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Inarrestabile, al punto da diventare con il suo stesso nome sinonimo appunto di veicolo che non si ferma davanti a nulla, Caterpillar applica il concetto non solo nella tecnica costruttiva, ma anche alle relazioni sociali: così, di punto in bianco o quasi, per la fabbrica di Jesi viene annunciata la chiusura a inizio del prossimo anno.
Un fulmine a ciel sereno, una pessima strenna natalizia per 270 operai e per le loro famiglie che invece del panettone rischiano di trovare sul tavolo del cenone una lettera di licenziamento.
Il tutto senza motivazioni industriali a supporto di una decisione che pare dettata solo dalla voglia di delocalizzare la produzione, alla ricerca di siti industriali in giro per l'Europa più a buon mercato per il padrone: infatti, lo stabilimento di Jesi era arrivato a lavorare su tre turni giornalieri anche con ricorso agli straordinari per far fronte alle commesse, ed il fatturato in crescita era stato esibito in Confindustria, alla presentazione dei risultati semestrali dell’attività, come esempio della ripresa industriale in atto.
Poi la doccia gelata: il direttore del sito di Jesi, Jean Mathieu Chatain, comunica l'intenzione della multinazionale USA con sede a Deerfield, in Illinois, di vendere il sito marchigiano, senza lasciare spiragli; il tutto, nascondendosi dietro la solita formula delle “ragioni di mercato“.
Così è: si chiude baracca qui e si apre altrove, e tanti saluti a tutti.
Una modalità di comportamento arrogante, che ripete un cliché già visto purtroppo altre volte nel nostro Paese.
Ovviamente si registra l'immediata mobilitazione non solo dei lavoratori Caterpillar interessati al provvedimento, ma anche delle forze politiche locali: non resta però molto tempo per trovare una soluzione, visto che la procedura di mobilità aperta dall’azienda terminerà a fine febbraio e se non interverranno fatti nuovi poi scatteranno i licenziamenti collettivi.
La questione è destinata ad arrivare sul tavolo del ministro Giorgetti, insieme alle altre già da tempo aperte, come quella della GNK di Firenze.