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La scoperta dell’acqua calda? Forse sì, ma giusto ribadire: la possibilità di finire nella COVID per contagio all’aperto girando per strada sono basse, molto. Anche se si vive nel Bacino Padano, o in aree dove l’ambiente è molto inquinato e quindi da alcuni additato come vettore ("il PM diffonde la Covid”).
La concentrazione di elementi dannosi e particolato nell’aria non è qualcosa di buono, lo sanno bene in Piemonte, Lombardia, Veneto ed Emilia, ma lo studio condotto dai ricercatori di due istituti (Scienze dell’atmosfera e del clima del CNR e ARPA) toglie alcuni dubbi. Lo recente ricerca, tutta italiana, analizza le concentrazioni di Sars-Cov2 nell’aria di vari luoghi, partendo proprio dai reparti Covid negli ospedali. La sentenza: il coronavirus è più presente nelle case che negli ospedali e all’aperto sostanzialmente non c’è.
Non si deve interpretare come un “liberi dalla mascherina all’aperto” anzi. Però lo studio conferma che l’aria più “cattiva” in termini di concentrazione del coronavirus è potenzialmente nelle case. Una sentenza questa volta scientifica, con rilievi fatti sia in strada sia nelle case dei contagiati. Proprio nell’ambito domestico di persone contagiate, le concentrazioni di Sars-Cov2, sono le più consistenti. Nell’aria di casa di un soggetto positivo, si possono trovare fino a 40:50 copie genomiche del virus su metro cubo. Più che nei reparti Covid degli ospedali, sia per le attenzioni messe in corsia, sia per il ricambio dell’aria imposto. Quest’ultimo un fattore importante: ogni dieci minuti. Banalmente, all’aperto per le vie di Piemonte e Lombardia i ricercatori non hanno nemmeno rilevato concentrazioni significative, tali da generare un rischio di contagio, del Coronavirus.