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Ci sono Red Ronnie, Luciano Ligabue e Claudio Baglioni... ma non è l'inizio di una barzelletta. I tre invece sono solo alcuni dei protagonisti di Autostop Generation (di Patrizia De Rossi e Mauro Alvisi, edizioni LIT, Collana Ultra, 14 euro), che mette insieme aneddoti, interviste e ricordi di strada. Scritta così, sembrerebbe una serie di testimonianze sul proprio rapporto con l'autostop, una raccolta basata esclusivamente su sensazioni, emozioni, paure e speranze di una generazione che oggi, specialmente sotto le pressioni di un mondo in costante cambiamento, in cui trionfa la diffidenza nei confronti del prossimo, sta scomparendo.
Non è così, perché prima delle storie dei protagonisti, una sostanziosa parte di questo libro viene dedicata da Mauro Alvisi al significato dell'autostop, con una lettura fatta di psicologia e argomentazioni tratte dalle scienze sociali. Troppo lunga forse, ma senz'altro interessante, anche perché solo tramite questa prima parte si può leggere con occhi diversi la seconda (curata da Patrizia De Rossi), dove prendono posto gli autostop 'di necessità' (sono senza macchina, quindi chiedo uno strappo), 'di socialità' (faccio cose, incontro gente salendo a bordo di uno sconosciuto), 'di condivisione' (ospito a bordo perché voglio allargare la mia scoperta del mondo).
A parte alcuni nomi inseriti nel roster dei protagonisti che non lasciano traccia significativa se non il nome stesso (Luciano Ligabue e Paola Turci su tutti), piacciono molto le storie di Red Ronnie, Gad Lerner, Claudio Baglioni, soprattutto perché si torna indietro di decenni, e si riscopre una pratica che oggi viene mediata da servizi di car sharing, o che viene addirittura evitata per non correre rischi.
Autostop Generation è indiscutibilmente interessante, ma probabilmente l'avremmo organizzato in maniera diversa, mischiando le storie alla teoria, spiegando ogni episodio come si spiega una poesia romantica o un'opera latina, con note, approfondimenti, analisi. Per capire una generazione che oggi non c'è più.