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Il cartello TriDi a luce ultra-composita lampeggiava sulla doppia frequenza del rosso e dell’infrarosso ed era visibile a 2,3 anni luce di distanza, a patto naturalmente che si avesse installato a bordo un ricevitore a frequenza multipla. In questo caso, proiettata virtualmente sulla retina del pilota, lampeggiava la scritta “Riparazioni in tempo reale per ogni tipo di astronave”.
A.H.C. Römer conduceva da anni, in giro per gli oltre 200 pianeti che componevano la Repubblica Galattica Terrestre, la sua astronave. Da giovanissimo – grazie a una conveniente offerta rateale acchiappata al volo in una concessionaria i cui venditori erano molto simili tra loro e si chiamavano tutti Marvin – aveva acquistato di seconda mano una vecchia nave spaziale da trasporto. Essendo di antiche origini olandesi aveva rinominato l’astronave Flying Dutchman e da allora aveva consegnato ogni tipo di merce in quasi ogni angolo dello spazio.
Quando la scritta “Riparazioni in tempo reale per ogni tipo di astronave” cominciò fastidiosamente a ballargli davanti agli occhi, era a 0,2 parsec dal quinto pianeta di una stella (ma come diavolo si chiamava?... Römer aveva difficoltà a ricordare i nomi delle tante stelle che aveva visto) il cui spettro e le dimensioni erano simili a quelle del Sole.
“Quando la scritta “Riparazioni in tempo reale per ogni tipo di astronave” cominciò fastidiosamente a ballargli davanti agli occhi, era a 0,2 parsec dal quinto pianeta di una stella”
“Frederick! – urlò nell’interfono wifi di terza generazione rivolgendosi al suo copilota Frederick Marryat che era in sala macchine – come siamo messi con ‘sto maledetto iperpropulsore?”
“Sta cedendo, ti consiglio di non provare più a fare il salto nell’iperspazio, correremmo il rischio di saltare fuori dalla parte opposta dell’universo…”
“Sul prossimo pianeta c’è un’officina, secondo te sarebbe meglio fermarsi?”
“Affermativo” rispose Marryat e Römer sbuffò, mal sopportando gli atteggiamenti da ex soldato del suo copilota.
“Edward! – urlò allora Römer nell’interfono wifi di terza generazione rivolgendosi questa volta all’addetto al carico Edward Fitzball – se dovessimo fermarci per un po’ a riparare il vascello, quanto patirebbero le merci?”
Scariche elettrostatiche, fruscio di fondo e nessuna risposta.
“Edward?...”
“Sono qui, sono qui, è che il carico dei lupini di Aldebaran sta patendo il vento solare che da qualche minuto ci stiamo beccando… Ho dovuto fissare le casse sennò saltellavano tutte a sincrono sfasciando le paratie. Come se non bastasse, all’agitazione dei lupini si sono messe a sfrigolare le bietole OGM di Deneb e quindi è un po’ un casino!”
“Ma la risposta è sì o no?”
“Dammi qualche minuto, che stabilizzo il carico. Se ci riesco non ci saranno problemi”.
“Ok” Römer fissò con lo sguardo la scritta George su un foglio attaccato con lo scotch al cruscotto di bordo (subito sotto gli altri nomi Edward e Frederick) e l’interfono wifi aprì la comunicazione con George Barrington, l’ultimo componente dell’equipaggio, il navigatore di bordo.
“George, puntiamo sul pianeta, velocità ridotta per evitare ulteriori danni all’iperpropulsione, in quanto tempo ci arriviamo?”
“Boh… venticinque minuti?”
“Ipotizziamo trenta, allora.” Römer mormorò ‘tutti’ e l’interfono wifi si connesse con tutti i membri dell’equipaggio.
“Avviata manovra di avvicinamento al pianeta. Ognuno faccia quel che deve fare. Tra mezz’ora è previsto l’arrivo. Ora contatto un’officina e vediamo di riparare ‘sto cassone…”
“Bernard Fokke gestiva la sua officina multimarca da molto prima che il sistema di iper-propulsione di quarta generazione fosse comune su quasi tutte le astronavi”
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Bernard Fokke gestiva la sua officina multimarca da molto prima che il sistema di iper-propulsione di quarta generazione fosse comune su quasi tutte le astronavi. Aveva riparato e rimesso in navigazione mezzi che utilizzavano la spinta atomica, altri che sfruttavano le prime centraline elettroniche al super-carbonio, addirittura aveva contribuito a rimettere in movimento un paio di astronavi a vele elettriche… ma si era trattato di una moda passeggera, che non aveva preso piede e non ne aveva viste altre.
Era molto soddisfatto del lavoro che svolgeva: suo figlio, entrato in società con lui da un paio d’anni, aveva portato una ventata di innovazione e molti clienti in più, soprattutto grazie alla pubblicità TriDi a luce ultra-composita e all’analyser diagnostico che permetteva di scoprire rapidamente dove stava il problema. Mentre Fokke – pulendosi le mani con uno straccio virtuale – fissava la grande astronave da trasporto che stava attraccando di fronte alla sua officina, ripensò al figlio, in vacanza sulle spiagge del satellite artificiale Mald-aibi.
“Peccato non sia qui, con questo bestione mi avrebbe sicuramente aiutato…” pensò.
In capo a qualche minuto il Flying Dutchman (questo il nome che compariva sullo scafo) fu ormeggiato, stabilizzato e ancorato. Dal portello, insieme a uno sbuffo di aria piuttosto malsana che denotava un lungo viaggio, uscì un uomo che Fokke fissò a lungo. Aveva più o meno la sua età, un bel fisico asciutto e sembrava il classico pilota avvezzo a ogni avventura.
“Buongiorno, benvenuto nella nostra officina. Mi chiamo Fokke… problemi gravi?” Mentre si stringevano la mano, alle spalle del pilota scese un altro uomo, mingherlino e un po’ gobbo, con il volto simile a quello di un roditore di Vega e gli occhi un po’ sporgenti, simili ai lemuri terrestri che ormai erano presenti in tutta la galassia.
““Buongiorno, benvenuto nella nostra officina. Mi chiamo Fokke… problemi gravi?” Mentre si stringevano la mano, alle spalle del pilota scese un altro uomo, mingherlino e un po’ gobbo, con il volto simile a quello di un roditore di Vega e gli occhi un po’ sporgenti”
“Salve, mi chiamo Römer e questo – disse il pilota indicando il mingherlino – è il mio copilota Marryat. Abbiamo un problema all’iperpropulsione, ha tempo per darci un’occhiata?”
Fokke annuì con circospezione, rivolse un cenno di saluto anche al copilota e affermò:
“Certo, nessun problema. Prendo gli strumenti e saliamo subito a bordo.
Mentre camminavano verso la sala macchine, il movimento dei lupini faceva ondeggiare lievemente l’astronave, subito bilanciata dagli stabilizzatori ultrasonici, e un fischio continuo penetrava nelle orecchie dei tre uomini. Fokke rivolse uno sguardo interrogativo a Marryat e questi rispose:
“Credo sia il nostro carico di bietole OGM denebiane, non è il motore che emette questo sibilo…”
Dopo essersi addentrati nella pancia del Flying Dutchman per alcuni minuti, finalmente arrivarono alla sala macchine, Fokke estrasse l’analyser diagnostico (alla cui vista il copilota emise un fischio d’approvazione) e lo collegò all’uscita USB 14.3 sulla console. Accese lo strumento, fece partire l’applicazione, la tarò sul modello di astronave e utilizzando il touch screen impostò il sistema di ricerca.
“Ci vorrà molto?” chiese Römer.
“Per scoprire l’anomalia non credo più di un quarto d’ora, il tempo di analizzare tutti i circuiti. Per la riparazione… non saprei, devo prima scoprire che cos’ha”.
Maryat sbuffò:
“Quanto sono complicate ‘ste astronavi moderne! Ai miei tempi, quando ero soldato sull’Enterprise bastavano un martello, un cacciavite e un fil di ferro… E la facevamo ripartire”.
“Oggi l’universo è cambiato, tanta tecnologia, roba complicata, a volte per un piccolo difetto bisogna cambiare tutto il componente. Soldi per i costruttori e tanta fatica per noi! Sia a capire qual è il problema sia a effettuare la riparazione”
Fokke sorrise:
“Ha ragione, ho iniziato a lavorare proprio con quei modelli. Ma oggi l’universo è cambiato, tanta tecnologia, roba complicata, a volte per un piccolo difetto bisogna cambiare tutto il componente. Soldi per i costruttori e tanta fatica per noi! Sia a capire qual è il problema sia a effettuare la riparazione”.
L’analyser diagnostico bippò e sullo schermo comparve una scritta che Fokke fece fatica a comprendere. Römer sembrò accorgersene perché domandò preoccupato:
“Tutto chiaro?”
“Sì, direi di sì – rispose Fokke cercando di apparire sicuro di sé – Facciamo così: andate a prendervi qualcosa di caldo, magari una buona tisana… nel locale dietro l’angolo ne fanno di buonissime con una radice del posto… e quando tornate vi faccio trovare l’astronave pronta, ok?”
Römer grugnì qualcosa che sembrava una risposta, con l’interfono wifi chiamò anche gli altri componenti dell’equipaggio e tutti insieme scesero dal Flying Dutchman.
Un volta rimasto solo, Fokke perse tutta la sua aria sicura e sospirò a lungo guardando il tablet di interfaccia dell’analyser cercando di capire che cosa fare. Dopo qualche minuto in cui premette alcuni comandi sullo schermo fece un altro sospiro e mormorò sbuffando:
“Maledizione, proprio ora doveva andare in ferie?...”
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“Tutto a posto, si trattava semplicemente di un comando secondario che invece di dare potenza alla iperpropulsione disperdeva la corrente inibendo il sistema. Ho cambiato il componente in silicio, ho pulito tutto e ora dovrebbe funzionare”.
A Fokke era tornata tutta la sicurezza di fronte al cliente. Römer annuì pensieroso, accarezzo la console di comando nella cabina di pilotaggio dove si trovava con il meccanico e gli chiese:
“Bene, c’è una garanzia?”
“Sicuro, è tutto scritto qui” rispose Fokke porgendo al suo interlocutore un piccolo tablet.
“Dovesse ripresentarsi il problema presentando questo – il meccanico indicò il tablet – riceverà assistenza in buona parte dello spazio conosciuto. Per quanto riguarda il prezzo, consideri che ho dovuto smontare buona parte dell’acceleratore dei protoni secondari, ho pulito tutto il sistema, ho resettato il chip al silicio e ho cambiato alcuni attuatori oltre al componente in silicio. Complessivamente sono 6.500 crediti solari”.
“Tutto a posto, si trattava semplicemente di un comando secondario che invece di dare potenza alla iperpropulsione disperdeva la corrente inibendo il sistema. Ho cambiato il componente in silicio, ho pulito tutto e ora dovrebbe funzionare”
Römer annuì di nuovo, estrasse da una tasca della tuta il suo smart-all e chiese:
“Posso pagare con un bump?”
“Certo” rispose Fokke, estraendo a sua volta uno smart-all.
I due uomini si avvicinarono, sbatterono i due device l’uno contro l’altro e la transazione fu effettuata.
“Buon viaggio” salutò Fokke dirigendosi verso il ponte d’uscita.
Non appena il meccanico scese dal Flying Dutchman, Römer chiuse i portelli, latrò una serie di comandi all’equipaggio, molto delicatamente staccò l’astronave dall’approdo e si diresse verso lo spazio aperto.
Una volta a distanza di sicurezza per inserire l’ipervelocità chiamò il suo copilota:
“Frederick, tutto a posto?”
“Affermativo”.
“Edward, il carico?”
“Fissato, non dovrebbe avere problemi al salto nell’iperspazio”.
“George, il motore gira pulito?”
“Tutto a posto!”
“Pronti all’iperpropulsione, allora”.
Römer premette alcuni tasti sul cruscotto, l’astronave tremò tutta in preparazione del grande salto nell’iperspazio… ma non saltò.
Mentre Römer cercava di capire che cosa fosse successo gli giunse la voce del suo addetto al carico.
“Ehi, comandante sei impazzito? Perché hai aperto il portello della stiva? Se ti sporgi a babordo puoi vedere tutti i nostri lupini dispersi nello spazio…”
M.