Autostrade: ecco come le vorremmo

Autostrade: ecco come le vorremmo
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Abbiamo poche autostrade e ancor meno superstrade. E quelle poche sono diverse l’una dall’altra. Ma per fortuna, qualcuna si salva, mentre qualche altra “non s’ha da fare” | <i>E. De Vita</i>
6 agosto 2014

In Italia abbiamo poche autostrade (sono ferme al 1980) e ancor meno superstrade. Siamo il Paese che ne ha meno in Europa. In compenso – si fa per dire – abbiamo il maggior numero di veicoli per km di autostrada. Sono a pagamento 5432 km su un totale di 6490: abbiamo il più basso rapporto chilometro di autostrada per 1000 abitanti (0,1 km/1000 ab) e il più alto numero di veicoli per km (6490 veicoli/km). Ciò significa maggiori entrate per le concessionarie (a parità di km gestiti) e più congestione per gli automobilisti, che alla fine si traduce in ritardi e incidenti.

Autostrade con standard caserecci

Ma il guaio maggiore è che i 7000 km di autostrada non sono rigorosamente uguali, somigliano un po’ alla fantasia nostrana, ogni arteria ha le sue caratteristiche distintive: arterie a due corsie senza quella di emergenza (vedi la A10 da Genova a La Spezia); gallerie a tre corsie ma senza neppure un piccolo marciapiedi ove rifugiarsi in caso di guasto (vedi la A12 Genova- Ventimiglia); gallerie con pareti così nere che anche con l’illuminazione da stadio apparirebbero buie; giunzioni col saltello sui viadotti, ove sembra di andare sulle montagne russe senza pagare biglietto (vedi la A15 Parma-La Spezia); guardrail metallici che la ruggine ha verniciato per l’eternità (un po’ dappertutto); barriere protettive nei viadotti incollate col burro sulle travi sottostanti (vedi la A16 Napoli-Bari in Irpinia e anche la A1 Milano-Roma a Roncobilaccio).

Non abbiamo una norma nazionale che le renda uguali. E ovviamente non sono adeguate agli standard europei. Quando una quindicina di anni fa al ministero delle infrastrutture venne richiesto di chiamare autostrade (e di applicare il pedaggio) solo le arterie in regola con le norme europee, il ministro Lunardi rispose che non era possibile: “Solo per l’Autostrada dei Fiori occorrerebbe aumentare il pedaggio del 35% ” - disse. Peccato che nei successivi cinque anni il pedaggio sia cresciuto proprio di quella percentuale, ma senza  alcun adeguamento all’Europa.

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Una delle stazioni meteorologiche presenti sulla A 21. Ha sensori capaci di misurare pioggia, vento, nebbia e temperatura ed in grado di trasmettere tali dati alla centrale operativa in tempo reale. Da notare la barriera protettiva con struttura a capriata d'acciaio

La portata di una strada non dipende dalla velocità

E poi c’è il numero delle corsie. Secondo le norme costruttive internazionali ogni corsia non può sopportare più di 1250 veicoli l’ora. E questa portata vale per qualunque velocità, sia a 60 che a 120 km/h, purché costante. Il che significa che il flusso di veicoli è come una collana di perle infilate su un elastico: se la velocità aumenta è come se si allungasse l’elastico, cioè aumenta in modo automatico la distanza fra veicolo e veicolo, ma alla fine i veicoli che transitano in un’ora sono gli stessi. Quando si carica di più di 1250 veicoli l’ora, l’arteria si blocca alla prima perturbazione.

Noi italiani amiamo viaggiare incollati, come dire che riusciamo a infilare nella corsia anche 1350 veicoli l’ora, ma basta un colpo di freni per innescare a ritroso lo “scontro tra i vagoni” e la conseguente fermata per qualche secondo della colonna. A questo punto la velocità del flusso scende a zero e la frittata è fatta: occorrono ore perché la velocità torni normale. La strada è come una clessidra, oltre un certo flusso non può sopportare.

Rimedio numero uno: costruire in origine le autostrade in funzione del traffico massimo previsto nei 10 anni successivi. Rimedio numero due: prevedere a destra di ogni corsia lo spazio per adeguamenti successivi (e indolori) del numero delle corsie. Non è esattamente quanto è successo in Italia. Sono state inaugurate 50 anni fa autostrade già insufficienti per il traffico di allora, come la A7 Milano-Serravalle, che negli anni Sessanta si intasava regolarmente ad ogni week-end, fino a bloccarsi per ore.

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A21 nel tratto a tre corsie. Notare il viadotto gradevolmente colorato

Sei corsie per Stoccolma, nel 1986

Ma per le tangenziali è andata peggio. Stoccolma (600.000 abitanti) ha inaugurato nel 1986 una tangenziale a sei corsie; Milano col doppio di residenti e il triplo di pendolari ha da poco completato la terza corsia. Non per nulla, ogni mattina Onda Verde apre il notiziario lamentando il blocco della Tangenziale Est già dalle prime ore. E questo copione si ripeterà inesorabilmente per molti anni ancora. Venezia, Bologna, Roma e Napoli non sono da meno. Un po’ più previdente, Torino.

Ma poiché siamo il Paese della fantasia, è vero anche il contrario. Politici “illuminati” o benefattori a caccia di consensi – fate voi -, come Franco Nicolazzi (ministro dei Lavori Pubblici negli anni Settanta) e Ciriaco De Mita (segretario della DC),  vollero tre corsie – già 30 anni fa – nelle arterie che lambivano i loro feudi elettorali: la A 26 (Voltri-Gravellona) e la A16 (Napoli-Bari). Con colpevole ritardo, abbiamo solo un pezzettino di arteria da Modena a Bologna che consentirebbe di marciare su 4 corsie e un altro da Bergamo ad Agrate. Tuttavia è solo un’illusione ottica: numericamente le corsie sono 4, ma la inveterata abitudine del gentil sesso, degli imbranati e dei neopatentati di viaggiare al centro (e non nella corsia più a destra come impone il codice) vanifica ogni vantaggio.

Qual è l’autostrada migliore d’Italia?

Probabilmente la Bre-Be-Mi, appena inaugurata, costruita con capitale privato, secondo i canoni più moderni, ma il suo tracciato monco fa storcere il naso, più ancora del salatissimo pedaggio. Infatti, con (colpevole?) ritardo verrà collegata al centro di Milano mediante due bretelle ancora da terminare, per ora bisogna andarla a prendere in campagna. Ancor di più fa senso la richiesta di un contributo supplementare (di 480 milioni) richiesto ora allo Stato per completare l’opera. Giustificazione ufficiale: il traffico è diminuito rispetto all’epoca della progettazione, quindi il ritorno finanziario è in bilico. Una volta c’era il rischio d’impresa, dov’è finito?

Qual è l’autostrada migliore d’Italia? Probabilmente la Bre-Be-Mi, appena inaugurata, costruita con capitale privato, secondo i canoni più moderni, ma il suo tracciato monco fa storcere il naso, più ancora del salatissimo pedaggio


Come le vorremmo? Ce n’è una che rappresenta un buon esempio da seguire: è la A21, nel tratto Piacenza-Brescia. Ha già qualche anno, e si vede (anzi si sente) quando si attraversa il ponte sul Po: singhiozzi e saltellamenti a ogni campata. Ma, a parte questo, sembra di percorrere un’autostrada svedese. È stata costruita su una larga striscia di terreno, tenendo le due carreggiate a una distanza quasi “sconcertante” per l’Italia: quasi 10 metri di prato. In mezzo si potranno ricavare altre due corsie, una per ogni senso di marcia. Per il momento, le corsie sono due, che diventano tre nel tratto vicino a Brescia.

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Sempre sulla A21: i guard rail laterali sono dotati di struttura d'acciaio a capriata

 

Il prato ha un profilo a V (per accogliere l’acqua piovana), mentre al centro c’è una barriera di protezione ottenuta con una nutrita siepe di oleandri o di rose, proprio come in Svezia. Ai lati, i pozzetti di raccolta del percolato sono dotati di essenze arboree (un tipo di canne) capaci di depurare l’acqua che viene poi usata per irrigare i campi attigui. In corrispondenza della confluenza con altre arterie sono previste sull’asfalto strisce sonore in rilievo, larghe 10 cm e ripetute di continuo per centinaia di metri al fine di provocare una vibrazione e una risonanza sorda, esattamente come la scossa nel sedile di certi modelli Citroen. A Brescia, c’è un’area di parcheggio per camionisti che… sembra di essere in Scandinavia

Il gentil sesso veglia sulla A21

Federica Deledda è il comandante della polizia stradale di Cremona. Gentile, preparata, appassionata del suo ruolo, parla con orgoglio della “sua” autostrada: «Le infrastrutture, gli arredi, le misure di sicurezza hanno portato a un livello davvero basso degli incidenti. Monitoriamo continuamente il traffico e le situazioni, l’arteria è dotata di stazioni meteorologiche che ci consentono di rilevare a distanza fenomeni locali».

Incalziamo: "Sappiamo che la concessionaria Centropadane ha dichiarato di aver effettuato investimenti di oltre 460 milioni l’anno scorso e a fronte di questi costi sono stati chiesti e applicati aumenti dei pedaggi di oltre il 6%, ma i saltellamenti sul Po ci sono ancora". – «È vero, i cantieri attualmente operativi sul Po sono al lavoro proprio per migliorare i passaggi sulle giunzioni».

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Manifesto di ItaliaNostra mostrato al convegno che si è tenuto pochi giorni fa a Capalbio dedicato all'autostrada che non s'ha da fare. Esso è volto alla difesa della Maremma da parte della popolazione locale che desidera impedire lo scippo dell'attuale superstrada e la sua trasformazione in autostrada a pagamento


Chiediamo ancora: "Chi decide quando c’è nebbia o emergenza se è necessario chiudere alcuni tratti, la polizia o i funzionari dell’autostrada?" «Collaboriamo attivamente con la direzione di tronco, al punto che ogni decisione è presa sempre di comune accordo», la sua risposta. Magari fossero tutte così!

Quest’autostrada “non s’ha da fare”

Per finire, qual è la peggiore delle autostrade? Quelle con errori da urlo sono tante, ma la peggiore è quella che non si deve fare. Per esempio la futura Grosseto-Civitavecchia. C’è già una superstrada, decente, gratuita, da completare eliminando gli incroci a raso e aggiungendo la seconda corsia ove manca. Ma un progetto di banche, Province e enti locali, confluiti nella concessionaria SAT prevede di acquisire a costo zero tale superstrada, di completarla con corsia di emergenza, con caselli e svincoli.

E di far pagare il pedaggio. La Maremma non vuole, combatte per impedire il blitz e organizza dibattiti, come quello descritto nel suggestivo manifesto che pubblichiamo nella gallery. Il traffico è come un malato e ai malati occorrono ospedali, buoni ospedali. Non sempre la casa di cura a pagamento è la miglior soluzione.

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