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In questi ultimi tempi è tornata alla ribalta “l’auto che si guida da sola”: l’accoppiata Google/Motorola ha presentato la sua creatura, la “Google car” di cui dette annuncio già nel 2010. Naturalmente è un prototipo costosissimo, pieno di tecnologia; per averne uno commercializzabile occorrerà aspettare, dicono, attorno al 2020.
Questa notizia sembra rivoluzionaria ma non lo è affatto perché si tratta di un ritornello che torna alla ribalta ad intervalli di qualche anno, sebbene il più delle volte si scopra poi che altro non è che il sogno di qualche inventore, già noto per aver progettato il motore che non consuma energia. Non per niente all’uscita della notizia non sono mancate le rivendicazioni di chi pensa di essere stato il primo a realizzare una “driverless car”. Questa però potrebbe essere la volta buona perché lo studio è eseguito in un’università, i mezzi sono ingenti e la tecnologia ha fatto passi da gigante.
Con la Nissan, ad esempio, collabora la NASA che avendo mandato l’uomo sulla Luna e le auto su Marte (capaci di muoversi anche da sole) sarà ben in grado di riuscire nell’impresa di guidare le auto nel traffico senza pilota.
In Italia, l’Università di Parma ha realizzato l’auto sperimentale “self driving” DEEVA, che gira dal 2009 sotto la cura del prof. Broggi della Facoltà di Ingegneria. Del resto già esistono le auto che parcheggiano da sole, ed il parcheggio è certamente una forma di guida automatica, seppure nell’ambito del destreggiarsi adagio tra tra ostacoli fermi. E poi tutte le principali Case ne stanno studiando almeno un prototipo.
Una bella spinta all’automazione totale e definitiva deriva dai progressi dell’auto elettrica giacché anche quella “che si guida da sola” fa uso di batterie e di motori elettrici. Ma non mancano le critiche, a partire da quelli che ci credono davvero e tra questi nientepopodimeno che l’FBI. Secondo il Federal Bureau of Investigation, che evidentemente è abituato a prospettarsi tutti gli scenari immaginabili e possibili, un’auto del genere permetterebbe ai malintenzionati di andare in giro sparacchiando senza curasi della guida o potrebbe essere caricata di esplosivo e diretta ovunque ci fosse intenzione di compiere stragi.
L’Ufficio Federale la considera una ”arma letale” e suggerisce al Congresso degli Stati Uniti di non permetterne la vendita. A non essere così pessimisti e considerando che questo prodigio della tecnica alla fin fine è una specie di piccolo salotto ambulante, che viaggia piuttosto lentamente pur rispettando alla perfezione le norme del traffico, le distanze di sicurezza e indubbiamente salvando una gran quantità di vite umane, si possono osservare le cose da un altro punto di vista.
Chiunque è a bordo di un veicolo di quelli di cui parliamo non si sposta più come vuole lui, ma come vuole la vettura su cui è seduto: si godrà il panorama o potrà anche schiacciare un pisolino, ma non potrà guidare, potrà solo decidere dove vuole andare
Quali delle attuali motivazioni pubblicitarie per l’acquisto di un’auto potrebbero rimanere valide per “l’auto che si guida da sola”? Dov’è il vento nei capelli della giovane coppia in viaggio di vacanza? E il piacere dello scatto fulmineo e della precisione di guida? E l’approvazione del famoso ed entusiasta giocatore di tennis (Novak “Nole” Djokovic)? E la guida soddisfatta della ancora bellissima ex indossatrice (Claudia Schiffer)? Evidentemente se gran parte della pubblicità di oggi punta sulla gioia di guidare è forse perché è proprio questo che invoglia molti a scegliere l’auto giusta, quella dei propri sogni.
Un domani, con l’affermarsi dell’”auto che si guida da sola”, si dovrà cambiare registro e si perderà, almeno in questo campo, l’abitudine di sognare e sperare in un modo più libero di viaggiare. Sì, perché chiunque è a bordo di un veicolo di quelli di cui parliamo non si sposta più come vuole lui, ma come vuole la vettura su cui è seduto: si godrà il panorama o potrà anche schiacciare un pisolino, ma non potrà guidare, potrà solo decidere dove vuole andare.
La fortuna delle “autonomous car” è in dubbio; potrebbero avere successo ma potrebbero anche fare la fine dell’Esperanto, la lingua universale che può risolvere i problemi di comunicazione, la quale c’è ma nessuno la usa.
Carlo Sidoli