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Nei motori moderni gli alberi a camme sono pressoché invariabilmente collocati nella testa. Nei modelli più performanti si preferisce la soluzione bialbero, con la quale vengono ridotte al minimo le masse in moto alterno relative a ogni valvola, ma non mancano certo gli esempi di distribuzione monoalbero, quando le esigenze sono meno spinte. Lo schema ad aste e bilancieri, con uno o due alberi a camme nel basamento, è da considerare ormai obsoleto, anche se trova ancora alcune applicazioni, generalmente di impostazione non recentissima.
Tre soluzioni
Per comandare gli alberi a camme, che devono ruotare con velocità dimezzata rispetto all’albero a gomiti, ai progettisti si offrono fondamentalmente tre soluzioni, che prevedono rispettivamente l’impiego di cinghie dentate, catene (a rulli, a bussole o silenziose) e ingranaggi. In diversi casi si possono adottare, ove ciò offra dei vantaggi, degli schemi “misti” o a due stadi.
Scelte: quali prediligere a seconda dei casi
In fase di progetto, allorché si deve scegliere quale organo impiegare per trasmettere il moto agli alberi a camme, si prendono in considerazione diverse voci, che possono avere una importanza diversa a seconda del tipo di motore e dell’impiego al quale il veicolo sarà destinato. Per i modelli di serie sono fondamentali una grande silenziosità di funzionamento, una elevata durata e un costo contenuto (in diversi casi, come ad esempio quando si tratta di motori motociclistici di alte prestazioni, occorre però anche fare i conti con l’ingombro). Per le realizzazioni da corsa queste tre voci non hanno praticamente importanza, mentre sono essenziali una robustezza a tutta prova (le sollecitazioni sono maggiori, per via dei profili delle camme più spinti e aggressivi e delle molle con carico più elevato) e una grande precisione nella trasmissione del moto.
La rotazione degli alberi a camme è irregolare, con un susseguirsi di fasi di assorbimento e di restituzione di energia a livello degli eccentrici (le molle delle valvole vengono prima compresse dalle camme ma poi si estendono, agendo su di esse). Pure la rotazione dell’albero a gomiti non è uniforme, per via degli impulsi che esso riceve dai vari cilindri, tramite le bielle, allorché hanno luogo le fasi utili. Questa situazione fa sì che le catene siano soggette a oscillazioni. La contromisura è costituita da efficienti sistemi non solo di tensionamento, ma anche di guida.
Cinghie dentate
Occorrono insomma degli efficaci tenditori (di norma a pattino arcuato) e dei pattini antisbattimento accuratamente studiati. Va da sé che una diminuzione della lunghezza della catena risulta vantaggiosa, sotto questo aspetto. Considerazioni analoghe valgono ovviamente anche per le cinghie dentate, su ciascuna delle quali di norma agisce un rullo tenditore e in genere anche un rullo di guida (fanno eccezione i rari casi nei quali le cinghie sono molto corte). Di recente hanno iniziato a diffondersi i tenditori automatici, ma in molti casi per ottenere la prevista tensione ci si affida al posizionamento del rullo tenditore all’atto della installazione della cinghia.
Nei motori da competizione si impiegano cascate di ingranaggi anche perché non sono soggette a oscillazioni come quelle che interessano le cinghie e le catene e quindi il comando è assai più rigoroso (minori deviazioni dalla fasatura di distribuzione ottimale, specialmente ai regimi molto elevati).
Sui motori di serie per lungo tempo a farla da padrone sono state le catene, che continuano ad essere impiegate pressoché universalmente in campo moto, mentre nel settore automobilistico da diversi anni a questa parte si dividono la scena con le cinghie dentate. Queste ultime hanno iniziato ad essere impiegate in campo motoristico nel 1962 sul quadricilindrico con distribuzione monoalbero della Glas 1004, progettato da L. Ischinger. Nel 1966 la strada indicata dalla vettura tedesca è stata ripresa dalla Fiat, con la sua 124 Sport Spider bialbero, dalla americana Pontiac (Tempest, monoalbero a sei cilindri) e dalla Opel. Via via altri costruttori hanno adottato la cinghia dentata, fino a che questo organo per la trasmissione del moto è diventato notevolmente più diffuso della catena, per il comando della distribuzione. Negli ultimi anni però le catene hanno riconquistato buona parte del terreno perduto.
Soluzioni motociclistiche
Sulle moto le cinghie dentate hanno avuto una diffusione piuttosto modesta, che è iniziata alla fine del 1971, con la presentazione della Morini 3 ½ (entrata in produzione diversi mesi dopo). Attorno al 1975 questo sistema di comando degli alberi a camme è stato adottato dalla Honda per la sua Gold Wing a quattro cilindri contrapposti. Qualche anno dopo hanno fatto la loro comparsa i Ducati della serie Pantah, con distribuzione desmodromica monoalbero comandata da due cinghie dentate (una per ogni cilindro), che prendevano il moto da un albero ausiliario azionato dall’albero a gomito per mezzo di una coppia di ingranaggi.
Questo schema ha continuato ad essere impiegato su tutti i successivi bicilindrici Ducati, anche con raffreddamento ad acqua e distribuzione bialbero, con l’unica eccezione del recentissimo 1199. Altri motori che hanno impiegato cinghie dentate per il comando della distribuzione sono stati i monocilindrici Rotax monoalbero raffreddati ad aria di 560 cm3 e i Gilera bialbero costruiti tra la metà degli anni Ottanta e l’inizio del decennio successivo.
Il principale punto debole delle cinghie è costituito dalla loro durata, notevolmente inferiore a quella delle catene. La frequenza con la quale devono essere sostituite viene indicata dai costruttori. Negli anni Ottanta in campo automobilistico venivano in genere prescritte percorrenze massime dell’ordine di 60 – 90.000 km. La situazione è poi migliorata e oggi alcuni produttori sono in grado di offrire cinghie anche molto più longeve (l’obiettivo è quello di ottenere, in campo auto, una durata pressoché analoga a quella del motore). Nel settore motociclistico le case prescrivono che la sostituzione venga effettuata dopo percorrenze che in genere sono nettamente inferiori (spesso sono dell’ordine di 20.000 km soltanto).
Cosa fare
È buona norma sostituire, assieme alla cinghia, anche il rullo tenditore e quello di guida, che usualmente vengono forniti con i relativi supporti. Dopo l’installazione è essenziale che alla cinghia venga impartita la giusta tensione; se il motore non è dotato di un tenditore automatico, l’operazione può risultare critica. Non sono stati pochi i casi nei quali le cinghie si sono rotte dopo chilometraggi anche molto modesti, proprio perché non erano state tese correttamente.
“È buona norma sostituire, assieme alla cinghia, anche il rullo tenditore e quello di guida, che usualmente vengono forniti con i relativi supporti”
In campo moto le cinghie non hanno incontrato molto favore anche perché il loro ingombro trasversale è notevolmente superiore a quello delle catene (e la ricerca della massima compattezza spesso è assai importante in tale settore). Pure la necessità di impiegare pulegge dentate di diametro considerevole, per non scendere al di sotto del diametro minimo di curvatura consentito, può risultare svantaggiosa. Punti di forza dei comandi a cinghia dentata sono il costo ridotto e la grande semplicità d’assieme. Inoltre, il funzionamento è in genere silenzioso, il peso contenuto e il rendimento elevato.
Tre tipi di distribuzione
Le catene di distribuzione possono essere di tre tipi diversi. Quelle classiche sono a rulli, cioè hanno una struttura analoga a quella delle catene impiegate nelle trasmissioni finali della maggior parte delle moto. Sono largamente utilizzate ma da alcuni anni a questa parte la loro diffusione è diminuita a vantaggio delle catene silenziose. Ancora più di recente sono entrate in scena quelle a bussole, dotate di una struttura più semplice (non essendoci il rullo, ogni articolazione è costituita soltanto da un perno inserito all’interno di una bussola) e un peso minore, a parità di forza trasmissibile, rispetto a quelle a rulli. Necessitano però di una lubrificazione molto abbondante.
Le catene silenziose hanno una struttura completamente diversa (e anche le ruote dentate sulle quali lavorano hanno una geometria differente). Qui non ci sono rulli o bussole che entrano in presa con i denti del pignone e della corona. Ogni maglia infatti è costituita da più piastrine dotate di denti, che penetrano nei corrispondenti vani delle ruote dentate sulle quali si avvolgono. Il grande pregio di queste catene, che a parità di forza trasmissibile hanno un peso leggermente maggiore, rispetto a quelle a rulli (e a quelle a bussole), è costituito dalla silenziosità di funzionamento, anche dopo chilometraggi molto elevati. I denti entrano in presa con il pignone e con la corona in maniera “dolce” e graduale. Le esecuzioni più moderne sono caratterizzate da un eccellente rendimento. Per evitare che una catena silenziosa possa uscire dalle ruote dentate spostandosi lateralmente, in ogni maglia le due piastrine esterne non sono munite di denti e hanno funzione di guida.
Distribuzioni automobilistiche
Nelle automobili di serie la durata delle catene di distribuzione è in genere analoga a quella del motore stesso. Per le moto la situazione può essere diversa. Si hanno grandi durate specialmente nei motori con più cilindri in linea, nei quali la rotazione degli alberi a camme avviene con minore irregolarità. Nei monocilindrici, se impiegati in maniera molto sportiva, la vita utile può essere notevolmente minore, pur rimanendo sempre più che soddisfacente, oggi; in ogni caso, risulta nettamente superiore a quella che avrebbe, nelle stesse condizioni di impiego e sul medesimo motore, una cinghia dentata.
I comandi a ingranaggi hanno dalla loro la grande robustezza, la straordinaria durata e l’ottima precisione; funzionano impeccabilmente anche in motori che ruotano a regimi elevatissimi in quanto non risentono degli effetti della forza centrifuga. Sono però costosi e non è facile farli funzionare silenziosamente. Vengono impiegati in tutti i motori di Formula Uno e in quelli delle MotoGP. E anche in quelli dei veicoli industriali pesanti (per i quali la durata dei componenti si misura in centinaia e centinaia di migliaia di chilometri e gli eventuali fermo macchina hanno costi molto elevati).
Sistemi misti
I sistemi di comando misti (catena più coppia o terna di ingranaggi) sono vantaggiosi quando si vuole realizzare una testa molto compatta, con angolo tra le valvole assai ridotto. Talvolta la catena muove un albero a camme che a sua volta aziona l’altro, con il quale è in presa grazie a una coppia di ruote dentate (soluzione impiegata tra l’altro da Toyota, BMW e Aprilia). I sistemi misti consentono inoltre di ridurre la lunghezza della catena e di impiegare ruote dentate di minori dimensioni. Questo spiega perché in certi casi la coppia di ingranaggi è collocata nel basamento e non nella testa (BMW S 1000 RR, MV Agusta F4).
In passato hanno avuto una certa diffusione anche i sistemi di comando della distribuzione a due stadi, con una catena inferiore e una superiore (li impiegavano, ad esempio, l’Alfa Romeo sui suoi famosi bialbero a quattro cilindri con basamento in alluminio, la Jaguar sul classico bialbero a sei cilindri in linea e la Kawasaki sul KLX 650).