Cambi automatici: i convertitori di coppia (seconda parte)

Cambi automatici: i convertitori di coppia (seconda parte)
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Quando un efficiente convertitore viene abbinato a un cambio che effettua automaticamente gli innesti delle marce, il piacere di guida è assicurato. Peccato che il prezzo da pagare sia notevole... | <i>M. Clarke</i>
21 maggio 2014

Arrivate ormai a un grado di perfezionamento incredibile, le trasmissioni automatiche tradizionali sono costituite schematicamente da un convertitore di coppia, che preleva il moto dall’uscita del motore, e da un cambio con più gruppi di ingranaggi epicicloidali. 

Cambi automatici: il convertitore di coppia in breve

Un sistema idraulico, oggi gestito elettronicamente, controlla le frizioni multidisco e i freni a nastro che agiscono su ciascun gruppo epicicloidale. Una apposita pompa provvede a mettere in pressione il circuito idraulico. Il quadro è completato da una frizione che, quando opportuno, consente di bypassare il convertitore, evitando le perdite dovute al suo trascinamento.

 

Un giunto idraulico è un dispositivo, contenente olio, all’interno del quale sono alloggiate, una di fronte all’altra e a breve distanza tra loro, due giranti palettate. Quella conduttrice (detta anche pompa) viene trascinata in rotazione dal motore e mette in movimento il liquido. L’energia meccanica viene così trasformata in idrocinetica ed è quindi trasmessa alla girante condotta (detta anche turbina). In questo modo più essere trasmessa la coppia, che però non subisce alcun incremento. Aggiungendo uno statore, che funge da elemento di reazione, la situazione però cambia. In tal modo infatti si ottiene un convertitore di coppia.

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Il disegno mostra un gruppo convertitore- cambio automatico di qualche anno fa, a cinque rapporti. Si può chiaramente osservare la disposizione dei gruppi epicicloidali

Le origini 

I primi dispositivi di questo tipo sono stati realizzati in Germania nei primi anni del XX secolo. Studiati per impiego navale, erano opera del tecnico Fottinger che lavorava presso i famosi cantieri Vulcan di Stettino. Negli anni Venti analoghi giunti idraulici hanno iniziato a essere utilizzati in campo ferroviario. Per quanto riguarda i cambi dotati di ingranaggi epicicloidali, sono stati impiegati in milioni di esemplari sulla mitica Ford T, entrata in produzione nel 1908. In precedenza erano stati utilizzati, tra l’altro, dalla inglese Lanchester (1901) e dalla Cadillac (1904).


I cambi automatici sono nati negli USA, dove agli automobilisti piaceva l’idea di poter fare a meno del pedale della frizione e di non dover “maneggiare” la leva del cambio durante la guida. Alcune interessanti realizzazioni, come quella denominata Fluid Drive dalla Chrysler (1938), che prevedeva un giunto idraulico (in aggiunta a una normale frizione) per la partenza e per l’arresto con marcia innestata, più il sistema pneumatico Vacumatic, che consentiva l’innesto automatico di due delle quattro marce del cambio, hanno avuto vita breve.

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In questa sezione di una moderna trasmissione automatica sono ben visibili il convertitore di coppia con la relativa lockup clutch e le cinque frizioni a dischi multipli

 

La prima vera trasmissione automatica è entrata in produzione nel 1940; si trattava della Hydra-matic della General Motors, montata sulle Oldsmobile. In questo caso il cambio, a ruotismi epicicloidali, era effettivamente automatico, con un sistema meccano-idraulico per l’innesto delle marce, ma veniva collegato al motore da un giunto idraulico. Per vedere il primo cambio automatico abbinato a un convertitore di coppia è stato necessario attendere il 1948, quando ha fatto la sua comparsa il Dynaflow della Buick, che ha a tutti gli effetti aperto un’era. Anche in Europa già negli anni Trenta si era pensato alle trasmissioni automatiche, ma siccome non se ne sentiva una particolare esigenza i costruttori non si erano impegnati più di tanto in questa direzione.

Come si compone un convertitore di coppia

All’interno di un convertitore di coppia vi sono due giranti palettate e uno statore, montato su di una ruota libera che gli consente di ruotare solo in una direzione e solo in determinate condizioni. Durante il funzionamento la girante conduttrice mette in movimento l’olio, che passa nella girante condotta trascinandola in rotazione. Le palette dello statore hanno la funzione di deviare opportunamente il flusso dell’olio che esce dalla girante condotta, ed è proprio questo che consente di incrementare la coppia. L’effetto è tanto più forte quanto maggiore è la differenza tra le velocità di rotazione delle due giranti. Dunque, la moltiplicazione della coppia è massima allo spunto. 

 

La prima vera trasmissione automatica è entrata in produzione nel 1940; si trattava della Hydra-matic della General Motors, montata sulle Oldsmobile

Mano a mano che la velocità della girante condotta aumenta, avvicinandosi a quella della girante conduttrice, l’incremento della coppia diminuisce, fino a che, quando la velocità della prima diventa dell’ordine del 90% di quella della seconda, la ruota libera si sblocca, per via del diverso orientamento assunto dal flusso d’olio che interessa lo statore, e quest’ultimo inizia a ruotare assieme alle due giranti. Il gruppo si comporta allora come un giunto idraulico. Per evitare le lievi perdite che comunque hanno luogo in seguito all’inevitabile slittamento, si impiega una frizione monodisco (lockup clutch) che, in tali condizioni, rende solidali le due giranti.      

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Lo spaccato della stessa trasmissione automatica a sei marce, utilizzata dalla Audi, permette di osservare anche le palette delle giranti e dello statore del convertitore di coppia


Il convertitore è dunque in grado di moltiplicare la coppia che gli viene fornita (come per gli ingranaggi, ciò avviene a spese della velocità di rotazione; quella in uscita infatti è minore di quella in entrata), prima di inviarla al cambio. Inoltre, assicura un collegamento “fluido” tra il motore e la trasmissione, cosa sicuramente vantaggiosa ai fini del confort. E permette di fare a meno della tradizionale frizione. Non ci sono parti soggette ad usura e le partenze possono essere straordinariamente dolci. Ma, se si preme a fondo il pedale dell’acceleratore, l’accelerazione iniziale può essere impressionante…

 

All’interno del cambio automatico, che riceve il moto dal convertitore, vi sono alcuni gruppi di ingranaggi epicicloidali, disposti uno dietro l’altro (gli alberi di uscita e di entrata di ciascun gruppo sono coassiali), sui quali agiscono frizioni multidisco lavoranti in bagno d’olio e freni a nastro. Vi sono poi una pompa che fa circolare l’olio e un circuito idraulico che provvede a fare avvenire gli innesti delle marce e che oggi è sempre gestito elettronicamente. Le frizioni e i freni (questi ultimi oggi sono stati quasi completamente abbandonati) vengono azionati idraulicamente e agiscono sui diversi elementi che formano ciascun gruppo epicicloidale, in modo da impedirne o da consentirne la rotazione. Grazie alle frizioni è anche possibile rendere conduttore un elemento piuttosto che un altro. 

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La complessità dei passaggi per l’olio idraulico all’interno del modulo di controllo è impressionante. In questo caso vengono ricavati direttamente di fusione, negli stabilimenti Honsel


Un gruppo epicicloidale è costituito da un ingranaggio centrale detto planetario, con il quale sono in presa i satelliti, che ruotano su perni vincolati a un apposito elemento detto portasatelliti. Il complesso viene completato da una corona a dentatura interna, in presa essa pure con i satelliti (questi quindi costituiscono gli elementi intermedi, che la collegano al planetario). Anche se lo schema base di questi ruotismi non è complicato, i cambi automatici moderni sono dispositivi di grande raffinatezza meccanica e di notevole complessità costruttiva. 

Come funziona

Schematicamente il funzionamento si svolge come segue. Un semplice gruppo epicicloidale nel quale l’elemento conduttore è il planetario e l’albero di uscita è solidale con il portasatelliti può fornire due marce in avanti. Se si blocca la corona si ottiene la massima demoltiplicazione, ovvero si innesta la marcia più corta. Il rapporto più alto si ha rendendo solidale la corona con il planetario. In questo caso infatti si ha la presa diretta e i satelliti non ruotano ma agiscono in pratica come se fossero delle chiavette.

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Questo cambio, impiegato di recente dalla BMW, è a otto marce. La catena visibile all’ingresso, subito dietro il convertitore, aziona la pompa dell’olio

 

Un rapporto intermedio può essere ottenuto (e in tal caso il gruppo fornisce tre marce in avanti, delle quali questa è la seconda) bloccando il planetario e facendo entrare il moto dalla corona; l’uscita avviene sempre dal portasatelliti. La retromarcia si innesta rendendo conduttore il planetario e bloccando il portasatelliti; l’elemento condotto, con senso di rotazione invertito, diventa allora la corona.


Le trasmissioni automatiche di questo tipo, ossia con convertitore di coppia e cambio dotato di ruotismi epicicloidali, hanno un funzionamento impeccabile, con innesti straordinariamente dolci. Molto evolute dal punto di vista progettuale, hanno nella rilevante complessità meccanica e nell’alto costo i loro punti deboli, che le rendono adatte principalmente a vetture di elevato livello e di notevole potenza.           

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