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Secondo il Ministro, gli aumenti non trovano corrispondenza con gli aumenti del greggio e del gas. Nel primo caso si è passati dai 78 dollari al barile del 31 dicembre 2021 alla quotazione di oggi pari a 108 dollari al barile, mentre per il gas “non c’è un motivo per pagarlo 10 volte di più del normale”. Lo sfogo del Ministro - ovviamente condivisibile - non si capisce dove porti, dal momento che il primo ad avvantaggiarsi degli aumenti della materia prima e dei prezzi alla pompa è l’erario, che incassa oltre il 50% tra accise e IVA su ciascun litro.
Ora, è difficile immaginare di pagare benzina e gasolio (e metano, e gpl) come negli Emirati Arabi, ma a fronte di incrementi così forti un minimo di preveggenza ci poteva anche stare da parte dei ministeri che vigliano (e incassano) ai primi sentori di una crisi che ha radici lontane. In uno scenario diverso, si va riproponendo quanto accadde nel 2001, al momento del passaggio all’euro. Anche allora, chi ha potuto farlo, si è adeguato alla “nuova moneta” stabilendo la facile equazione 1000 lire = 1 euro. E il Governo non intervenne. E ora cosa farà il consiglio dei ministri?
Bisogna muoversi in fretta, stroncare sul nascere le bolle speculative con l’intervento della Guardia di Finanza presso le Compagnie petrolifere (praticamente tutte) che hanno indebitamente gonfiato i prezzi di carburanti pagati mesi fa. In Francia, senza perdere tempo in commissioni e assemblee, hanno ordinato un immediato ribasso sin da subito di 15 centesimi e hanno promesso a stretto giro la restituzione degli eccessi di introito fiscale con un'incidenza di 35 centesimi per litro.