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«Siamo in Italia» verrebbe da dire, con un misto di rassegnazione, rabbia, frustrazione. Troppo riduttivo e sbrigativo, forse, fatalista e realista, certo. Del resto, si sa, affidarsi al Fato è indispensabile per sopravvivere in quello che solo una volta era il Bel Paese.
Cosa è successo? Qualcosa inspiegabilmente si blocca nella produzione delle targhe di autovetture e autocarri e il Paese, che più di ogni altro ha scritto la storia dell'auto, si ferma. La causa di tutto sembra risiedere nel fatto che il Ministero dell'Economia e Finanze non avrebbe ricevuto la comunicazione di autorizzazione a produrre e consegnare le targhe.
Una motivazione paradossale che da vita a una situazione tragicomica.
Il grido di allarme arriva dall'Unasca (Unione nazionale autoscuole e studi di consulenza automobilistica) che, in rappresentanza degli studi di consulenza, torna a lanciare l'allarme sull'emergenza targhe, come già successo più volte.
A quanto dichiarato, sono già diversi gli Uffici Provinciali della Motorizzazione Civile che stanno esaurendo le scorte delle targhe necessarie per immatricolare autovetture e autocarri per il blocco della produzione dello stabilimento del Poligrafico dello Stato sito a Foggia.
Sono le provincie di Milano e Firenze e Ascoli Piceno ad aver esaurito le scorte e, a breve, termineranno anche presso gli Uffici di Torino, Modena, Grosseto e Trento.
«È davvero incredibile - commenta Ottorino Pignoloni, segretario nazionale Unasca Studi - che anno dopo anno si debba continuare a segnalare questo stesso disservizio che mette a rischio, più volte nel corso dell'anno, il ritiro e l'uso dei veicoli già acquistati, spesso necessari anche per lavorare come nel caso degli autocarri. Oltre al fatto che il problema danneggia anche il lavoro delle agenzie, in alcuni casi impossibilitate a fornire il servizio richiesto dai cittadini».
Ci teniamo a ricordarvi, come fatto da Unasca, che il sistema italiano di produzione e distribuzione delle targhe è unico e il più costoso nel panorama comunitario. Siamo certi che non stentiate a crederlo.
Maurizio Vettor