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Tecnologia, normative, inquinamento: sullo sfondo di un passaggio per certi epocale, quello dall'Euro 5 all'Euro 7, Fabio Giuliani, CEO di Bosch, l'azienda che più di tutte rappresenta l'avanguardia hi-tech nel settore automotive, ci spiega momenti-chiave e criticità di questa transizione. A partire dall'Europa e dalle sue strategie.
Ingegnere, è indubbio che i burocrati della Commissione abbiano trattato con i guanti gialli tutto ciò che favoriva le tecnologie innovative e le aziende che le producono. A scapito dei tradizionali motori. Quali secondo lei sono stati i trattamenti di favore delle norme Euro 5 e 6 nei confronti delle ibride? E quali nei confronti delle elettriche pure? Rimangono, questi vantaggi, nelle norme Euro 7 e perché?
Difficile dire se ci siano stati trattamenti di favore nei confronti di una tecnologia piuttosto che un’altra. Certo, la domanda pone il problema del corretto calcolo delle emissioni: questo andrebbe sempre fatto con le giuste premesse e soprattutto tenendo conto dell’intero ciclo vita, cosa niente affatto banale.
Data la complessità di questo approccio sono emersi addirittura studi che arrivano a conclusioni contrastanti. Una cosa però mi sento di dire chiaramente: certamente qualsiasi normativa dovrebbe essere la più neutra possibile e dovrebbe definire limiti per le emissioni, ma non barriere per questa o quella tecnologia.
Rispetto alle norme Usa, quelle europee (fino a Euro 5) apparivano più severe verso i diesel poichè colpivano con limiti molto bassi sia la quantità sia il numero delle particelle. Poi col dieselgate sono diventate severissime anche con gli ossidi di azoto. Qual è il suo punto di vista?
L’orientamento di abbattere il numero di inquinanti è non solo condivisibile, ma addirittura doveroso. Grazie alle normative che finora si sono succedute si è ottenuto un enorme progresso tecnologico dei motori e, di conseguenza, un notevole abbattimento delle emissioni sia di particolato sia di ossidi di azoto.
In particolare grazie all’applicazione dei test RDE (Real Driving Emissions) è stato possibile ottimizzare le stesse emissioni nei cicli di guida reali e quindi in condizioni più rappresentative della realtà. Nella costante rincorsa alla riduzione delle emissioni, comunque, il punto saliente rimane il giusto bilanciamento tra sviluppo e costo del progresso: come rimarcato di recente anche dal Ministro Cingolani, si tratta di valutare il costo degli effetti collaterali dell’innovazione per poter proporre una sostenibilità di lungo periodo.
Quanto la futura norma Euro 7 serve realmente a migliorare l’ambiente e quanto invece a demolire ulteriormente i motori a pistone?
Va detto intanto che la norma Euro 7 non è ancora stata definita: proprio in queste settimane se ne stanno discutendo bozze a livello comunitario. Certo, i contenuti che circolano al momento destano non poca preoccupazione, perché contengono possibili chiusure verso alcune tecnologie di propulsione - come il motore a combustione interna - che hanno già raggiunto prestazioni eccellenti anche dal punto di vista della sostenibilità ambientale.
I limiti posti da qualsiasi normativa dovrebbero essere tecnicamente raggiungibili e determinare un costo del prodotto ragionevole per il consumatore; il rischio che si corre al momento, invece, è quello di rendere la mobilità addirittura meno accessibile al consumatore medio, piuttosto che favorirne il processo di “democratizzazione”.
Esiste poi un altro fattore da considerare rispetto al tema dell’equilibrio: la bozza di norma, infatti, si basa anche su condizioni di prova estreme, come ad esempio la guida in salita con un elevato carico trainato e quella a basse temperature: condizioni che poco frequentemente si ritrovano nella guida di tutti i giorni. E, sempre in tema di equilibrio, va sottolineato che sbilanciare troppo la mobilità verso l’utilizzo di una sola tecnologia potrebbe causare contraccolpi rilevanti anche sul piano economico e sociale, visto il minore contenuto occupazionale di un veicolo elettrico rispetto ad uno alimentato a diesel o benzina.
Spesso i media e i politici sovrappongono i gas a effetto serra, come l’anidride carbonica, con i veri inquinanti nocivi alla salute. Per lei è più importante la CO2 o gli altri e quale in particolare?
Non vorrei fare una classifica di rilevanza: per noi il tema della sostenibilità è centrale nella sua interezza. Certo, in linea generale le cosiddette emissioni clima alteranti, quelle legate alla CO2, possono determinare nel tempo effetti sul clima anche su scala globale; gli inquinanti come NOx e particolati, invece, hanno effetti più circoscritti sulla qualità dell’aria.
L’obiettivo è in ogni caso quello di garantire il giusto contenimento di entrambi, e questo pone un tema di rilevanza molto ampia rispetto alle attività dell’uomo. Se pensiamo alle emissioni di CO2, infatti, va considerato che il traffico stradale ne è responsabile per circa un 20%: la maggior parte degli effetti di questo tipo proviene da altre attività quali la generazione di energia, le produzioni industriali o il riscaldamento, incluso naturalmente quello residenziale.
Tutto ciò per dire che parliamo di un tema complesso e dalle molte sfaccettature, che anche sul piano normativo andrebbe affrontato con una visione di insieme e di lungo periodo. E’ necessario un approccio consapevole, a partire dalla sensibilità necessaria per sentirsi ospiti temporanei su questo pianeta, capaci di muoversi con discrezione nella salvaguardia delle nostre stesse risorse.
Visto il peso della cosiddetta opinione pubblica, rispetto alle indicazioni della tecnica, è certo che ogni nuova norma comporterà un rialzo di prezzo per il cliente. Quale maggior costo industriale imporrà la Euro 7?
In assenza di una normativa definitiva non è possibile fare una stima precisa. Certo, se si dovesse proseguire con l’approccio fin qui proposto si rischierebbe fra qualche anno addirittura di non poter più omologare i motori a combustione interna con le tecnologie attuali (anche per i veicoli pesanti), il che comporterebbe dei costi addizionali soprattutto nelle fasce più basse del mercato.
La sostenibilità economica, nonché quella sociale, potrebbe però riguardare anche i già citati effetti occupazionali che le aziende del comparto potrebbero trovarsi ad affrontare nel volgere di pochi anni: un aspetto per nulla trascurabile, visto che il settore dell’auto nella sua interezza dà lavoro a quasi 15 milioni di persone in Europa, delle quali quasi il 10% in Italia.
Quale parte di questi costi andranno a beneficio dei fornitori di dispositivi antinquinamento? Qual sarà la differenza di costo per le Case - per ogni vettura prodotta - nel passaggio da Euro 5 a Euro 7?
Bisognerà approfondire i contenuti della norma una volta che sarà disponibile, nonché valutarne tutte le possibili interpretazioni che potrebbero far emergere economie di scala non pronosticabili allo stato attuale.
Il tema forse determinante in questo senso sarà proprio il comportamento dei consumatori: è difficile infatti dire oggi per quanto tempo ancora rimarremo lontani dal picco di 98 milioni di veicoli venduti, toccato nel 2017, ma è presumibile che la ripresa dopo un 2020 così atipico non sarà particolarmente rapida.
Il ruolo della corretta informazione è cruciale in questo senso: la mancanza di chiarezza e l’incertezza sul piano normativo determinano una posizione di stallo del mercato, per la semplice ragione che chi è in procinto di acquistare un’auto preferisce al giorno d’oggi temporeggiare.
La sua azienda fornisce dispositivi pensati per aiutare i motori a inquinare meno. Esiste un punto nel quale il costo di tale politica superi i vantaggi per l’ambiente?
Il professor Rubbia scrisse nel 2003 sul Corriere della Sera che le norme Euro 4, allora in procinto di entrare in vigore, avevano già comportato una riduzione tale degli inquinanti che ogni ulteriore passo avrebbe comportato costi non giustificati dai benefici. Non le sembra che oggi la scala delle priorità imponga di guardare ad altri settori per far sì che il gioco ne valga la candela?
Il passaggio all’Euro 4 rappresentò un primo grande momento di discontinuità nei limiti di emissione dei motori. Indubbiamente quel salto e i successivi ulteriori abbassamenti delle soglie hanno “sfidato” i produttori di tecnologie e nel tempo hanno consentito di abbattere drasticamente i livelli delle emissioni.
Si tratta ancora una volta di andare a fondo nelle questioni, con dati e fatti, e riflettere sul già citato equilibrio tra sviluppo del progresso e costo del progresso. Noi di Bosch abbiamo una esperienza che racconta del livello di sostenibilità ambientale raggiunto dalle attuali motorizzazioni: si tratta dei test effettuati in condizioni di guida ordinarie (RDE - Real Driving Emissions) che abbiamo condotto pochi mesi fa insieme a Mercedes a Milano e Roma.
Tra gli elementi più interessanti emersi nel corso dei test è risultato che, i valori medi delle emissioni di ossido di azoto e del numero di particelle allo scarico del motore Diesel Euro 6d preso in oggetto, fossero inferiori rispetto a quelli della vettura con alimentazione a benzina a iniezione diretta, pur rimanendo entrambe in una fascia decisamente al di sotto dei limiti delle attuali norme.
Molti ambientalisti hanno il vizietto di attaccare le nuove tecnologie additando comportamenti che dopo qualche anno si rivelano accuse infondate. Così è avvenuto per il FAP o filtro antiparticolato dopo la sua introduzione. Quali altri risultati sono emersi a favore del filtro nei vostri test?
Nel corso del test a Milano è emerso che, in presenza di un’alta concentrazione di particolato, come nel caso in cui ci preceda un veicolo particolarmente inquinante, la concentrazione delle polveri allo scarico è risultata fino a 2.000 volte inferiore rispetto a quella nell’aria circostante.
E’ forse eccessivo considerare i Diesel di ultima generazione come filtri per la pulizia dell’aria, ma andrebbe rivista in maniera radicale la reputazione di questo motore, che è invece un alleato importante nella transizione verso l’elettrico.
Fra l’altro nel corso del test non è mai avvenuta alcuna rigenerazione del filtro antiparticolato. Il che dimostra che questo processo, erroneamente considerato in passato come un importante picco di emissioni, comporta invece livelli di emissione molto contenuti, con un valore pari ad un quinto della soglia consentita.