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Una cosa che sapevano anche gli antichi, dai tempi della Torre di Babele e da quelli delle Piramidi, è che ogni costruzione, per rimanere in piedi, deve innanzitutto riuscire a reggere il proprio peso. Poi, a seconda della destinazione d’uso, si provvede ad aumentarne la capacità di sostenere i carichi aggiuntivi o comunque di renderle più “robuste”. Ai nostri giorni, dovrebbero bastare delle prospezioni geologiche sicure, dei calcoli ben fatti, del materiale di buona qualità, un’esecuzione accurata e un programma di controllo e manutenzione per garantire che una struttura come un cavalcavia o un ponte resti in esercizio per parecchi anni. La fine vita dovrebbe essere determinata da una demolizione programmata e volontaria, decisa in seguito alla constatazione di una perdita di efficienza della struttura.
Con queste premesse, è chiaro che i veicoli destinati a passare sopra e sotto i ponti non sono dotati di protezioni o accorgimenti atti a evitare le conseguenze di eventuali crolli delle infrastrutture. Sicché normalmente si viaggia su macchine che hanno molti dispositivi per evitare che avvengano gli incidenti o proteggerci nel caso che ne fossimo vittime. La carrozzeria e i vetri ben resistono alla grandine o ai sassi o persino alla caduta di alberi di dimensioni ridotte, le revisioni e i controlli obbligatori tengono le auto in efficienza; ma non è previsto che ci cada un ponte sulla testa o che precipitiamo verso il basso per un cedimento della carreggiata. Invece sarebbe meglio che i costruttori di veicoli e i programmatori di percorsi comincino a pensarci, almeno in Italia.
Ad esempio oggi i “navigatori satellitari”, quando abbiamo scelto la località di partenza e quella di arrivo, ci propongono diverse alternative: percorso più breve o percorso più veloce? Strade “normali” o strade con pagamento di pedaggio? In futuro potrebbero proporci: strade con ponti o senza ponti? E più in dettaglio: strade con ponti in metallo o in cemento armato (dove le “magagne” sono più nascoste)? E, passando dalla tecnica alla fiducia: strade dell’Anas o percorsi meno a rischio di crolli? Non suggerisco la distinzione “ponti nuovi-ponti vecchi” giacché alcuni di quelli recenti sono crollati, mentre, ad esempio, il ponte Milvio, del 109 avanti Cristo e teatro della famosa battaglia tra Costantino e Massenzio nel 312, è ancora transitabile. Per non dire del ponte Cararvan a Smirne, in Turchia, su cui passano i veicoli, che ha quasi 3000 anni.
I Costruttori di automobili potrebbero prevedere l’installazione di “razzetti verticali” che, quando viene a mancare il suolo sotto le ruote, sostengano il veicolo quanto basta per posarlo dolcemente a terra, sullo stile dell’atterraggio dei moduli lunari o marziani. E anche di “razzetti longitudinali” che, allorché una misurazione da bordo eseguita in tempo reale tramite raggi laser constati un cedimento della struttura sovrastante, proiettino il veicolo oltre la zona critica che sarà devastata dal crollo. Né bisogna sottovalutare le informazioni del tipo “passaparola confidenziale”: “guarda, ti consiglio quell’itinerario perché mio cognato, che lavora all’Anas, mi garantisce che è stato fatto a regola d’arte ed egli stesso ne controlla la manutenzione”.
D’accordo, si scherza; ma l’ennesimo episodio, di una serie a cadenza mensile, in cui un cavalcavia ANAS, il 18 aprile 2017 a Fossano (Cuneo), precipita “da solo” all’improvviso, rischiando di uccidere due carabinieri miracolosamente sfuggiti alla distruzione della loro automobile, non fa che confermare i sospetti che si tratti di una situazione diffusa (dalla Sicilia alle Alpi), fuori controllo, e ad alta probabilità. L’unico veicolo che non subisce danni perché resta immobile, fuori dalle zone pericolose, impantanato nella pozzanghera dei sospetti di “appalti e subappalti truccati o pilotati”, dei controlli inesistenti, dell’irreperibilità dei responsabili e della sordità alle segnalazioni urgenti di pericolo, è il “carrozzone” dell’ANAS. E adesso via all’inchiesta giudiziaria che si concluderà in tempi geologici.