Come funzionano i freni? Puntata 4, le supercar e le auto da corsa [Video]

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Alla scoperta degli impianti frenanti per auto oggi. Nelle vetture da corsa, la potenza frenante richiesta è massima: servono soluzioni estreme. Per le supercar, invece, spazio ai dischi carboceramici
24 luglio 2020

Sulle vetture destinate a una utilizzazione agonistica in pista le sollecitazioni sono massime. La potenza frenante richiesta è elevatissima e per ottenerla si impiegano soluzioni estreme, che prevedono anche l’impiego di materiali particolari.

I dischi dei freno sono in carbonio e vengono realizzati con una tecnologia molto evoluta, che consente di impartire al materiale una struttura particolare. In pratica si ottiene una matrice di carbonio rinforzata con fibre dello stesso elemento. La densità è dell’ordine di 1,7 kg/dm3, ovvero meno di un quarto di quella della ghisa.

Oltre ad avere un peso estremamente ridotto, di vitale importanza nelle auto da competizione, i dischi in carbonio hanno anche altre caratteristiche estremamente vantaggiose. Fondamentale è la possibilità di ottenere una potenza frenante elevatissima, e quindi decelerazioni impressionanti (fino a circa 5 g, nelle monoposto di Formula Uno!).

Inoltre i dischi in carbonio, sui quali agiscono pastiglie dello stesso materiale, possono lavorare a temperature molto alte, con un andamento del coefficiente di attrito che rimane praticamente costante. Il range di utilizzazione va da 300 a circa 700 °C, con picchi che possono sfiorare i 1000 °C.

Una efficace ventilazione, ottenuta con un gran numero di fori radiali di piccolo diametro, praticati rispettando tolleranze molto ristrette, assicura una adeguata sottrazione di calore. Nelle attuali Formula Uno i dischi anteriori hanno un diametro di 278 mm e uno spessore di 32 mm e i fori radiali sono ben 1400!

I dischi in carbonio vengono realizzati con un processo produttivo che richiede molto tempo (circa cinque mesi!). Si parte da un preform costituito da fibre corte di carbonio intrecciate e “ricucite” e, mediante le diverse fasi del processo si arriva al riempimento dei vuoti con carbonio fornito da un gas o da una resina liquida, cosa che avviene molto lentamente.

Le pinze devono offrire la massima rigidezza unitamente al minimo peso. Sono monoblocco e vengono ottenute per lavorazione meccanica dal pieno. Per quanto riguarda il materiale, da tempo sono vietati i compositi a matrice metallica rinforzati da fibre corte e i materiali contenenti berillio, elemento molto tossico. Ove ammesse dal regolamento si impiegano leghe alluminio-litio.

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Il materiale carbon-carbon non si addice però per l’utilizzo su vetture stradali, anche ad alte prestazioni, perché sarebbe praticamente impossibile poter garantire il mantenimento della temperatura nel corretto range di utilizzo: se dischi e pastiglie sono troppo freddi (ad esempio nel normale uso cittadino, o dopo percorrenza senza usare i freni), non si genera sufficiente attrito e la frenata risulta instabile, con elevata usura di tipo meccanico. Per contro, se il sistema dei condotti di ventilazione dei freni non fosse estremamente efficiente, durante la frenata o dopo frenate successive si raggiungerebbero livelli termici troppo elevati (con rischio che insorgano fenomeni ossidativi), deleteri per gli altri componenti dell’impianto e della vettura posti in prossimità dei dischi.

I dischi carboceramici si pongono in posizione intermedia tra quelli in carbonio, riservati alle monoposto di Formula Uno e ad altre serie Top Racing, e i migliori flottanti in ghisa. Sono adatti all’impiego stradale, forniscono prestazioni elevatissime, hanno un peso ridotto e una durata straordinaria. Gli spazi di frenata sono notevolmente inferiori a quelli ottenibili con i dischi in ghisa.

Prodotti con una tecnologia sofisticata, sono destinati ad auto eccezionali, dalle elevate prestazioni e di altissimo livello. Non si tratta solo di raffinati modelli stradali, ovvero “supercars”, ma anche di vetture da competizione. Questi dischi infatti forniscono eccellenti risultati quando vengono utilizzati in pista, necessariamente abbinati a un efficiente sistema di ventilazione sulla vettura.     

La ridotta densità del materiale si traduce in un peso notevolmente inferiore rispetto a quello dei dischi in ghisa di eguali dimensioni. La grande stabilità chimica impedisce che si verifichino problemi di corrosione e unitamente alla ridottissima usura assicura una lunga vita utile (di gran lunga superiore a quella che si ottiene con la ghisa).  

I dischi carboceramici possono lavorare a temperature molto elevate: 600 - 750 °C, con picchi iniziali fino a 1000 °C nelle frenate più aggressive. Inoltre non accusano variazioni del coefficiente di attrito durante l’impiego e non sono soggetti a distorsioni.

L’usura estremamente ridotta di questi dischi significa pure che è molto minore, rispetto ai dischi in ghisa, la quantità di particelle finissime che inevitabilmente vengono prodotte durante l’impiego a causa dello sfregamento contro il materiale di attrito.  

Il processo produttivo prevede varie fasi ad altissima temperatura, in atmosfera inerte e sotto vuoto parziale, e una impregnazione di silicio della struttura porosa in carbonio. Al termine si ottiene un materiale ceramico durissimo, costituito da una matrice a base di carburo di silicio rinforzata da fibre di carbonio.

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