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Greenville (USA) - Incredibile Zanardi. Un vincente come pilota, come atleta e soprattutto come persona, capace di affrontare qualunque impresa e qualunque esito con il sorriso sulle labbra. Uno di quei rari campioni non consumati dalla propria motivazione, che trovano invece stimoli positivi da qualunque situazione, successo o difficoltà che sia. E’ naturale, quando uno ha passato quello che ha passato lui e ne è uscito vincitore, in piedi su gambe che forse non saranno le sue, ma che ha saputo piegare alla sua indomita volontà grazie anche all’aiuto di quell’altro grande sognatore che è il dottor Claudio Costa, il medico dei piloti del Motomondiale.
Lo abbiamo incontrato negli Stati Uniti, dove in occasione dei Mondiali di Handbike di Greenville il pilota di Castelmaggiore ha visitato gli stabilimenti BMW, parlandoci delle sue mille iniziative ed attività, con un occhio al passato e due al futuro. Iniziando naturalmente dalla Handbike, in cui ci parla dei suoi obiettivi.
Alessandro Zanardi. Non ti fermi mai, quali sono le tue prossime sfide?
«Ho naturalmente intenzione di continuare ed arrivare ai giochi di Rio De Janeiro del 2016. Nel frattempo ho mantenuto un ottimo rapporto con BMW – abbiamo vissuto dei bellissimi momenti insieme nella mia storia più recente, perché dopo il mio incidente ho accettato la loro offerta per ricominciare a correre nel WTCC dove siamo riusciti a tornare a vincere contro tutte le aspettative. C’era molta gente piuttosto scettica sulle mie possibilità – non solo di vittoria, ma anche di essere competitivo in un campionato tanto duro come era il WTCC quando ci siamo impegnati con BMW»
«Nonostante tutte le difficoltà abbiamo lavorato con tenacia, migliorando giorno dopo giorno e trovando una soluzione che mi ha consentito di guidare al meglio delle mie capacità, tanto da poter riassaggiare lo champagne sul podio nel 2005, ad Oschersleben. Abbiamo vinto diverse altre gare, ma nel frattempo ho scoperto l’hand-cycling e ho pensato che sarebbe stato davvero bello poter raccontare ai miei nipoti – se sarò così fortunato da averne – tutta la mia vita sportiva, mettendoci magari una partecipazione alle paralimpiadi. Ma per migliorare il mio livello, e confrontarmi con gli atleti più forti a livello internazionale dovevo fare una scelta; a fine 2009 ho deciso di abbandonare le corse in auto e concentrarmi di nuovo sul paraciclismo»
Specialità dove Zanardi ha vinto un paio di medaglie prima di tornare dietro al volante...
«Si, non solo sono riuscito a partecipare ai giochi di Londra, ma ho vinto due medaglie d’oro – sia nella cronometro che nella gara su strada – è stato fantastico, per l’esperienza ma anche per il tempismo. Come ciclista sono molto giovane da un punto di vista dell’esperienza – riuscire a completare la mia curva d’apprendimento così in fretta per poter dare il meglio delle mie prestazioni esattamente in tempo con la gara più importante della mia carriera, quella di Londra ovviamente, è stato fantastico. Qualcosa che abbiamo cercato di pianificare, certo, ma… un po’ di fortuna nella vita, ogni tanto, aiuta. Considero già il solo fatto di aver scoperto questa disciplina un dono, perché molte delle cose che ci succedono nella vita sono legate al nostro destino»
Si può trovare un parallelismo con la ritrovata carriera a quattro ruote di Alessandro, che dopo aver vinto a Londra, proprio sul tracciato di Brands Hatch, quest’anno vi ha corso una bellissima gara nella Blancpain GT Series.
«E’ vero – Brands Hatch è un posto quasi magico per me. Già nel 1991, quando ci sono stato per la prima volta come astro nascente della Formula 3. Ero arrivato lì sulla scia di alcune belle prestazioni che mi erano valse l’attenzione dei Team Manager di Formula 1, ma tutti mi aspettavano al varco, perché Brands Hatch è considerata una pista molto difficile, di quelle che mettono in mostra il vero talento dei piloti. E’ stata la mia fortuna, perché non mi limitai a conquistare la pole position, ma rifilai un secondo netto al primo degli inseguitori, Damon Hill, che era in prima fila con me. E’ stato uno dei momenti con cui mi sono garantito un futuro negli sport motoristici»
«Ed è stato a Brands Hatch nel 2007, quando correvo nel WTCC, che mi si è avvicinato un amico, rappresentante di uno dei miei sponsor, chiedendomi di andare a New York per fare un discorso al loro Pasta Party (le tradizionali mangiate di carboidrati che gli atleti fanno il giorno prima delle gare sulle lunghe distanze) del sabato sera. Risposi che andava bene, ma già che andavo a New York perché non fare la maratona? Credeva che stessi scherzando, mentre ero serissimo – la settimana prima avevo letto un vecchio numero di Autosprint in cui Clay Regazzoni raccontava della sua gara su una hand-cycle alla Maratona di New York. E’ così che ho scoperto di poter correre lì, ci sono andato e ho finito per vincere – ecco da dove è partito tutto. L’idea, di fatto, è nata a Brands Hatch»
«Da lì poi ho deciso di tentare la qualificazione per le Olimpiadi e così come tutto è partito da Brands Hatch, in un certo senso il destino si è anche compiuto lì – certo, non ho abbandonato l’attività, sto continuando, ma la partecipazione alle Olimpiadi era il mio orizzonte, il punto che volevo raggiungere. Sei mesi prima delle paralimpiadi annunciarono il luogo in cui si sarebbe corsa la gara di paraciclismo: quando sentii che si trattava del circuito di Brands Hatch pensai all’ironia della cosa. Il resto è storia – è stato un momento bellissimo, sono tornato a Brands per correre su tre invece che quattro ruote»
“Non mi limitai a conquistare la pole position, ma rifilai un secondo netto al primo degli inseguitori, Damon Hill, che era in prima fila con me”
Come per chiudere un cerchio, dopo le vittorie nel paraciclismo si è riaperta la porta delle gare su quattro ruote.
«Nel 2013 mi sono confermato campione del mondo in Canada, sia nella cronometro che su strada, e nell’inverno mi è arrivato una telefonata da BMW, teoricamente per farmi gli auguri, visto che era il 23 ottobre. Colui che mi aveva telefonato era il capo delle operazioni di Mercedes ai tempi in cui… li prendevo a calci nel sedere nella Indycar, dove fornivano i loro motori. All’epoca non ero certo il suo migliore amico, ma evidentemente aveva un certo rispetto per me come pilota – di fatto chiuse le telefonata dicendomi “Mi piacerebbe moltissimo averti fra i miei piloti”, a cui ho risposto “Perché non me l’hai chiesto allora? Avete quella bellissima Z4, perché non me la fai provare?” E’ rimasto stupito del fatto che avrei accettato una loro offerta, e un mese dopo mi sono trovato coinvolto nel progetto del Blancpain GT Sprint Championship»
«La settimana scorsa ero in Slovacchia con la mia Z4, con cui però sono rimasto coinvolto in un brutto incidente alla prima curva – una vera sfortuna, perché ero convinto di poter fare anche meglio di quanto non avevo fatto a Brands Hatch dove ho conquistato un quinto posto. Penso che avrei potuto vincere, perché sapevo che la BMW era la macchina da battere in Slovacchia grazie alla capacità di risparmiare le gomme. Lì il consumo degli pneumatici è un problema, e in gara si è visto: BMW ha fatto doppietta, ma con due macchine che in griglia partivano dietro di me. Un peccato, è stato un errore mio, sono cose che capitano in gara, ma avrò l’occasione di rifarmi già fra due settimane a Portimao»
E’ un periodo molto impegnativo per Zanardi, fra gare, competizioni e tante altre avventure. Come fai a trovare il tempo per tutto, fra allenamenti, impegni familiari e quant’altro?
«Beh, non posso certo lamentarmi, sono una persona molto fortunata – credo che ogni cosa che ti capita nella vita, almeno finché hai ancora la tua vita, può trasformarsi in un’opportunità. Non mi piace neanche parlare di quello che mi è capitato perché normalmente ricevo talmente tanti complimenti per quello che ho fatto ovunque vada che credo sia più di quanto mi meriti. Per farla breve, credo che tutto quello che ci capita sia un’opportunità, perché tutte le attività in cui sono coinvolto ora sono direttamente legate alla mia condizione. Ho una vita meravigliosa, in cui ho successo perché amo quello che faccio e il mio unico merito è stato probabilmente quello di mantenere la mia curiosità – non mi sono concentrato su ciò che avevo perso, ma su quello che mi rimaneva, su quello che potevo fare nella mia condizione. E forse faccio più cose adesso di quante non ne facessi prima – non mi è rimasto molto da dimostrare, tranne forse essere il primo uomo su Marte, magari parlerò con il presidente Obama per proporre la mia candidatura (ride, ndr) »
«Sono felicissimo, faccio di tutto al top delle mie possibilità e sono brand ambassador di una Casa come BMW, cosa che mi riempie d’orgoglio perché oltre ad avere un marchio di grande prestigio la considero un po’ una seconda famiglia. In loro ho trovato la stessa curiosità che ho avuto io dopo il mio incidente, persone interessate a studiare la mia proposta di tornare a mettermi in gioco, trovare il modo di correre ed essere competitivo ai massimi livelli. E non è certo una decisione facile da prendere per una grande casa come BMW, perché certo, un’impresa del genere aumenta la tua visibilità in maniera positiva, ma il rovescio della medaglia è che se avessi avuto un incidente, se mi fossi fatto male sarebbe stato un disastro. Tutti i responsabili BMW si sono seduti con me attorno ad un tavolo e alla fine hanno deciso di darmi fiducia – credo che in un qualche modo la tecnologia BMW si sia in qualche modo fusa con la curiosità italiana, permettendoci di trovare una soluzione per farmi tornare ad essere più o meno il pilota che ero prima. Non sono mai stato il pilota migliore del mondo, ma sono sempre abbastanza bravo da vincere gare con il materiale giusto – situazione che siamo riusciti a replicare, perché ci siamo goduti i nostri successi e spero che ne collezioneremo altri. O perlomeno, questo è il nostro obiettivo»
Alessandro Zanardi racconta la vittoria del Mondiale di Greenville 2014
La curiosità sorge quasi spontanea: come è stato accolto Zanardi dalle comunità del paraciclismo e dell’automobilismo dopo l’incidente?
«E’ difficile dare una valutazione obiettiva, perché dopo quello che mi è capitato sono stato soggetto ad una tale esposizione mediatica che vengo riconosciuto e stimato più della media, e forse più di quanto mi meriti. Però nella maggior parte delle gare, soprattutto nel paraciclismo dove i tifosi sono più vicini, vedo che c’è sostegno e incitazione verso tutti gli atleti. Certo, forse ho portato un po’ di visibilità in più a certi sport – sto cercando di rispondere alla domanda senza autoincensarmi, ma è difficile – perché soprattutto in Italia la gente mi riconosce quasi ovunque vada e mi chiede un autografo o mi racconta, lacrime agli occhi, quanto la mia storia lo abbia ispirato»
“Sono felicissimo, faccio di tutto al top delle mie possibilità e sono brand ambassador di una Casa come BMW, cosa che mi riempie d’orgoglio perché oltre ad avere un marchio di grande prestigio la considero un po’ una seconda famiglia”
«Però possiamo trovare ispirazione non solo in Alex Zanardi, ma in tante persone attorno a noi, in una madre che si alza la mattina anche se è malata per andare a lavorare per mantenere la sua famiglia. Nel mio percorso di riabilitazione ho incontrato persone meravigliose: un giorno, a Imola, vidi un uomo che teneva in braccio una bambina – non capivo perché fosse lì finché non ho visto che la bimba non aveva le gambe. Stava piangendo, ma quando mi sono avvicinato l’ho visto girarsi e guardarmi con un sorriso che contrastava con le lacrime. Gli chiesi se stava bene, lui mi rispose che era il giorno più felice della sua vita. Sua figlia era nata senza gambe, e i dottori gli avevano detto che avrebbero dovuto aspettare fino ai quattro anni per darle le prime protesi – il giorno era arrivato. Il dottore gli aveva chiesto “E le scarpe?”. Lui aveva dovuto correre fuori per comprare un paio di scarpe per sua figlia per la prima volta nella sua vita, vedendola in piedi poco dopo. E’ impossibile non provare qualcosa di enorme davanti a cose come queste: quel padre è un esempio molto più forte di quello che può essere Alex Zanardi, ma d’altro canto il personaggio Alex Zanardi ha una tale esposizione mediatica – sono dappertutto, come il prezzemolo – che posso raggiungere molte più persone. Quindi, se qualcuno nella sua vita mi vede al volante della mia Z4 o a correre sulla mia hand-bike e in quel gesto vede qualcosa di più di quello che sto fisicamente facendo, traendone ispirazione non posso che esserne orgoglioso, e ringraziare Dio per avermi dato – sia pure indirettamente – un potere tanto grande. Ma io sono solo Alex Zanardi, un fortunato bastardo che ha la possibilità di fare tutto quello che vuole e di essere pagato per farlo!»
Dove si trova l’ispirazione per continuare a competere e a vincere come fa Zanardi?
«Capisco la domanda, perché quello che vedete di me sono le mie gare, le imprese sportive. Ma per me non è che l’ultimo passo, l’orizzonte di obiettivi che mi sono preposto. Mi diverto in tutto il percorso che mi porta alla gara, non solo nella gara. Certo, una volta che arrivo alla gara è il risultato a diventare importante ma se non mi fossi goduto ogni singolo giorno delle mie avventure, dei miei sacrifici, della mia preparazione, non sarebbe stata la stessa cosa. Non sono salito sulla hand-bike per vincere due medaglie d’oro, ho vinto due medaglie d’oro perché mi piaceva andare sulla mia hand-bike! E’ la stessa cosa quando corro in macchina – certo, correre è bello, e vincere, battere tutti i tuoi avversari, ti dà una sensazione fantastica ma per esempio, il primo test di quest’anno a Vallelunga, dopo quattro anni di assenza dalle gare… quando stavo lì, seduto nell’abitacolo, in una bella giornata, con l’erba verde, il cielo azzurro e 500 cavalli sotto il sedere con cui giocare a mio piacimento… beh, ero felice come un maiale nel fango! Era bellissimo, quando è questo l’approccio il successo non è che la logica conseguenza di quello che si fa. Non è questione di determinazione, impegno o cose del genere: lo fai perché ami farlo, e se hai sufficiente talento prima o poi il tuo giorno arriverà. Credo che la parola che definisce tutto questo sia “passione”»
Non molti però riescono a trovare la forza per maturare l’approccio di Zanardi alla sua nuova condizione
«Beh, ognuno di noi è unico, diverso da tutti gli altri. Reagiamo ognuno a modo suo, e il più delle volte non sappiamo nemmeno come reagiremmo se ci trovassimo nelle condizioni con cui qualcun altro è costretto a misurarsi. Se io avessi visto quello che mi è capitato succedere a qualcun altro avrei sicuramente fatto parte della schiera di chi dice “Wow, guarda quel tipo – io non ce l’avrei mai fatta a fare quello che ha fatto lui” ma… è successo a me, e sicuramente non avevo pianificato né il mio incidente né la mia reazione successiva. Quello che posso dirvi è che uscito dal coma, nel mio letto d’ospedale, mia moglie mi ha detto cosa mi era successo – era una cosa voluta, i medici mi hanno risvegliato gradualmente perché potessi scoprire da lei come erano andate le cose prima di rendermene conto in prima persona. Poi ho scoperto i dettagli – che il mio cuore si era fermato sette volte, che mi avevano dovuto trasfondere una quantità incredibile di sangue dopo aver resistito oltre 15 minuti con meno di un litro in corpo. Una cosa incredibile, la scienza non contemplava la possibilità di sopravvivenza per una persona nelle mie condizioni, men che meno un recupero delle funzionalità degli organi interni e del cervello come è stata la mia. Insomma, dopo quel momento avevo una vaga idea di cosa mi era capitato, ed ero così felice di essere vivo, quindi mettermi al lavoro per riorganizzare le cose della mia vita non è stato un progetto, un’attività necessaria quanto un vero e proprio dono che avevo ricevuto – poter continuare la mia vita, non dover ripartire. Ecco perché non mi sono fermato, perché mi sono concentrato su quello che potevo fare, sono stato così determinato per arrivare dove potevo: avevo visto altra gente tornare ad avere una certa qualità di vita, ed essendo una persona molto ottimista ho pensato dentro di me di poter fare di più»
“Non sono salito sulla hand-bike per vincere due medaglie d’oro, ho vinto due medaglie d’oro perché mi piaceva andare sulla mia hand-bike!”
E sicuramente ci è riuscito, viste le prestazioni dimostrate tanto al volante che in sella. Che differenza c’è, a proposito, in termini atletici nei due sport?
«Fisicamente è molto diverso: chiaramente competere nel paraciclismo è più impegnativo. Ci sono tanti tipi di discipline raccolte sotto l’egida delle Paralimpiadi, in certune il livello non è elevatissimo e lo si vede dal fatto che sfortunatamente a volte arriva alle un ex campione dello sport tradizionale e batte i record con un margine incredibile, il che fa chiedere se ci si trova davanti ad un mostro o se, più semplicemente, il livello della competizione non fosse esattamente irresistibile. Nel paraciclismo credo che invece il livello sia piuttosto alto, soprattutto nella mia categoria anche se la partenza non è affollatissima, soprattutto perché è molto costoso per le squadre schierare i propri atleti quindi i team portano solo quelli che hanno una reale possibilità di fare bene. Ma siamo piuttosto veloci – le nostre velocità medie arrivano a 45 km/h su distanze di 20 km, sono numeri interessanti anche per i ciclisti, figuratevi per uno che spinge la sua bici con le braccia! E molto impegnativo, bisogna allenarsi molto, con metodo e grande regolarità. Fortunatamente ho un ottimo allenatore, che ha 16 anni meno di me – ironico, di solito è il contrario – e lavoriamo molto bene insieme»
«Psicologicamente, invece, è quasi facile rispetto agli sport motoristici – si tratta di una forma di competizione in cui non si possono commettere errori. Non è un match di tennis, in cui uno può sbagliare un colpo, mandare la palla in rete, imprecare, magari rompere la racchetta per poi riprendere, ritrovare la concentrazione e magari vincere comunque l’incontro. Negli sport motoristici quando sbagli e finisci nella ghiaia è finita, arrivederci – nel migliore dei casi bisogna aspettare due settimane per avere una seconda opportunità, ma quella è comunque sprecata per sempre. Psicologicamente è uno sport durissimo, ma anche fisicamente è diventato più impegnativo che in passato – quello che faccio ora, nel Blancpain GT Series è molto duro per via del caldo: l’aria raggiunge i 50°, ci sono parti dell’abitacolo dove la temperatura arriva a 65° - l’altro giorno sono sceso dalla macchina e la suola in gomma delle mie scarpe si era sciolta, anche se ovviamente non me ne sono accorto mentre guidavo (ride, ndr). Per cui si, è molto stancante soprattutto per una persona come me, senza gambe: gli arti sono le zone del corpo in cui il sangue si rinfresca maggiormente durante la circolazione. Non avendo le gambe sono un po’ come un motore a cui manca una parte del radiatore, ma certo, fisicamente non fatico come faccio quando sono impegnato in una gara di hand-bike, magari quando sono il favorito e gli avversari si alleano contro di me come succederà qui a Greenville. Vediamo se ce la farò a finire un’altra volta con il sorriso sulle labbra!»