Auto: in sette anni il settore ha perso 200.000 occupati

Auto: in sette anni il settore ha perso 200.000 occupati
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E' quanto sostiene Federauto: per il rilancio del settore un'aliquota IVA agevolata potrebbe generare oltre 750.000 immatricolazioni in più, con ricadute positive anche a livello occupazionale
28 luglio 2015

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Il settore dell'auto negli ultimi sette anni ha perso 200.000 posti di lavoro. E' quanto ha denunciato Filippo Pavan Bernacchi, il presidente di Federauto, la federazione che riunisce i concessionari italiani, in occasione del convegno “Il settore automotive nei principali Paesi europei” a cura di Unioncamere e Prometeia organizzato dalla Commissione Industria, Commercio e Turismo del Senato. 

 

«Tutto ciò ha determinato una perdita di posti di lavoro nel mondo della sola distribuzione di 20mila addetti. Una cifra che sale a oltre 200mila considerando anche le case automobilistiche, le officine, i fornitori e l’indotto allargato: 20 volte in più rispetto al dramma occupazionale dell’Ilva di Taranto; ma nel disinteresse generale. Ciononostante il settore vale ancora l’11% del Pil, occupa 900mila addetti e partecipa alle entrate fiscali per il 16%», le cifre illustrate da Pavan Bernacchi nella sua relazione a Palazzo Madama. 


I segnali di ripresa del mercato italiano non entusiasmano comunque Federauto: «Se il 2015 confermerà il trend di crescita attuale l'anno si chiuderà a circa 1.500.000 auto immatricolate, registrando un +15%. Peccato che questo volume ci riporti indietro di 35 anni: era il 1980 quando l'Italia esprimeva questi numeri. Serve con urgenza una nuova fiscalità sugli autoveicoli, sia per i privati sia per le aziende, per favorire il rilancio del settore a costo zero per lo Stato». 


Per Federauto la ricetta per risollevare il settore è un’aliquota Iva agevolata per i privati, che «potrebbe generare in un triennio 756mila immatricolazioni aggiuntive, mentre il credito o deduzione d’imposta innescherebbe un’ulteriore domanda di 210mila vetture delle partite Iva. Il tutto sostenuto dalle conseguenti maggiori entrate fiscali e il minor ricorso a misure quali gli ammortizzatori sociali». 

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