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Un maggiore frazionamento, ferma restando la cilindrata, consente di ottenere una potenza più elevata, se il rapporto corsa/alesaggio non varia e se le caratteristiche complessive del motore, e quindi la “bontà” della respirazione, sono analoghe. Si può infatti raggiungere un regime di rotazione più elevato, con eguali sollecitazioni meccaniche, e la superficie dei pistoni è maggiore. Per questa ragione, quando si tratta di motori da competizione, i progettisti hanno di norma cercato di realizzare motori con sei, otto o dodici cilindri. Ci sono però stati alcuni esempi di quadricilindrici che hanno fatto la storia anche in tale settore. Negli anni Cinquanta varie monoposto azionate da motori di questo tipo hanno conquistato fior di titoli iridati (Ferrari 1952-53 e Cooper Climax 1959-60) e nel 1983 la Brabham BMW si è imposta nel primo mondiale dell’”era turbo”.
Pure per quanto riguarda il frazionamento, comunque, alla fine occorre fare una scelta di compromesso. Un motore con tanti cilindri consente di ottenere molti cavalli, ma ha un peso elevato, un ingombro notevole ed è complesso meccanicamente. Tra il 1966 e il 1982, anni nei quali a dominare i Gran Premi sono stati i motori aspirati di 3000 cm3, le monoposto inglesi azionate dal V8 Cosworth hanno vinto più gare e più campionati di quelle dotate dei V12 Ferrari, BRM, Matra e Alfa Romeo. Il loro motore erogava una potenza sensibilmente minore ma era notevolmente più leggero e compatto, il che agevolava la realizzazione di vetture particolarmente valide.
Al bellissimo quadricilindrico Ferrari 500 F2 si è già accennato in un altro servizio apparso di recente su questo stesso sito. Disegnato da Aurelio Lampredi, questo potente e robusto motore di due litri ha dominato il mondiale per due stagioni, prima che iniziasse l’era delle F1 aspirate di 2500 cm2. Tra le sue caratteristiche più significative vi erano il blocco cilindri realizzato in un’unica fusione con la testa, alla quale erano avvitate le canne in ghisa. A richiamare ciascuna valvola provvedevano due molle a spillo; vi erano poi due molle elicoidali per il richiamo di ogni punteria, del tipo a rullo. L’angolo tra le valvole, che avevano un diametro di 48 mm alla aspirazione e di 44 mm allo scarico, era di 58°, valore decisamente contenuto per l’epoca. Questo ottimo quadricilindrico aveva un alesaggio di 90 mm e una corsa di 78 mm e nella versione del 1953 è arrivato ad erogare 185 cavalli a 7500 giri/min. La potenza specifica era quindi di 93,2 CV/litro e la velocità media dei pistoni raggiungeva i 19,5 metri al secondo.
Nel 1954 è entrata in vigore la nuova Formula Uno che prevedeva motori aspirati di 2500 cm3 (e sovralimentati di 750 cm3) e ben presto hanno fatto la loro comparsa diversi nuovi quadricilindrici. Per i primi due anni la Ferrari ne ha utilizzati un paio, con risultati insoddisfacenti. In seguito sulle sue monoposto ha sempre impiegato motori più frazionati.
Hanno invece puntato a lungo sui quattro cilindri gli inglesi. Prima che la Cooper facesse iniziare l’era delle F1 con motore posteriore, hanno utilizzato motori di questo tipo la Connaught (con risultati molto scarsi), la BRM e la Vanwall. Quest’ultima si è ispirata alla tecnica motociclistica, adottando per quanto riguarda la testa gli stessi schemi impiegati dalla Norton per le sue ottime monocilindriche dell’epoca. Il basamento, che dapprima era dotato di soli quattro supporti di banco (derivava da quello di un motore militare Rolls Royce), è rapidamente passato a cinque. Nel 1955 questo quadricilindrico, che aveva un alesaggio di 96 mm e una corsa di 86 mm, è stato dotato di iniezione indiretta. Due anni dopo è arrivato ad erogare circa 285 CV a 7200 giri/min, scesi a 265 a 7400 nel 1958, quando non è stato più possibile impiegare carburanti liberi ed è diventato obbligatorio l’uso di benzine commerciali. Al termine di tale stagione agonistica la Vanwall ha conquistato il titolo costruttori ed è arrivata seconda (per un punto!) nel mondiale piloti. Allo sviluppo del motore, disegnato da Eric Richter, ha lavorato principalmente Leo Kuzmicki, che proveniva dalla Norton. Le due valvole di ogni cilindro erano inclinate tra loro di 60°; quella di aspirazione era da 53 mm e quella di scarico da 45 mm.
Minore fortuna ha avuto la BRM, che ha vinto un solo Gran Premio (quello d’Olanda del 1959) e che è stata a lungo perseguitata da problemi tecnici. Il suo quadricilindrico aveva un alesaggio di ben 102,8 mm e una corsa di 74,9 mm. Le valvole erano due per cilindro, inclinate tra loro di 79° (quella di aspirazione aveva un diametro record: ben 57 mm!). Come nel motore Vanwall, le molle che le richiamavano erano del tipo a spillo. Pure questo quadricilindrico, disegnato da Stuart Tresilian con la supervisione di Peter Berthon, aveva iniziato la sua carriera agonistica con soli quattro supporti di banco, prima di passare a cinque, nel 1958.
Gli ultimi due mondiali della formula Uno di 2500 cm3, cioè quelli del 1959 e del 1960, sono stati vinti dalla Cooper, azionata dal Coventry Climax a quattro cilindri, un motore affidabile e generoso, ma che non si può certo definire formidabile in quanto a prestazioni (a essere straordinaria, per l’epoca, era la vettura!). Di disegno semplice e lineare, questo bialbero progettato da Harry Mundy e Walter Hassan aveva un alesaggio di 94 mm e una corsa di 89,9 mm ed erogava 240 cavalli a 6750 giri/min. Le due valvole di ogni cilindro formavano tra loro un angolo di 66°; quella di aspirazione era da 52 mm e quella di scarico da 43 mm. Una particolarità interessante era costituita dal fatto che la guida della valvola di scarico era direttamente lambita, nella parte centrale, dal liquido di raffreddamento. Questa soluzione era stata già impiegata nei motori di Formula Uno dalla Mercedes e dalla Vanwall ma è in seguito caduta in disuso. Il basamento era in lega di alluminio, ma i cappelli di banco erano in acciaio; per migliorare la rigidezza dell’accoppiamento, ciascuno di essi era fissato, oltre che con le consuete due viti ad asse parallelo alle canne dei cilindri (riportate in umido), anche con due viti trasversali.
Dove i motori a quattro cilindri in linea hanno dominato per decenni è stato sui velocissimi ovali americani. Qualcuno afferma che ciò è avvenuto anche per mancanza di concorrenti, ma quel che è certo è che gli Offenhauser, disegnati dal grande Leo Goossen, erano davvero formidabili. Diretti discendenti dei motori che negli anni Venti venivano costruiti a Los Angeles da Harry Miller (presso il quale lavoravano sia Offenhauser che Goossen), questi quadricilindrici avevano la testa in blocco con la bancata dei cilindri. Si trattava di un’unica fusione in ghisa (!) che veniva fissata sopra un basamento in lega di alluminio avente una struttura a tunnel. Niente cappelli amovibili, quindi, ma supporti di banco in bronzo che si montavano sull’albero a gomiti e, dopo l’inserimento di quest’ultimo, venivano fissati al basamento per mezzo di viti. Le valvole erano quattro per cilindro, inclinate tra loro di 72°. Le punterie a bicchiere avevano la superficie di contatto con la camma non piana ma arcuata. Un’altra particolarità interessante era costituita dall’impiego di bielle con il fusto cavo internamente. Le versioni entrate nella leggenda sono quella di 255 pollici cubi (4,2 litri) e quella di 270 (4,4 litri), che tra il 1934 e il 1964 hanno ottenuto ben 24 vittorie a Indianapolis. Attorno al 1958 il motore di 4,2 litri, che aveva un alesaggio di 108,7 mm e una corsa di 111,2 mm, erogava circa 350 cavalli a un regime di poco superiore ai 6000 giri/min. Tale potenza è salita a oltre 400 CV nel 1964, quando l’Offenhauser aspirato ha ottenuto la sua ultima vittoria nella 500 miglia. In seguito il motore è stato ridisegnato e ha ricevuto un turbocompressore; ciò gli ha consentito di imporsi ancora sei volte nella mitica corsa americana.