Per inviarci segnalazioni, foto e video puoi contattarci su info@moto.it
Il piano del Dragone per resistere alle tariffe dell'Ue è complesso, e si snoda attraverso due dimensioni tra loro concatenate. Da un lato troviamo l'arena diplomatica: sono in corso fitti colloqui lungo l'asse Pechino-Bruxelles con l'obiettivo di trovare un compromesso e congelare le tariffe. C'è tempo fino al 4 luglio, ma se entro quella data non dovesse arrivare alcuna fumata bianca ecco che entrerebbero in campo i colossi cinesi del comparto automotive. Ciascuno dei quali pronto ad attuare strategie aziendali volte a neutralizzare il più possibile l'effetto delle sanzioni. Il contesto di fondo resta teso. Il rischio di una guerra commerciale a 360 gradi tra Europa e Cina è in crescita ogni giorno che passa.
Secondo quanto riportato dal quotidiano cinese Global Times, Pechino auspica che l'Ue lasci cadere nel vuoto le tariffe preliminari sugli EV made in China grazie ad un ipotetico accordo frutto di colloqui diplomatici. I funzionari di Pechino guardano in faccia la realtà, consapevoli che a Bruxelles quasi nessun governo vuole davvero avviare un braccio di ferro con il loro Paese. Non è un caso che il Dragone abbia più volte invitato la Commissione a fare un passo indietro ed espresso la volontà di negoziare. Entrambe le parti, in effetti, hanno concordato di riavviare i colloqui dopo un doppio appello lanciato dal vicepresidente della Commissione europea, Valdis Dombrovskis, e il ministro del Commercio cinese, Wang Wentao. Nel frattempo il ministro dell'Economia tedesco, Robert Habeck, è volato in Cina e dichiarato che le porte del dialogo sono "aperte". In caso di mancato accordo, tuttavia, il gigante asiatico ha fatto capire di esser pronto ad attuare misure di ritorsione. Restando sulle auto, è probabile che il governo cinese aumenterà i dazi fino al 25% sulle auto prodotte in Europa con motori da 2,5 litri (leggi: per lo più auto premium tedesche).
Scendendo nei dettagli, le case automobilistiche cinesi possono attuare quattro strategie diverse. C'è chi ha già iniziato a costruire fabbriche nel continente e chi ha avviato joint venture con aziende europee, in entrambi i casi nell'ottica di puntare su una produzione made in Europe. C'è poi chi sta cercando di esportare in Europa da Paesi terzi e chi, invece, intende gettare la spugna e indirizzare l'attenzione verso altri mercati. BYD e NIO, che hanno già investito milioni di dollari in investimenti nel Vecchio Continente, probabilmente sceglieranno di rafforzare la produzione in Europa. BYD potrebbe anche pensare di piazzare sui mercati europei più EV ibridi plug-in, un settore in cui l'azienda è particolarmente forte e che non sarebbe soggetto alle eventuali tariffe aggiuntive. Great Wall Motor, che ha una joint venture in Cina con BMW, e che ha dichiarato di aver chiuso la sua sede europea in Germania, metterà in scena un ritiro tattico. Leapmotor e Chery proveranno invece ad avanzare giocando di sponda con partner locali. Leapmotor è impegnata in una joint venture con Stellantis, e le due aziende dovrebbero iniziare a vendere in nove Paesi europei entro settembre. Chery si è invece unita a un partner spagnolo, Ebro-EV Motors, per assemblare auto a Barcellona. Il più grande produttore cinese di veicoli elettrici che esporta in Europa, Shanghai Automotive Industry (SAIC), potrebbe invece incrementare la produzione in Paesi terzi nel
tentativo di bypassare la scure tariffaria.