Cina addio: la exit strategy dei carmaker europei dal Paese del Dragone

Cina addio: la exit strategy dei carmaker europei dal Paese del Dragone
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Un po' per le vendite che calano, un po' per la redditività della joint-venture, sta di fatto che molti costruttori del Vecchio Continente si preparano a lasciare la Cina, con rammarico
11 dicembre 2024

Il mercato cinese? Da un lato assomiglia a un Eden dorato, formato da centinaia e centinaia di milioni di potenziali clienti pronti a spendere ingenti quantità di denaro per acquistare prodotti di moda e all'avanguardia. Dall'altro, tuttavia, all'ombra della Città Proibita il contesto economico non è più florido come qualche anno fa, tanto che un crescente numero di cittadini ha iniziato a familiarizzare con l'arte del risparmio. Se, poi, parliamo del mercato delle auto, il discorso diventa ancora più complesso. Già, perché non solo le grandi case automobilistiche occidentali, insediatesi in Cina negli anni più ruspanti del Paese – dalla fine degli anni '80 in poi – devono fare i conti con il rallentamento economico cinese; devono anche, e soprattutto, guardarsi le spalle dalla letale concorrenza rappresentata dai marchi locali. E aggiungere a tutto questo, infine, i dolorosi contraccolpi rimediati da un processo di elettrificazione troppo farraginoso e inefficiente. Risultato: da BYD a Changan passando per Saic, i brand del Dragone hanno rosicchiato importanti fette di mercato ai loro rivali stranieri, guadagnandosi il centro della scena. La conseguenza è chiara: più concorrenza, meno vendite, meno profitti. È per questo che alcuni marchi occidentali stanno riorganizzando le loro attività sul mercato cinese, un tempo delizia e ora croce dei loro
business plan.

L'esempio di General Motors

Prendiamo General Motors (GM). Il gruppo statunitense ha dichiarato che i suoi profitti subiranno una perdita di oltre 5 miliardi di dollari a causa della ristrutturazione delle sue attività - in difficoltà - in Cina. Ricordiamo che GM e Saic Motor, una società cinese di proprietà statale, gestiscono una joint venture, Saic-GM, con sede a Shanghai, che produce veicoli con diversi marchi, tra cui Cadillac e Buick. Fondata nel 1997, l'impresa è cresciuta gradualmente generando profitti considerevoli grazie al mercato cinese. I problemi si sono materializzati negli ultimi anni, quando l'azienda – che aveva concentrato la propria produzione su auto a benzina e diesel – ha perso quote considerevoli a favore dei produttori locali di veicoli elettrici e ibridi. Gli stessi, in sostanza, che oggi rappresentano più della metà di tutti i mezzi venduti in Cina. I dati evidenziati dal New York Times sono preoccupanti. Nei primi nove mesi dell'anno, GM ha perso 347 milioni di dollari nelle sue operazioni cinesi. Le vendite sono diminuite di quasi il 20%, mentre la quota di mercato è scesa dall'8,6% del 2023 all'attuale 6,8% (nel 2015 era di oltre il 15%). "Siamo concentrati sull'efficienza del capitale e sulla disciplina dei costi. Abbiamo lavorato con SgmM per rilanciare il business in Cina in modo da essere sostenibili e redditizi sul mercato", ha fatto sapere la società in una dichiarazione alla Securities and Exchange Commission americana. "Siamo prossimi a finalizzare il nostro piano di ristrutturazione con il nostro partner e ci aspettiamo che i nostri risultati in Cina nel 2025 mostrino un miglioramento anno su anno", ha aggiunto GM.

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Cambiare ed evolversi, o morire

I problemi di GM in Cina, il più grande mercato automobilistico del mondo, riflettono una tendenza più ampia. Quasi tutte le case automobilistiche straniere, comprese le aziende europee, giapponesi e sudcoreane, stanno infatti lottando con le nuove dinamiche che caratterizzano l'automotive cinese. BYD e Geely, i più ambiziosi player del settore locale, hanno introdotto modelli sempre più economici e all'avanguardia, rubando di fatto la scena ai loro competitor stranieri. Ecco che diversi marchi esteri stanno pensando di snellire (di solito usano il termine “riorganizzare”) le loro joint venture in Cina. Ford, altro esempio interessante, ha speso 881 milioni di dollari nei primi mesi del 2024 per ristrutturare le sue attività nell'ex impero di Mezzo. Volkswagen, pioniere del mercato cinese, è stata la casa automobilistica più venduta nel Paese per quattro decenni. Oggi il suo business è crollato (le vendite sono calate di oltre il 10% nell'anno in corso). Il motivo? I consumatori cinesi hanno optato per i veicoli elettrici e ibridi realizzati da BYD. Il gigante tedesco è stato costretto a mettere in vendita quote di attività aperte nello Xinjiang per alleggerire il carico. Il colpo di grazia per i colossi occidentali è arrivato da parte delle banche e degli enti locali cinesi, che hanno iniziato a concedere prestiti a basso costo, terreni e molteplici incentivi alle case automobilistiche del Paese. È anche per questo che il prezzo delle vetture cinesi è molto più basso rispetto al loro costo di produzione. Nessuno, in Occidente, può competere. Molto meglio rivedere le proprie strategie, adattarsi ad un contesto che premia l'elettrico e l'ibrido, oppure morire. E dunque: uscire dalla Cina per puntare su altri mercati.

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