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A sessanta anni dall’entrata in produzione e a quaranta dall’uscita, la “Citroën DS” è una miniera di spunti tecnici e anche di almeno uno storico. A partire dal nome, che poi è semplicemente una sigla cui segue un numero indicativo della cilindrata; ad esempio “DS 19” a significare un motore di 1,9 litri. La “DS”, nata dalle iniziali di “Désirée Spéciale”, passò subito nell’Olimpo grazie al fatto che la sigla pronunciata in francese suona l’equivalente dell’italiano “Dea”. Le appiopparono anche i soprannomi, legati alla sua linea, di “squalo” e di “ferro da stiro”. Quest’ultimo davvero improprio se vediamo le cose dal lato tecnico, cioè da quella montagna di novità rivoluzionarie che la caratterizzarono e che tuttora fanno parte degli standard di riferimento di qualsiasi nuova automobile. La “Dea” fu capace di imporsi anche in rally prestigiosi, come quello di Montecarlo già nel 1959.
Nacque con la “DS” la ricerca dell’aerodinamica funzionale, sempre inseguita dalle concorrenti e raggiunta solo negli anni ’80 dai modelli più avanzati dell’Audi
Dalla nascita della “DS” in poi, tutti i costruttori non hanno potuto prescindere dal fatto che un nuovo modello deve sorprendere in molti i sensi. La “DS” rappresentò innanzitutto una nettissima separazione stilistica dalla precedente “Traction Avant”, la gloriosa Citroën rigorosamente nera ed inesorabilmente datata che aveva comunque dimostrato l’efficacia della trazione anteriore e della scocca portante, oggi quasi universalmente adottate. Nacque con la “DS” la ricerca dell’aerodinamica funzionale, sempre inseguita dalle concorrenti e raggiunta solo negli anni ’80 dai modelli più avanzati dell’Audi. Parlare oggi di freni a disco (anteriori), servofreno, cambio automatico (più esattamente frizione automatica) sospensioni idrauliche e servosterzo è certamente una banalità ma a quei tempi erano meraviglie, da guardare anche con un certo sospetto.
Come tutte le “dee”, la “DS” aveva ed ha conservato un’aria di mistero tanto che non si è mai saputo con precisione quante ne siano state prodotte tra berline, coupé, familiari e fuoriserie; approssimativamente comunque circa un milione e mezzo. Ma che le sue rivoluzionarie sospensioni autolivellanti, realizzate con “bocce” metalliche entro cui olio in pressione ed azoto erano separati da una membrana elastica, abbiano salvato la vita al generale Charles de Gaulle, presidente della Repubblica Francese, è forse caduto nel dimenticatoio o addirittura non è mai stato sufficientemente conosciuto.
Si tratta dell’episodio noto come “l’attentato di Petit Clamart”, che seguiva di poco quello di “Pont sur Seine” entrambi finalizzati ad eliminare “le général”, reo di perseguire una politica anticolonialista di progressivo abbandono dell’Algeria, venendo a patti con lo FLN, il Fronte di Liberazione Nazionale. Sta di fatto che il 22 agosto 1962 la “DS 19” presidenziale in viaggio da Parigi verso l’aeroporto di Villacoublay fu mitragliata da più parti e finì sforacchiata (non era blindata) e con due gomme a terra. Tuttavia, agendo sulla levetta di livellamento delle sospensioni l’autista riuscì a prendere velocità senza sbandare e ad allontanarsi dal pericolo. Alcuni definirono l’attentato uno “spot” per la Citroën anche in considerazione del fatto che la Casa francese era famosa per alcune clamorose iniziative pubblicitarie.
Per la verità una parte non trascurabile la ebbero anche i pneumatici all’avanguardia della Michelin, Società all’epoca proprietaria della Citroën. A differenza di tutte le altre Case automobilistiche, la Citroën montava esclusivamente gomme prodotte a Clermont Ferrand. Per inciso anche gli attentatori, affiliati dell’OAS (Organizzazione dell’Armata Segreta), inseguirono l’auto presidenziale a bordo di una “DS” che poi riuscì a dileguarsi prendendo una via laterale. Con simili doti fuori dalla norma è quasi naturale che la “Dea” abbia manifestato attitudini soprannaturali e che sia stata scelta come vettura ufficiale della serie di film interpretati dal personaggio di “Fantomas”. Per l’occasione spuntavano due ali dal sottoscocca e si azionavano due motori supplementari a reazione sistemati al retrotreno e la “divinità” decollava per l’Olimpo.