Alex Zanardi: arrendersi, mai

Alex Zanardi: arrendersi, mai
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Alex Zanardi, coinvolto in un grave incidente in handbike oggi, ha impartito al mondo una grande lezione: non bisogna mai arrendersi di fronte alle avversità
19 giugno 2020

Bologna, dicembre 2001. Motor Show, si celebrano i caschi d'oro per la F.1, in platea Michael Schumacher con tutta la Ferrari, reduci dal secondo titolo mondiale consecutivo. E tantissimi tifosi. Poi la sorpresa. Si apre il sipario ed entra una carrozzella spinta dal dottor Costa. Seduto, sguardo sorridente, Alex Zanardi saluta l'ovazione del pubblico. Daniela lo guarda con occhi orgogliosi e quando Alex si alza in piedi, sulle protesi artificiali, appena tre mesi dopo il grave incidente del Lausitzring, scuote la testa, sorride e si gira verso il giornalista-amico: "Mi sa che questo torna a correre" le diciamo. "Sa anche a me e mi sa anche che non si limiterà alle auto, ha la faccia di chi si inventerà qualcosa".

Le parole della moglie sono state profetiche e lui, cosa disse all'epoca? "Guarda, lo sforzo lo faccio soprattutto perché voglio tenere sulle spalle mio figlio Niccolò, sarebbe la soddisfazione più grande della mia vita". Si è tolta questa e tante altre soddisfazioni. Sono passati 19 anni e quel qualcosa ha portato titoli mondiali nella Handbike, una categoria difficile dove il fisico deve pompare a mille, ma per Alex sentire lo sforzo fisico era positivo, era qualcosa di bello. Drammaticamente troncato dall'incidente di Pienza. Raccontare Alex è facile e difficile al tempo stesso. Un pozzo di aneddoti, di racconti, di sofferenza e umiliazioni. Vinte con la caparbietà di chi non molla mai. Se per Gilles Villeneuve il motto era non arrendersi mai, per Alex Zanardi non serve nemmeno dirlo.

Basta guardare cosa ha saputo fare con una vita troncata a metà. Le gambe da un lato, con il resto della monoposto distrutta, e lui di qua. Appeso alla vita: "Appena svegliato in ospedale mi sono concentrato su quello che era rimasto, non su quello che avevo perso". E vedere sempre le cose dal lato positivo è sempre stata la sua cifra agonistica. Anni 1988 e 89, l'arrivo in F.3 con un gruppo di diavoli scatenati che poi sono arrivati tutti o quasi in F.1. Lui col kart ci ha vinto, col padre che gli aggiustava bulloni, stringeva viti, regolava carburatori. E quando c'era da fare le gare alla sera nelle trasferte di Varano o Misano Adriatico, dopo le prove in F.3, le sportellate coi giornalisti e i meccanici. "Mi tengo allenato, dai. Cosa vuoi che sia una sportellata". Si vabbè, intanto le costole ammaccate, le gambe piene di lividi e la voglia di tirargli uno schiaffo era tanta, ma poi lo guardavi nei suoi occhi buoni e scoppiavi a ridere come un matto, fino alla prossima sfida.

Passano gli anni, debutta in F.1, il grave incidente di Spa, le delusioni di un mondo fatto di soldi e raccomandazioni. "Soccia che botta che ho tirato" disse dopo l'uscita all'Eau Rouge. "Ho fatto la zanardata al solito, è andata bene". La zanardata era qualcosa di unico, una manovra improvvisa e fuori dagli schemi. Lo disse a Vallelunga con la F.3, riprese la macchina per un soffio dopo una intraversata da paura alla Trincea, curvone in contropendenza: "Sai come è, io faccio cose eccezionali, o mi riescono bene o combino dei disastri, la classica zanardata...". Quella volta era andata bene, e altre ancora. Tranne che nel 2001 in Germania al rientro con la F.Indy. Il ritorno in F.1 nel 1998 con la Williams fu un disastro.

Nei box, fino a notte fonda, lo vedevamo armeggiare col volante,  pulsanti, cercare la posizione ottimale con quella monoposto che non andava bene in nessun caso: "Vedi, tutta colpa di mio padre - disse nei box a Barcellona - ho ereditato queste manone enormi, che coi volanti e i tastini piccoli non vanno bene. Se avessi avuto le manine di fata potrei usarli al meglio, invece così ci sbatto dentro dappertutto. Ma da mio padre ho ereditato anche la forza, per cui se va male, piego il volante e lo sistemo a modo mio" e finì con una risata allegra e i pochi meccanici a guardarlo stupito perché da ridere non c'era niente.

Se per Gilles Villeneuve il motto era non arrendersi mai, per Alex Zanardi non serve nemmeno dirlo. Basta guardare cosa ha saputo fare con una vita troncata a metà. Le gambe da un lato, con il resto della monoposto distrutta, e lui di qua. Appeso alla vita

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Questa sua attitudine, questa sua disponibilità e vedere sempre il lato positivo della vita lo ha fatto diventare un campione amatissimo dalle folle. Il lottatore che non si arrende, che vince le sfide e resta umano. A Budrio, dove gli hanno montato le prime protesi, era in reparto con altri ragazzi disabili e quasi si vergognava perché lui, Zanardi, era ricco, famoso e conosciuto e, in fondo, la perdita delle gambe rispetto ai problemi degli altri era poca cosa. Altruista, anche dopo anni, sempre pronto a dare un aiuto, un supporto, un messaggio positivo. Quel messaggio che oggi, milioni di tifosi al suo capezzale, rivolgono a lui e a questa ennesima sfida. Un'altra zanardata da portare a termine. E ripartire con quella grinta che solo lui ha saputo infondere a tanti che lo hanno eletto come mito da imitare nella lotta quotidiana all'handicap. Forza Alex, siamo tutti con te.

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