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Correva l'anno 1988 e con il fratello di un mio amico ci insabbiammo all'Ascari dell'autodromo di Monza con la 164 3.0 di suo padre che, ignaro, era seduto sul divano di casa a guardare la televisione. Povero lui, convinto che la sua “amata” fosse nel garage sottocasa. Sfortunati noi, che dovemmo sborsare due mesi di lavoro estivo per farci tirare fuori dalla sabbia dal mitico carroattrezzi Fiat 615 dell'autodromo.
In quello stesso anno, sempre a Monza, durante il week-end del GP d'Italia, il silenzio dell'etere fu squarciato dal latrato di un'altra 164. Avete però presente quando nei film americani si vede l'attore scappare in sella a una moto o un auto doppiata con il suono di un mezzo che non centra assolutamente nulla con quello inquadrato?
Ecco, vedere sfrecciare la 164 Pro-Car che nascondeva nel baule un 10 cilindri a V di 3.500 centimetri cubi, insomma una 164 più vicina a una Formula 1 che all'auto del mio amico, sortiva lo stesso effetto negli spettatori.
Sì perché la carrozzeria non presentava strane appendici aerodinamiche, nessun voluminoso snorkel, niente che non facesse pensare a una 164 uscita da una concessionaria. Ma l'apparenza era fuorviante perché quella che appariva agli occhi era solo una scocca (in alluminio). In realtà, altro non era che un vero e proprio prototipo con struttura tubolare a contenere il propulsore, posizionato posteriormente.
Il progetto della 164 V10, nata per correre nella Production Car, campionato mai decollato, poteva sembrare apparentemente come un'idea folle, ma in realtà era un laboratorio a cielo aperto, un concentrato proteico di tutte le conoscenze meccaniche e ciclistiche del Reparto Corse Alfa. Un capolavoro per chi è appassionato di auto, ieri come allora. In realtà, nei piani della casa del biscione, c'era anche l'idea di andare oltre e fare anche una sorta di studio stilistico, ma poi i piani aziendali cambiarono e tutto si fermò.
Un motore degno di una F1
Il progetto era figlio della matita dell'Ing. Pino D'Agostino. Trattavasi di un aspirato, con l'impressionante potenza di oltre 620 cv, ottenuti a un regime massimo di 11.800 giri/min, trasmessa a terra per mezzo della trazione rigorosamente posteriore.
A completare il quadretto, un'impressionante coppia di 39 kgm a 9.500 giri/min. Queste le primarie caratteristiche del suo V10 (angolo di 72°), un motore nato per la massima serie di competizioni, la Formula 1, ma poi miseramente rimasto orfano della una vettura sulla quale essere installato per via del passaggio di Alfa nel gruppo Fiat. Insomma, doveva essere forse il motore della rinascita, dopo che l'Alfa, nel 1985, aveva la Formula 1 per la mancanza di fondi necessari per continuare ad evolvere il motore turbo 890T, nonché la fallimentare monoposto 185T.
Un propulsore che esordì in sala prove al reparto motori di Arese (Milano) il 1° luglio del 1987 dopo un'anno di gestazioni. Il motore, con cambio a sei marce, era sicuramente un concentrato di “chicche” tecniche.
Per quanto concerne la distribuzione, la testata era a quattro valvole ma a quanto sembra era già stata anche sviluppata una testa a cinque valvole. Il comando avveniva mezzo punterie idrauliche a ripresa automatica del gioco e trasmesso con quattro assi a camme , due per ogni testa. Gli alberi delle camme di aspirazione erano provvisti di variatore di fase.
Inoltre: bielle in titanio ad H stretta, pistoni stampati a due soli segmenti, valvole di aspirazione e volano in titanio. Il basamento era in lega di alluminio-silicio , fuso in conchiglia. I cappelli di banco erano in duralluminio, indurite nella parte interna con processo Nikasil. L'accensione avveniva per mezzo di cinque bobine, ovvero una ogni due cilindri.
La scelta di un V10 fece discutere in merito al bilanciamento delle forze di primo e secondo ordine e allo sfasamento degli scoppi, ma a quanto sembra, fu proprio il padre di questo motore, l'ing D'Agostino che, a una domanda riguardo la scelta di questa architettura rispose “Fatevi il conto in termini di tempo di quanto influisce lo sfasamento al regime di potenza massima”.
Sul piano telaistico, le sospensioni anteriori e posteriori erano a doppi quadrilateri deformabili del tipo "push rod" . Il telaio, tubolare, costruito in collaborazione con la Brabham era in Kevlar e alluminio
Concludiamo questo tuffo nel passato, rassicurando i più scettici di voi, riguardo l'affidabilità di questa vettura. A quanto si dice, l'esemplare eseguì una prova di durata di oltre 100 ore e non sorse alcun problema! Incredibile davvero...
Maurizio Vettor