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I danni, perchè anche di quello si tratta, derivanti dalla diffusione del Coronavirus in Italia, si fanno sentire molto per la filiera automotive. Il caso di oggi, uno dei più noti essendo localizzato a Codogno, in "zona rossa" è quello di MTA. L'azienda produce varie componenti del mondo elettrico ed elettronico a specifica automotive, ma dovendo seguire le disposizioni ministeriali è chiusa.
Il rischio lavoro però e a catena, sul mondo automobilistico. Perchè MTA fornisce costruttori noti, come FCA, PSA, ma anche BMW e Renault. In modo meno importante anche Jaguar Land Rover, Iveco, CNH e Same. In dettaglio, cosa accade e cosa potrebbe accadere, per il lavoro di questa azienda con i suoi 650 dipendenti e i molti clienti, costruttori auto? Lo abbiamo chiesto ai diretti interessati, parlando con Antonio Falchetti, il Direttore Generale, ha proposto di fare lavorare almeno il 10% dei dipendenti, ma non ci sono ancora riscontri per procedere in questo modo. Potete ascoltare l'audio intervista nel video riportato su questa pagina.
“Molte Case oggi non hanno doppia fornitura. Se noi non forniamo un componente, le linee possono avere problemi dopo due o tre giorni. Da domani o dopo ci potranno essere”.
Come stanno reagendo le Case auto?
“Ci chiedono in tutti i modi di avere permessi, dagli enti, per continuare a lavorare. Chiediamo di produrre in sicurezza almeno con il 10% della forza lavoro. Serve a garantire un minimo, per non fermare linee produttive sia italiane, sia europee, di Francia e Germania“.
Hanno dato una tempistica, da parte degli enti coinvolti?
“Occorrerà parlare direttamente con il Ministero. Altrimenti la tempistica per noi è quella nota a tutti: 14 giorni. È impossibile per noi uno stop di questo tipo. Poi non avrebbe nemmeno grosso senso riaprire, dopo tale fermo produzione“.
Basterebbe smuovere la logistica, poi piccole produzioni.
“Le 60 persone che chiediamo non sono solo per svuotare il magazzino, ovviamente. Quello potrebbe bastare per alcuni giorni, poi va rifornito. A Codogno forniamo sia le Case sia altri nostri stabilimenti, come il nostro in Slovacchia, dove lavorano 450 persone e quello in Marocco. Certi componenti realizzati all’estero a loro volta dipendono dall’Italia, per dei semilavorati“.
A chi dice che potreste ricevere poi benefici e incentivi, per il fermo produzione?
“Non è un problema solo nostro. Si fermerebbero 650+700 persone anche in altri stabilimenti e a catena le linee di produzione delle Case auto servite. Forse anche 30/50mila persone nell’insieme. Non si parla solo di Italia."
Come fanno altre aziende di fronte allo stesso virus?
“Da noi è calamità naturale, alcuni clienti mi dicono che per esempio in Francia se ne preoccupano meno. Le calamità e le cause di forza maggiore sono altre, come il terremoto, che abbiamo vissuto alcuni anni addietro. I vari Stati sono d’accordo nel considerare il Coronavirus una causa di forza maggiore? Dipenderà anche da questo se gli addebiti a fine linea saranno in capo a qualcuno o ad altri”.
Si sta pensando molto alla sanità, meno all’economia industriale. Voi lavorate anche con la stessa Cina, oltretutto.
“E’ quasi assurdo. Avevamo appena ripreso le nostre attività cinesi e subito viene fermata l’Italia“.
Ci sono modi per lavorare con il virus?
“Certo, lo abbiamo già vissuto in Cina. Se ci sono necessità un piccolo numero di persone può lavorare. 60 su una superficie di 40mila mq. Il contagio è più elevato andando al supermercato“.
Nelle altre nazioni dove lavorate, come vi gestite?
“Solo in Cina abbiamo vissuto la cosa. Limiti di spostamento nelle zone delimitate, ma nello stabilimento poche persone potevano lavorare. Controlli e dispositivi sicurezza ovviamente attivati“.
Cosa ne pensate delle soluzioni che vengono messe in campo in Italia?
“Il Coronavirus andava preventivato, come un fenomeno possibile. Ora stiamo rincorrendo ma due mesi addietro l’analisi di cosa accade con l’epidemia poteva esser fatta”.