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Come accade in tutte le cause di divorzio, quando non è consensuale ma dovuto al desiderio (o capriccio, fate voi) di uno dei due partner, ci sono spese impreviste da affrontare, che magari al momento della decisione di separarsi non erano state messe in preventivo.
La Brexit, da questo punto di vista, rischia di trasformarsi in un vero salasso per l’industria inglese legata al mondo dell’auto: che avvenga in forma morbida o hard (tutto dipende dall’esito dei colloqui tra il governo britannico e l’Unione europea, appena ripresi), comunque sia ci sarà da leccarsi le ferite.
Secondo i calcoli della SMMT (Society of Motor Manufacturers and Traders, l’associazione di categoria inglese), le Case per affrontare il distacco dall’Europa hanno già speso 735 milioni di sterline, oltre 820 milioni di euro, quasi 300 dei quali nell’anno in corso.
E non basta: la possibile separazione con formula “no deal”, vale a dire senza accordo tra le parti, farebbe scattare in automatico l’applicazione di dazi con imposta del 10% secondo le regole previste dal WTO (l’Organizzazione Mondiale del Commercio), con potenziale aggravio di ben 55 miliardi nei prossimi cinque anni a carico del settore.
L’industria delle quattro ruote in Gran Bretagna ha un valore totale stimato superiore ai 94 miliardi di euro, e le maestranze occupate, tra posti diretti ed indiretti, arrivano a quasi duecentomila unità.
«Nel momento in cui i negoziati sull’accordo di libero scambio tra Gran Bretagna e Unione europea sono nella fase finale - ha detto Mike Hawes, amministratore delegato della SMMT - è vitale che entrambe le parti mantengano le promesse fatte e salvaguardino l’industria automobilistica. L’accordo è fondamentale, ma non può essere un’intesa qualsiasi: i prodotti devono circolare, ora e in futuro, a tariffa zero. Il “no deal“ avrebbe effetti devastanti, con ripercussioni sui posti di lavoro e sulla prospettiva di creare nel Regno Unito un centro di eccellenza per la mobilità elettrica e per la produzione delle batterie».
Una ricerca dell’SMMT ha rivelato che il 70% delle aziende inglesi ha già fatto considerevoli investimenti in vista della Brexit, dotandosi soprattutto degli Eori (Economic Operator Registration and Identification), i codici univoci assegnati a livello comunitario, indispensabili per una gestione fluida e senza intoppi delle pratiche doganali a livello continentale.
Ed oltre i rilessi della pandemia, ci sono altre tematiche a preoccupare i costruttori inglesi, legate proprio al funzionamento dei nuovi sistemi doganali GVMS (Goods Vehicle Movement Service) e il P2P (Permission to Progress), che senza un accordo tra le parti potrebbero restare lettera morta, causando gravi problemi di approvvigionamento delle componenti e degli accessori, vitali nel ciclo produttivo di una vettura.