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L’idea di impiegare più di due valvole per cilindro i tecnici l’avevano avuta già nei primissimi anni del Novecento. Il primo brevetto relativo a una testa di questo genere (con le valvole disposte radialmente e non su due piani inclinati tra loro) è dovuto a Hotchkiss e risale al 1906. Ben presto c’è stato anche chi ha pensato di impiegare non quattro, ma sei valvole per cilindro (MAN, Borderaux). Il motore Fiat 561 da competizione del 1909 aveva la distribuzione monoalbero a quattro valvole e lo stesso schema adottavano la Opel e la Benz da corsa dell’anno successivo. In tutti questi casi le valvole venivano azionate da bilancieri a due bracci.
L'intuizione
A indicare lo schema più vantaggioso, con riduzione al minimo delle masse in moto alterno e con la disposizione complessivamente più razionale delle valvole, due da una parte e due dall’altra della testa, su due piani inclinati tra loro, è stato il progettista della Peugeot Ernest Henry nel 1912, con il suo motore da GP a quattro cilindri, dotato di distribuzione bialbero, con eccentrici che agivano su semplici e leggeri bilancieri a dito. Si tratta dello stesso schema oggi adottato universalmente nel campo dei motori di alte prestazioni, tanto da competizione quanto di serie. In molti casi al posto dei bilancieri a dito si impiegano delle punterie a bicchiere (brevettate nel 1916 e impiegate la prima volta dalla Ballot nel 1919), ma a parte questo, tutto il resto è uguale.
La strada era mostrata e in breve tempo quasi tutti i principali costruttori di auto da competizione hanno adottato questo stesso tipo di distribuzione. Per quelle di serie, però, la storia è stata decisamente diversa…
Gli anni venti
Negli anni Venti, mentre le teste bialbero erano diventate la norma, per i motori da corsa, diverse case hanno fatto ritorno alle due valvole per cilindro, anche per via della generalizzata adozione della sovralimentazione. Questa
soluzione nel dopoguerra è diventata quella standard tanto sulle monoposto quanto sulle vetture della categoria Sport (negli anni Cinquanta solo la Borgward, tra le europee, impiegava teste a quattro valvole).
Sono state fondamentalmente le straordinarie prestazioni fornite dai motori motociclistici Honda nei primi anni Sessanta a far sì che l’interesse dei progettisti tornasse a focalizzarsi sulle distribuzioni a quattro valvole per cilindro, che sono state gradualmente adottate da tutti i costruttori impegnati nel mondiale di Formula Uno nella seconda metà di tale decennio.
Le auto di serie
Tra le auto di serie, solo pochissime nell’anteguerra hanno adottato distribuzione bialbero (spiccano la Salmson, l’Alfa Romeo e la Bugatti). Dopo il secondo conflitto mondiale sono arrivati sulla scena i motori Jaguar e Aston Martin / Lagonda (1948), seguito dopo pochi mesi dall’Alfa Romeo 1900. Poi sono arrivati i quattro cilindri della Giulietta e della Giulia, e questo tipo di distribuzione si è esteso anche a vetture prodotte in gran serie e destinate al normale impiego quotidiano. Grazie alle cinghie dentate, la soluzione bialbero è stata adottata nel corso degli anni Sessanta anche dalla Fiat e da altri costruttori. Perché ai due alberi a camme in testa iniziassero ad essere abbinate quattro valvole per cilindro è stato comunque necessario aspettare ancora un bel po’.
Tornando alle auto da competizione, negli USA, dove si correva sugli ovali, la scena è stata dominata fin dagli anni Trenta dai motori a quattro cilindri con distribuzione bialbero disegnati da Leo Goossen, che nelle versioni più famose erano a sedici valvole. Si trattava del Miller, diventati poi Meyer-Drake e Offenhauser.
Le due ruote
Per le moto le cose sono andate diversamente. Nel primo bialbero a quattro valvole, un bicilindrico parallelo da competizione realizzato nel 1914 dalla Peugeot, c’era la mano di Ernest Henry. Non si può dire però in questo caso che la strada indicata dal grande tecnico svizzero sia stata abbracciata rapidamente dagli altri costruttori.
Negli anni Venti sono stati realizzati alcuni motori monocilindrici a quattro valvole (Triumph-Ricardo, Guzzi, Rudge), ma nessuno di essi era bialbero. Le distribuzioni infatti erano ad aste e bilancieri o monoalbero. Ben presto lo schema più affermato, per i motori da competizione, è diventato quello a due valvole con un solo albero a camme in testa, che le azionava per mezzo di bilancieri a due bracci. Ad abbracciare alla grande lo schema bialbero è stata la Bianchi nel 1924 con la sua 350 “Freccia Celeste”, il cui nome è indissolubilmente legato al grande Tazio Nuvolari. Il suo motore
monocilindrico, a due valvole, era stato progettato da Mario Baldi.
Gli anni trenta
È stato però solo dalla metà degli anni Trenta in poi che la maggior parte dei costruttori di motori da corsa ha iniziato ad orientarsi con decisione verso le teste bialbero, invariabilmente a due valvole. Per quanto riguarda la produzione di serie, il decennio in questione ha visto il passaggio definitivo dalla distribuzione a valvole laterali a quella ad aste e bilancieri, adottata da quasi tutte le case per i modelli non solo sportivi ma anche turistici. Ci sono stati però anche alcuni eccellenti esempi di motori monoalbero, come i 250 e 500 Benelli.
Gli anni quaranta
Nel corso degli anni Cinquanta, mentre tutte le moto da competizione a quattro tempi erano bialbero (salvo due o tre di eccezioni), tra le sportive stradali le teste monoalbero hanno iniziato ad avere una buona diffusione. Per assistere alla affermazione delle distribuzioni bialbero è stato necessario però attendere l’entrata in scena dei costruttori giapponesi.
La Honda CB 450 con due alberi a camme in testa è apparsa nel 1965, mostrando chiaramente la direzione che doveva essere presa. Questa moto è stata prodotta a lungo e in numero elevati, a differenza della MV a quattro cilindri, comparsa pochi mesi dopo (in versione di 600 cm3), dotata essa pure di testa bialbero. All’inizio degli anni Settanta sono entrati in produzione via via modelli con due alberi a camme in testa come la Kawasaki Z-1 900 e la Laverda 1000, seguiti dalla Suzuki GS 750.
Negli anni settanta
Per quanto riguarda le quattro valvole per cilindro, praticamente d’obbligo nei quattro tempi da competizione già dalla metà degli anni Sessanta (aveva cominciato la Honda, mostrando a tutti la strada con la vittoria nel mondiale 250 del 1961), sulle moto di serie sono tornate in scena, un poco in sordina, quando sono state adottate dalla Honda XL 250 monoalbero (1972) e dalla Yamaha TX 500 bicilindrica bialbero (1973).
Tra la fine degli anni Settanta e l’inizio del decennio successivo via via tutti i modelli di prestazioni più elevate prodotti dalle principali case sono stati finalmente dotati di teste bialbero a quattro valvole per cilindro (la Yamaha è addirittura andata oltre, adottando cinque valvole, soluzione che avrebbe abbandonato solo diverso tempo dopo).