praticamente a calci nel sedere ed escluso dalla corsa, squalificato per aver “barato” nel configurare il proprio mostro arancione. Alla fine dell’estate ASO, l’organizzatore, e Gordon si sono ritrovati per ri-discutere la partecipazione dell’americano nell’atelier di quest’ultimo a Charlotte, nella Carolina del Nord.
“È il caso, per esempio di Robby Gordon, il “Ribelle Americano” che, con il suo Hummer, ha vinto tre tappe lo scorso anno (e nel 2009 ha terminato la Dakar al terzo posto), ma che alla fine della scorsa edizione è stato preso praticamente a calci nel sedere ed escluso dalla corsa, squalificato per aver “barato” nel configurare il proprio mostro arancione”
Finalmente, ai primi di dicembre e dopo alcune sessioni di pre-verifica di quello che esteriormente sembra proprio un Hummer H3, Gordon è stato perdonato e riammesso. Il Bad Boy sostiene di aver i mezzi per vincere e, a parte una certa platealità caratteristica dell’Uomo, non c’è dubbio che il Team americano, in parte aiutato dalla modifica al regolamento che riequilibra i diametri massimi delle flangiature di ammissione dei motori delle auto, ha le carte in regola per dire la sua.
Carlos Sainz e Nasser Al-Attiyah: qualcosa di più di un'attrazione
Più in generale, la questione della flangia, l’autorizzazione all’utilizzo di sistemi centralizzati di gonfiaggio (e sgonfiaggio), e le caratteristiche generali del percorso, aprono nuove prospettive alle due ruote motrici e ai buggy, allargando di fatto il fronte di prima linea della gara delle auto. È così più che giustificato il ritorno, seppure anch’esso definito molto avanti nella stagione, di Carlos Sainz e di Nasser Al-Attiyah a bordo di un Buggy preparato appositamente per il Team di quest’ultimo.
Il “Matador” (nickname che l’asso spagnolo ha guadagnato con la doppia vittoria nel Mondiale WRC degli anni 1990 e 1992) e il simpatico, bravo e gentile Pilota (nonché medaglia di bronzo nello skeet a Londra) del Qatar, hanno vinto una volta ciascuno la Dakar, rispettivamente nel 2010 e 2011 e, riuniti all’ultimo momento nel Team sponsorizzato Qatar e Red Bull, costituiscono qualcosa di più di un’attrazione. Il loro Buggy, allestito dallo specialista Demon Jefferies su specifiche Al-Attiyah, non ha “girato” molto, e quindi passa direttamente dalla fase progettuale alla corsa con il grosso handicap di un’evoluzione probabilmente insufficiente, ma è certo che, al netto della verifica sulla distanza, si presenta come un outsider da rispettare e tenere d’occhio.
“È così più che giustificato il ritorno, seppure anch’esso definito molto avanti nella stagione, di Carlos Sainz e di Nasser Al-Attiyah a bordo di un Buggy preparato appositamente per il Team di quest’ultimo”
Giniel de Villiers: il sudafricano è in gara con un pickup Toyota
Il fronte allargato degli aspiranti al titolo della gara delle auto non può prescindere da un altro vincitore della maratona, Giniel de Villiers, dominatore nel 2009 e apripista dei tre anni di fuoco della imponente campagna Volkswagen (poi chiusa in favore di una riconversione al WRC).
Il sudafricano è in gara con un PickUp Toyota ed è anch’esso “avvicinato” all’élite della corsa dai nuovi regolamenti, e non c’è dubbio che tra le doti migliori De Villiers può annoverare l’arte di sfruttare al massimo l’assetto tecnico che ha a disposizione (il terzo posto dello scorso anno ne è la conferma più evidente).
Stephane Petehansel: il grande favorito
Questa piccola rassegna di “candidature” importanti non è altro, però, che un pretestuoso preambolo di lusso per introdurre la figura che, più di ogni altra, rappresenta la Dakar, l’aspirazione a vincerla ed il “metodo” per farlo: Stephane Petehansel.
Il francese ha vinto lo scorso anno la sua decima Dakar. Sei ne aveva vinte in moto in sella alla Yamaha fino al 1998, tre con la Mitsubishi nel 2004, 2005 e 2007, e finalmente l’ultima lo scorso anno a bordo della Mini All4 Racing del Team X-Raid. La Squadra tedesca di Sven Quandt parte dunque con i favori del pronostico, non solo per la presenza del suo indiscusso fuoriclasse, ma anche per l’invidiabile stadio di sviluppo e di messa a punto della macchina, che sarà anche nelle mani dello spagnolo Joan “Nani” Roma (vincitore in moto nel 2004 e secondo nel 2012), del russo Leonid Novistkiy e del polacco Krzysztof Holowczyc.
“Peterhansel ha vinto dieci volte, sei in moto e “solo” quattro in auto, ma non c’è nessuno che ha il coraggio di dire che il super asso francese si fermerà soltanto quando avrà completato la sua dozzina”
Più del palmares incredibile di Stephane Paterhansel, peraltro abbondantemente eloquente, basta conoscere un minimo il fuoriclasse francese per metterlo in testa alla lista dei favoriti, e con una certa sicurezza. Peterhansel, giovanile ma serioso 47enne di Vesoul, Alta Saone, dice di essere vicino alla “pensione”, ma intanto il suo contratto con il Team non è di quelli in scadenza.
Peterhansel considera con rispetto i suoi avversari, e con obiettività il nuovo assetto regolamentare che “allinea” un poco le possibilità di un maggior numero di pretendenti, ma non risparmia le sue frecciate a Gordon e riconosce nella determinazione e nel lavoro di Sven Quandt il considerevole vantaggio acquisito.
Peterhansel ha vinto dieci volte, sei in moto e “solo” quattro in auto, ma non c’è nessuno che ha il coraggio di dire che il super asso francese si fermerà soltanto quando avrà completato la sua dozzina. Ricordiamoci di questa ultima tesi, perché per quanto stravagante possa sembrare, illumina di concreto realismo la proiezione del risultato finale. Stephane Peterhansel è, infine e semplicemente, uno che “quando fa una cosa gli piace farla bene”…