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Le vendite di auto nuove in Russia nel mese di febbraio sono crollate del 37,9% rispetto all'anno precedente, scendendo a quota 128.298 unità. Un crollo provocato dalla forte svalutazione del rublo, mentre le sanzioni imposte per la crisi ucraina ha ulteriormente peggiorato la situazione economica generale.
Davanti a questo scenario, che non si prevede migliorerà nel breve periodo, alcune aziende automobilistiche stanno abbandonando quello che fino a pochi anni fa si prevedeva sarebbe diventato – secondo lo stesso Putin – il principale mercato dell'auto, davanti alla Germania.
La sudcoreana SsangYong ha annunciato di aver fermato le esportazioni in Russia dopo aver accusato un calo delle vendite superiore al 40% nel 2014. Ma ben più importante è stata la stessa decisione presa mercoledì scorso dalla General Motors. La Casa americana non solo ha stoppato l'export di alcuni modelli Chevrolet e dell'intera gamma Opel, ma ha fermato l'impianto produttivo di San Pietroburgo dove un migliaio di addetti costruiscono Opel Astra e Chevrolet Cruze. Dopo un avvio positivo, l'impianto è attivo dal 2008, la quota di mercato in Russia della General Motors è scesa nell'ultimo anno dal 9,3 al 7,4%: di fatto è dimezzata la quota russa nelle vendite globali GM, passando dal 2,6 all'1,3%.
Aver lasciato la Russia, sostengono gli analisti, verrà a costare alla General Motors qualcosa come 600 milioni di dollari. A tanto ammonterà compensare la chiusura dei contratti e incentivare le vendite degli stock. Oltre al fatto che perderanno il posto di lavoro un migliaio di persone.
«Nel mercato non rimane mai un vuoto - ha commentato Dimitrj Peskov, portavoce del presidente della Federazione Russa - quando una società abbandona ce ne sono altre che prendono il suo posto. E questo è negativo per chi se ne va nel momento in cui il mercato riprenderà».
Se GM ha preso questa decisione è anche perché in passato esistevano forti incentivi per chi investiva in Russia, mentre dal 2012 – da quando il Paese è entrato nell'organizzazione mondiale del commercio – ci sono state imposizioni sull'aumento del numero di veicoli prodotti e sull'acquisto della componentistica in loco. Politica che GM non avrebbe sfruttato al massimo e quindi patendo ora gli alti costi di importazione rispetto al rublo svalutato.
Altre case automobilistiche con siti produttivi nella Federazione Russa o meno, come Renault, Nissin, Ford e gruppo Volkswagen non sembrano intenzionate a seguire gli esempi di GM e SsangYong. Ma certo il rischio di vendere con margini risicatissimi, se non in perdita, esiste.