Breve storia del motore boxer e delle sue applicazioni, dalla Alfa 33 ibrida alla Porsche 911, Ferrari e 2CV incluse

Breve storia del motore boxer e delle sue applicazioni, dalla Alfa 33 ibrida alla Porsche 911, Ferrari e 2CV incluse
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Il motore boxer ha da sempre un posto speciale nel cuore degli appassionati. Oggi a farne un marchio di fabbrica è Porsche, ma nella storia sono stati moltissimi i costruttori ad impiegarlo. Da Ferrari e Subaru, passando per l’iconico Maggiolino Volkswagen e la storica Citroën 2CV, fino a un’Alfa 33 ibrida (!) degli anni Ottanta
3 febbraio 2022

Il motore boxer, a cilindri contrapposti, a V di 180°. Non sono uguali, ma la filosofia di fondo gli unisce: sviluppare il motore in orizzontale, renderlo piatto, in modo da mantenere il baricentro più basso possibile e aumentare il piacere di guida. Ha i suoi svantaggi il boxer, ma nella testa degli appassionati resta - a ragione - uno dei capisaldi dell’automobilismo a partire da fine Ottocento, quando Carl Benz battezzò il primo.

Al centro, la Porsche 917 a 16 cilindri boxer
Al centro, la Porsche 917 a 16 cilindri boxer
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Dalla 2CV alla Porsche 911

In una storia di oltre un secolo, questo genere di motore è stato impiegato sulle più svariate vetture. Se ad oggi è una prerogativa di Porsche e Subaru su tutte infatti, sono stati moltissimi i costruttori che ne hanno sviluppato uno - per gli scopi più diversi - nel corso degli anni. Il motore piatto, in questo caso bicilindrico, era montato sulla Citroën 2CV, che non avrà fatto la storia in termini di prestazioni ma è riuscita a consolarsi ampiamente in fatto di storia e prestigio, andando a segnare anche design, concetti e stile dei modelli attualmente nei listini del Double Chevron. Altro, grande classico automobilistico a sfruttare il motore piatto - ma stavolta a quattro cilindri - fu il Maggiolino Volkswagen, presentato per la prima volta nel 1938: a lui si deve la scelta analoga sui primi , iconici furgonicini del brand tedesco, così come alla Porsche 356, capostipite della famiglia boxer che ancora adesso è un tratto distintivo del brand. A Zuffenhausen hanno addirittura scelto di omaggiare quest’architettura con un modello, il Boxster, crasi tra le parole roadster e, per l’appunto, boxer. Impossibile, a questo punto, non citare la Porsche 911, così come il folle 16 cilindri da 6,5 litri (si, boxer!) equipaggiato su di una Porsche 917 per un campionato statunitense nel 1969.

La Subaru Impreza Diesel
La Subaru Impreza Diesel

Il primo boxer Diesel

Se la paternità è tedesca, nel mondo non è stata persa l’occasione per farla propria. In Giappone Subaru ha sviluppato il motore piatto in tutte le sue forme, dal primo boxer Diesel su scala mondiale (nel 2008) all’ibrido introdotto recentemente nella gamma. Gli utilizzi più sportivi hanno invece riguardato, tra le altre, la gloriosa Impreza e la Subaru BRZ, gemella con Toyota GT86. Ecco, anche a Tokyo l’auto a motore piatto ha una storia che parte da lontano: la Toyota Sport 800, sviluppata a metà degli anni Sessanta, sapeva regalare gioia con il suo bicilindrico da 49 CV ed un peso estremamente ridotto.

La Ferrari 512 BB
La Ferrari 512 BB

Il boxer in Italia

E in Italia? Il bel paese ha grandi rappresentanti di questa famiglia di motori. La prima, se non altro per blasone, è la Ferrari 512 BB, un programma belligerante già dal nome: Berlinetta Boxer era la sigla, mentre 512 stava al numero di cilindri (12, per l’appunto) e alla cubatura di 5,0 litri del propulsore. Nel corso degli anni non furono di meno Alfa Romeo e Lancia, con quest’ultima che sfruttò il boxer su Flavia e Gamma. Se il marchio del Biscione ha lavorato a lungo con questo genere di propulsore (da Alfasud a 146) è la Alfa Romeo 33 ad aver giocato il ruolo di unicum nella storia del marchio. Non tutti lo sanno ma, a metà degli anni Ottanta, la Casa di Arese costruì un prototipo di Alfa Romeo 33 a propulsione ibrida, forte del boxer da 1,5 litri e 95 CV a cui era abbinato un motore asincrono trifase in grado di aggiungere al piatto 16 CV e quasi 60 Nm di coppia. L’auto, a fronte di un aumento di peso di soli 150 Kg (di cui 110 per le batterie) poteva viaggiare fino a 60 Km/h a zero emissioni (con un’autonomia di 5 Km) mettendo sul tavolo una lungimiranza spaventosa: una bella storia per un motore che, ad oggi, continua ad emozionare.
 

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