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L'accoglienza è quella solita, calorosa, amichevole e disponibile. E per farci sentire a proprio agio Stefano Domenicali si piazza di fronte a noi invece che al suo posto nell'ufficio montato nel motorhome nel paddock. Un motorhome minimalista, piccolo rispetto alle ospitalità dei vari team, ma concreto. Come nello stile di Stefano Domenicali, presidente e CEO di Liberty Media, ovvero il papà della F.1. E allora, la nostra lunga ed esclusiva chiacchierata, parte con una considerazione: la F.1 non è più quella del passato, ma non è ancora quella del futuro. Su quali perni si incentra il cambiamento?
"Faccio un esempio banale: i piloti la sera prima del GP d'Ungheria mi hanno chiesto: ma facciamo ancora giri liberi mentre è più divertente una gara sprint? Abbiamo avuto un grandissimo riscontro a livello mondiale e questo dà già una prima indicazione di quale sarà il futuro della F.1 dal punto di vista sportivo. Noi abbiamo l'obbligo di avere al centro dell'interesse i nostri clienti. Che sono i tifosi e gli appassionati. E nelle varie parti del mondo sono diversi per cultura, età, tradizione e conoscenza del motorsport. I segnali che ci stanno mandando sono quelli che dobbiamo raccogliere a livello commerciale. Visto il successo del primo esperimento a Silverstone, poi ci sarà Monza e Brasile, ci darà gli elementi per una proposta diversa che vada nella direzione di una F.1 sempre più attenta al mondo che sta cambiando. Inutile che ce la raccontiamo fra di noi, apparteniamo a una generazione che guarda al passato, invece dobbiamo guardare avanti e accettare i cambiamenti".
- Quindi dai vostri dati la F.1 è in una fase positiva...
"I dati ci dicono di una grande attenzione, di una crescita e di una positività in un contesto dove nell'automotive si parla di mobilità sostenibile, ma noi siamo motorsport, ovvero eventi che devono appassionare, lasciare un segno. I numeri ci dicono che stiamo andando in quella direzione e grazie al cielo dico io. Sono anni di grandi cambiamenti, di novità tali che se confronti la piattaforma della F.1 con altre piattaforme di altri sport, posso dire che stiamo tornando agli anni d'oro della categoria e questo, per me e il mio ruolo, è un fatto di una grande responsabilità".
- Veramente, se guardiamo all'Italia, tutta questa crescita e positività non la si vede. Sui giornali si è ridotto lo spazio e i grandi quotidiani non mandano nemmeno gli inviati. Dipende dal fatto che siamo "vecchi" come tifosi, dalla mancanza di risultati della Ferrari che influisce sul grosso pubblico o anche dal fatto che non c'è più la TV in chiaro e le corse si vedono solo a pagamento su piattaforme con poco ascolto?
"In Italia l'interesse è ovviamente legato alle prestazioni della Ferrari, questo è fuor di dubbio, però sono cambiate anche le modalità di comunicazione, se guardiamo alle piattaforme social e alla crescita di interesse sulla F.1, fanno capire come il mondo stia cambiando sotto questo profilo. Sia come trasmissione dell'evento, sia come fruizione dell'evento stesso. Su questo la capacità di trasformarsi diventa fondamentale per tutti noi, da chi riveste un ruolo di responsabilità come il mio a chi deve comunicare l'evento. Dobbiamo dare questa possibilità a chi è competente e appassionato, ma dobbiamo anche darla a chi sta cominciando a conoscere la F.1, a seguirla e non ha le competenze dei tifosi di lungo corso. Il problema di base è come poter attrarre, con lo stesso contenuto, tipologie di tifosi diversi. Vuol dire che la stessa immagine la posso trasmettere per i ragazzi con un certo linguaggio e una certa musica. Ai superesperti la devo proporre con contenuti più tecnici e specialistici con un linguaggio diverso, ma sempre lo stesso elemento di base è. La F.1 sta cambiando prospettiva e tutti quanti dobbiamo adattarci. Io vivo a Londra ormai ma seguo l'Italia. Vedo che i dati sono in crescita grazie a una Ferrari che sta andando meglio dell'anno scorso, mi auguro da italiano, da ex ferrarista (che ha sempre nel cuore la Ferrari) che questo trend di crescita possa continuare perché poi la passione italiana si riaccende in un attimo".
- Questa è una sua visione complessiva che rispetto alla sola Italia non collima. Ma non crede che la TV a pagamento abbia ridotto il bacino di appassionati?
"I modelli televisivi sono diversi da paese a paese. I grandi eventi sportivi, salvo pochissimi, hanno un posizionamento legato alle TV a pagamento. Il futuro, non so fra quanti anni, si trasformerà sul digitale. La F.1 deve tenere conto di queste differenze, considerare che ci sono paesi che devono crescere nella conoscenza della categoria o per continuare a seguirla con passione. In Brasile, ad esempio, trasmettiamo in chiaro perché abbiamo bisogno di riprendere la passione che in quel paese è scomparsa negli ultimi tempi. In altri paesi siamo invece su piattaforme che possono garantire il business di cui abbiamo bisogno adesso, è una situazione molto differenziata, molto complicata unita dal fatto che generalmente è molto positiva".
- Sarà, ma un sondaggio di Crunch, una piattaforma inglese, fatto fra gli addetti ai lavori, piloti, team manager e responsabili commerciali, diceva che vogliono la F.1 in chiaro sulle TV e non sulle piattaforme a pagamento...
"Tutti parlano e dicono cosa fare coi soldi degli altri. Io ho una responsabilità e l'abbiamo tutti noi insieme del gruppo: questo business è sostenuto da entrate economiche fondamentali, per cui tutti vogliono i soldi e quelli arrivano dalle piattaforme TV a pagamento. Quindi d'accordo col concetto pane gratis per tutti, ma se non c'è il grano per fare questo pane, cosa distribuisco? La soluzione perfetta non c'è, ma questa è la realtà, anche se in grande evoluzione, paese per paese, il concetto su cui distribuisci le gare F.1 è molto diverso..."
- La F.1 negli ultimi tempi sta affrontando dei temi etici di assoluto rilievo. Piloti come Hamilton e Vettel che manifestano per l'uguaglianza contro il razzismo, i diritti delle comunità LGBT con tanto di magliette arcobaleno e in nazioni con legislazioni molto discusse, la scomparsa delle Grid Girl, ovvero le ragazze sullo schieramento col numero del pilota. Eppure si tratta di uomini che rischiano la vita in pista e lottano uno contro l'altro, invece si manda un messaggio etico, di sostenibilità e uguaglianza: un controsenso?
"Noi abbiamo la responsabilità sociale di rappresentare un mondo, che in termini di attenzione è molto importante, considerando anche il business con tutte le aziende che ci sono dietro al nostro mondo. Viviamo in questo mondo e far finta di niente rispetto ai temi presenti a livello mondiale, sarebbe una risposta sbagliata. Quello che abbiamo cercato di fare è che il mondo della F.1, composto da una filiera di migliaia di aziende dal valore di svariati miliardi come valore assoluto, abbia nella propria struttura il rispetto di principi valoriali che riteniamo fondamentali nella società di oggi. La differenza è che noi non dobbiamo fare politica, noi dobbiamo evidenziare, con esempi e non solo con parole o proclami, quello che sia giusto la F.1 si impegni a fare. I temi della sostenibilità ambientale, dell'inclusione, della diversità, sono stati affrontati coi passi giusti che noi riteniamo sia corretto fare. E' una grande scelta di responsabilità di un sistema che, in passato, si occupava solo di cose legate al mondo dello sport. Il nostro business è correre, far divertire i tifosi, in un contesto che però tiene in considerazione che il panorama culturale in tutto il mondo è cambiato come sensibilità e attenzione".
- Da vecchi appassionati però ci chiediamo che male facevano le ragazze sulla griglia di partenza col cartellone e il numero del pilota, non è stato discriminatorio eliminare questa parte di show prima della gara?
"E' un problema di sensibilità diverse. Alcuni lo sostengono, altri no, io posso essere concorde, altri invece potrebbero contestarmi. C'è una sensibilità generale che sta cambiando, giusto o sbagliato che sia, e questo tipo di contesto viene visto in maniera diversa nella logica del rispetto. Tutto qui".
- La F.1 di oggi è molto complicata. Una volta compravi un motore, un cambio e ti facevi il telaio. Oggi se non c'è un costruttore auto, impossibile affrontare questa sfida. In pista c'erano anche 37 macchine, oggi numero chiuso a 20. Se spariscono i costruttori attuali, si rischia di saltare. Per attirare i nuovi fabbricanti di auto, cosa aspettarsi?
"La cosa positiva è che tutti vogliono entrare in F.1 e io voglio proteggere il valore delle squadre che ci sono adesso (10 scuderie, ndr). Con l'approccio adottato da noi, unici nel mondo professionistico, di limitare i costi, abbiamo stabilizzato un sistema che stava andando in una direzione sbagliata molto pericolosa, ovvero quello delle spese senza limiti. Questo ha attratto molti investitori, anche dal punto di vista finanziario. Le Case auto sono interessate a capire quali saranno i motori del futuro, noi abbiamo fatto una scelta di sostenibilità: benzine ecocompatibili, motori ibridi con aumento di parte elettrica. Questo permetterà ai grandi costruttori di perseguire una strada che non sia solo quella dell'elettrificazione totale, una soluzione che sta andando per la maggiore come scelta strategica (vedi Ferrari e progetti futuri solo elettrici, ndr). Noi faremo delle scelte che consentiranno ai grandi costruttori di affrontare un impegno in F.1 con una offerta del loro portafoglio modelli che potrà avere soluzioni interessanti e utili per l'utente di tutti i giorni".
- In futuro quindi potrebbero non esserci più quattro squadre con motori Mercedes, ma magari uno Audi, uno BMW e via di questo passo, tanto per fare un esempio banale...
"Assolutamente sì, il futuro va in quella direzione".
- Però le Case in passato hanno mostrato che entrare e uscire dalla F.1 era come affrontare una porta girevole e spesso hanno lasciato situazioni critiche in chi si è trovato senza motori...
"Con il budget cup, ovvero le spese limitate, e le scelte strategiche dal punto di vista tecnico, questo non succederà più. Faccio un esempio: la Red Bull non è un costruttore, ma ha investito in F.1 e sta sviluppando un proprio motore partendo dalla base Honda che stanno usando adesso. Nel momento in cui investono in F.1, vuol dire che c'è una grande certezza per il futuro. Ogni aspetto della F.1 di oggi va in direzione del bel tempo".
- Stefano Domenicali è più un cacciatore di soldi oppure un amministratore dei beni già presenti?
"Tutti e due direi. Il nostro ruolo è di essere promotori e far crescere questo mondo e la F.1. Lo dimostrano le tante richieste da paesi che vogliono utilizzare la F.1 come piattaforma di crescita e conoscenza del proprio paese e della propria realtà. La F.1 porta conoscenze, porta relazioni, un giro economico importante. Non vorrei aumentare troppo i GP perché sarebbe sbagliato, ma di richieste nuove ce ne sono tante".
- Quest'anno saranno 23 le gare in programma, secondo alcuni sono anche troppe...
"Se il campionato prosegue come sta andando adesso coi duelli Hamilton Verstappen e gare spettacolari, direi che forse sono anche poche! Capisco i problemi per le famiglie, ma anche io ho una famiglia e dei figli quindi non vorrei togliere loro troppo tempo. Io dico sempre che la gente che si lamenta del proprio lavoro in F.1 vuol dire che non ha mai lavorato in altri posti. Siamo mossi dalla passione e quindi seguire la propria passione non è lavorare, ma una fortuna anche se è un impegno totalizzante, non ci sono margini. Non ho intenzione di aumentare le gare, ma se sono così belle e spettacolari, attirano l'attenzione e i tifosi che ne vorrebbero di più".
- Per seguire questa passione-lavoro, si è trasferito in Inghilterra. Si trova un bel filettino pulito pulito come piace a lei e un bel piatto di pasta come si deve?
"Da buon italiano all'estero, da emigrante diciamo così, certe abitudini non cambiano. A Londra si vive molto bene ma l'Italia è l'Italia. A volte, seduto a questa scrivania a gestire la F.1, mi ricordo i tempi in cui da ragazzo entravo in autodromo a Imola, scavalcando a volte le reti, non avrei mai pensato di passare da dietro quella rete a qui al ponte di comando. Devo dire sono stato fortunato, la cosa mi sembra del tutto naturale perché si tratta della mia passione per le corse e la sto vivendo in pieno. Devo dire che riesco perché ho una grande famiglia, mia moglie e i miei figli. Sono la carica propulsiva, il mio motore ibrido che spinge, è la mia forza. Una famiglia che mi segue, mi sopporta nelle assenze in giro per il mondo e che si è trasferita in Inghilterra per stare vicino credo sia qualcosa di unico, stupendo e dal valore unico. Senza di loro sarebbe stata veramente difficile, ma la famiglia per me è ancora il punto più importante, quello su cui non si discute. Non è negoziabile come dicono in Inghiterra".