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In queste toccanti righe, il ricordo di Ayrton Senna tracciato da parte del Comandante Owen O’Mahony. Il pilota del jet privato in uso al brasiliano che lo accompagnò, come sempre, anche al GP di quel primo maggio. Il comandante quel pomeriggio era pronto a tornare con lui a casa, ma da quel momento cambiò anche la sua di vita.
Quella mattina in albergo il telefono aveva suonato alle 7. “Servizio Bagagli”, aveva scherzosamente risposto, sapendo chi c’era dall’altra parte. Poi raccolse borse e valige salutandolo per l'ultima volta accordando l'orario in cui partire.
Le varie esperienze della vita, con la RAF e i piloti di aerei da guerra deceduti, non lo avevano preparato all’istante in cui la Williams di Senna uscì di pista al Tamburello. Per la prima volta O’Mahony non sapeva cosa fare con il suo aereo, ma prese quel piccolo Jet e volò all’aeroporto di Bologna, vicino all’ospedale in attesa di istruzioni. In quel luogo non avrebbe però ripreso a bordo Senna e lo confermò quando Gerhard Berger, arrivando anche lui sul posto, lo abbracciò, condividendo il dramma e la solitudine di quell’esperto pilota di aerei rimasto senza il suo “compagno”.
Perché O’Mahony aveva cominciato il rapporto con Senna normalmente, nel 1990 e senza conoscere nemmeno chi fosse. Tendendo all’inizio il distacco professionale dovuto per un servizio di lusso come il trasporto aereo VIP. “Senna era sempre cortese – ricorda - ma non infastidivo mai con chiacchiere o altro, Però un giorno mi si rivolse e disse: Owen, in futuro, vedi anche di parlarmi…”. O’Mahony ha così aperto un filone di humor british nei suoi viaggi privati per Senna, tanto che lo stesso Ayrton divenne ironico con lui.
“Una volta mi chiese di fare qualcosa ma io me dimenticai. Così, quando mi rivide in seguito domandò: da quant’é che stai lavorando per me, escludendo domani?. Una battuta che aveva sentito da me”.
Il comandante sapeva di essere solo uno “strumento” che permetteva a Senna di spostarsi nel modo comodo e veloce. Quella star osservata da tutti con mille richieste lui non la avrebbe mai importunata, eppure divennero confidenti. “Ero già abbastanza vecchio da essere suo padre, forse per questo abbiamo legato. Partivamo, poi si sedeva vicino a me e iniziava a farmi domande…”.
Senna non sapeva nemmeno pronunciare quel nome, tagliando vocali e sbagliando accenti. Tanto che alla fine, lo chiamava solo con un nomignolo, Mahny. E Mahny ne condivideva di piccoli segreti, come quando Senna ebbe problemi con Ron Dennis per il contratto McLaren. “Mi faceva mettere il Jet dietro agli hangar, per entrare nell’aereo di Frank Williams senza che nessuno lo vedesse”.
Una curiosità del capitano è che ammette di non esser mai riuscito a capire dal modo di fare di Senna se avesse vinto o meno. “Mi faceva pensare che potesse aver vinto quando chiedeva com’era il tempo a Faro, un nostro messaggio in codice. In realtà voleva sapere se poteva occuparsi lui di far atterrare l’aereo a destinazione. Non aveva la licenza, ma gli lasciavo i comandi. Quando però non aveva avuto una buona gara, ci voleva tempo per cavargli di bocca anche una parola”.
Quel fine settimana del GP Imola, il comandante ricorda che Senna non era il solito fin dalla partenza in aereo da casa e poi, casualmente, O’Mahony aveva accennato al fotografo che dopo quattro anni ancora non aveva una foto di loro due insieme. Ayrton il venerdì gli portò una foto autografata e il capitano ricorda del turbamento per l’incidente di Rubens Barrichello, quel giorno, di cui provò a parlare con Senna. Poi preferisce non andare oltre nei ricordi tristi, nella sua intervista. Non ha mai voluto rivedere le registrazioni della gara, gli è bastata una prima visione al momento.
Con il piccolo jet volò a Parigi, accanto al Jumbo con il corpo di Ayrton. O’Mahony ammise poi che fu grato alle porte del suo Jet, che non fossero abbastanza larghe per la bara. “Non sono sicuro che avrei avuto il coraggio per fare quel viaggio”. O’Mahony tornò poi a Londra, si mise in abito borghese e andò al funerale di San Paolo. Li venne identificato con la lettera ‘A’, di Amigos, ma poi la madre di Senna gli diede biglietto ‘F’, Familias. Così quel pilota di aerei restò insieme a quelli di auto in posizione vicina a Senna, scoprendo cosa vuol dire vedere milioni di persone piangere tutte insieme.
Andò a rendere omaggio al padre di Ayrton, che aveva dei pacchettini e gliene pose uno. Il traduttore, spiegò quel gesto: Ayrton aveva molti conoscenti e amici, ma solo poche persone al mondo di cui si fidava. “Tu eri uno di loro” gli disse, i pacchettini erano sei e dentro un braccialetto d’oro, con inciso il nome. A luglio accompagnò la madre e la sorella di Senna in Portogallo, per liberare la casa di Ayrton e dopo qualche anno, O’Mahony ha iniziato a lavorare per la Fondazione Senna, che finanzia progetti educativi, sportivi e culturali per aiutare i bambini di strada in Brasile.
Il suo contratto da pilota privato prevedeva che se Senna fosse morto, il lavoro sarebbe cessato all’istante liberandolo, ma la famiglia Senna sa che può chiamarlo ogni volta che ne ha bisogno. “Ayrton mi piaceva, non era come gli egoisti con cui ero abituato a volare. Ha lavorato anche con altri piloti, ma non è stato lo stesso, collaborare con la sua Fondazione è una catarsi appropriata – ha spiegato - preferisco dare un contributo, seppur piccolo, a un progetto costruttivo, che fare ancora quel lavoro. Non possiamo risolvere i problemi, ma possiamo dare di po’ di felicità a qualche bambino bisognoso, come voleva Ayrton”.
Fonte: independent.co.uk