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Le traiettorie di Sebastian Vettel e Daniel Ricciardo si sono incontrate all’inizio dell’era dell’ibrido per una singola stagione da compagni di squadra in Red Bull, nel 2014. E sono destinate a farlo di nuovo nel weekend del Gran Premio di Abu Dhabi, il GP in cui le loro carriere in Formula 1 arriveranno al termine, dopo un percorso pluridecennale che ha portato Ricciardo a vincere otto gare e Vettel a cogliere quattro mondiali. Ma le modalità di questi due ritiri non potrebbero essere più diverse.
La scelta di Vettel, per quanto indubbiamente sofferta, è incontrovertibilmente sua. L’incompatibilità della sua attenzione all’ambiente con un mondo tutto meno che ecosostenibile, in barba ai proclami degli ultimi anni, si è fatta insopportabile. E più forte del suo amore per la parte più genuina della F1, la lotta in pista, che accomuna i tempi moderni a quelle ere analogiche con cui Sebastian sente una certa affinità.
Che non sia semplice congedarsi dalla F1 per Vettel lo si capisce dalla sottile malinconia intuibile nella gratitudine che Sebastian sta mostrando verso un mondo che è pronto a lasciare. Con il suo nuovo look da tennista anni Ottanta, si è goduto le sue ultime corse con l’entusiasmo di un novellino, assaporando ogni sorpasso, ogni curva percorsa con la sua AMR22, certo non degna del talento che ha saputo mostrare in F1 all’apice della sua carriera. Vettel, però, è pronto a congedarsi dalla F1 con la serenità di chi ha scelto di porre fine al proprio percorso.
Daniel Ricciardo, invece, non ha avuto questo lusso. Le sue quotazioni sono precipitate verso il basso nel corso della sua infelice esperienza in McLaren, scuderia in cui si è completamente perso. Un pilota come lui, abituato ad avere un approccio prettamente istintivo alla guida, non è riuscito ad affrontare razionalmente l’adattamento a monoposto che non si sposavano con il suo stile. Il risultato è lo stesso di quando si cerca di pensare a un’azione quotidiana spacchettandone i gesti: perdono di senso. E piano piano, Ricciardo ha cominciato a sorridere solo con la bocca, e non con gli occhi, velati da una coltre di tristezza.
Con il passare del tempo, il problema non si è risolto. Anzi, è peggiorato, fino a coprire le mancanze della stessa McLaren nel 2022. E il divorzio dalla scuderia di Woking è diventato inevitabile. Ma le motivazioni di questo addio – le prestazioni sottotono, frutto delle sue difficoltà nell’adattarsi a una nuova realtà – sono le stesse per cui non è riuscito a trovare una collocazione per il 2023. L’unica opzione per aggrapparsi alla F1 resta il ruolo da terzo pilota, forse proprio – ironia della sorte – dal team da cui è fuggito per iniziare la sua peregrinazione verso una consacrazione che non è mai arrivata.
A 33 anni, Ricciardo potrebbe anche guardare altrove, magari all’Indycar. Ma vorrebbe concludere con i suoi modi e i suoi tempi la sua lunga parentesi in F1, scrivendone un ultimo capitolo. È il sogno di ogni pilota abbastanza fortunato da costruire una carriera duratura nel Circus. La verità, però, è che chiudere il cerchio è un lusso che non tutti riescono ad avere. E in questo sta la differenza dei due percorsi di Ricciardo e Vettel, destinati a convergere in un avvenire lontano dal Circus. Almeno per ora.