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Un pugno allo stomaco da togliere il fiato. Dopo tanti anni è ancora questa la sensazione che si prova quando si ripensa ad Ayrton Senna e a quei drammatici istanti che seguirono all'impatto contro il muro del Tamburello a Imola. La scomparsa del pilota brasiliano ha ingenerato, in chi l'ha vissuta personalmente, la stessa sindrome dei reduci del Vietnam. Una sorta dell’"io c'ero e posso dire cos'era".
Basta ritrovarsi la sera in un ristorante, a cena con alcuni colleghi, che il discorso cade inevitabilmente su Senna. Sugli ultimi istanti di vita e dei vari episodi rimasti nella mente di ognuno dopo quel drammatico impatto avvenuto alle 14:17 di domenica 1 maggio 1994. Una data che per molti ha coinciso con l'inizio di una nuova era in F.1. Chi non ha mai visto morire qualcuno non può capire cosa si prova in quegli istanti. Ma lo choc di una morte vissuta in diretta, di una persona conosciuta con la quale si è lavorato insieme per tanti anni, ha "svezzato" i giovani reporter della F.1 come la guerra in Bosnia e in Somalia hanno battezzato, col sangue, schiere di inviati di guerra che l'avevano solo letta sui libri o vista nei film.
Il sangue, quello vero, fa un'altra impressione quando uno se lo ritrova sulle mani. E' bastato appoggiarsi al relitto della Williams di Ayrton, riportato ai box sul carro attrezzi, toccare con mano la scocca nuda in carbonio e accorgersi che tutto quel liquido scuro non era il solito residuo oleoso, tipico di un incidente di una vettura da corsa. Era l'anima di Ayrton, ancora attaccata disperatamente su quel pezzo di metallo che l'ha portato alla morte. Una morte che a Imola aveva invaso ogni angolo dell'autodromo.
Forse saranno solo fantasie di piccoli uomini impauriti, ma come spiegare la presenza nei box di una vecchia signora vestita di nero, con gli occhi acquosi e lo sguardo assente? In F.1 non si muove foglia che Bernie Ecclestone non voglia: controlli ripetuti ai cancelli, con pass validi e contro pass da verificare. Eppure a Imola, nei box di quel primo maggio 1994, circolava tranquillamente, con andatura claudicante, questa strana figura. Non era una persona di servizio, non aveva nessun pass al collo e si aggirava come se niente fosse, sedendosi sulle casse dei ricambi della Williams, oppure attraversava il box della Simtek come se uomini e macchine non fossero lì.
A Imola c'era la morte in pista. Lo abbiamo capito soltanto dopo, avessimo potuto vederla prima, forse le cose sarebbero state diverse, ma contro la Signora in nero nessuna ha mai potuto fare niente
Questa vecchia signora, dall'aspetto inquietante, a Imola non sanno nemmeno chi è e dopo una lunga chiacchierata con Massimo Gambucci, direttore di gara, è venuto il dubbio atroce che quel giorno, a Imola, ci fosse la presenza suprema della Signora eterna, quella con la maiuscola, che di solito vediamo raffigurata con la classica falce. Le vecchie leggende di paese, quelle che si raccontavano ai bambini nelle notti d'inverno, a cavallo della ricorrenza dei morti, sono piene di storie di vecchie signore comparse come d'incanto e sparite altrettanto misteriosamente dopo eventi luttuosi.
A Imola c'era la morte in pista. Lo abbiamo capito soltanto dopo, avessimo potuto vederla prima, forse le cose sarebbero state diverse, ma contro la Signora in nero nessuna ha mai potuto fare niente. Noi l'abbiamo vista subito, ma l'abbiamo capita soltanto dopo che tutto era accaduto, come scritto nel libro del destino. Noi, forse, ma lui no. Ayrton Senna aveva visto la signora in nero e aveva capito.
Domenica mattina, primo maggio, sono passate da poco le otto e dopo una notte insonne costellata da incubi per la morte di Roland Ratzenberger in prova, è cominciata un'altra giornata di gara. Non era una giornata come le altre, aveva qualcosa di speciale e terribile in sé. Ayrton lo aveva capito. La sua espressione non era la solita. Ce ne siamo accorti quando stavamo salendo le scale che portano alla sala stampa. Il tempo di incrociarlo e vedere che gli occhi di Ayrton erano spenti.
Ayrton era rimasto nei box a guardare a lungo la sua macchina. Con le mani appoggiate sull'alettone posteriore sembrava quasi che stesse dialogando con lei e con il destino che stava per compiersi. I tratti del volto induriti, in quel momento Senna non era lì nei box, era un'entità astratta al di sopra delle parti
I nostri sguardi si sono incontrati e lui ha salutato con quella espressione triste che non l'ha mai più abbandonato in tutto il giorno. Nessuno pensava in quel momento che sarebbe stata l'ultima volta che avremmo salutato l'uomo e il campione e che da quel momento ogni istante della giornata sarebbe stato un pezzo di storia da tramandare ai posteri.
Ayrton era nervoso, non era del solito umore. Poco prima della partenza, mentre si parlava ancora del più e del meno sull'incidente del giorno prima a Ratzenberger, e dell'assurda decisione dei commissari internazionali di richiamare Senna perché si era preoccupato delle misure di sicurezza e dell'intervento medico, Ayrton era rimasto nei box a guardare a lungo la sua macchina. Con le mani appoggiate sull'alettone posteriore sembrava quasi che stesse dialogando con lei e con il destino che stava per compiersi. I tratti del volto induriti, in quel momento Senna non era lì nei box, era un'entità astratta al di sopra delle parti.
Ma è bastato sentire il rombo dei motori, le macchine entrare in pista per cancellare tutto. Finalmente si ricomincia. Adesso possiamo dimenticare la morte in pista di Roland, tornare all'antico e mandare nel dimenticatoio una brutta giornata di prove. Errore. Semaforo verde, via e la Benetton di Lehto resta ferma in mezzo alla pista, Lamy, con la Lotus, arriva a tutta velocità da dietro e lo centra in pieno. Un urlo dalla sala stampa, ma dalle macchine i due piloti scendono illesi, non si sono fatti niente.
Ma, accidenti: che succede là in tribuna? Dalla sala stampa si vede perfettamente della gente a terra e dei pezzi delle monoposto sparse fra il prato e la gradinata. La folla ondeggia, c'è un carabiniere che urla e con la mano alla spalla corre piegato in due, subito avvicinato da un collega. Mio dio, qua è successo un macello, altro che i piloti! In quell'istante sono collegato con Radio Monte Carlo per una diretta e sono assalito dal dubbio: dire o non dire che fra il pubblico ci sono dei feriti? Con che coraggio posso gettare nello sconforto i familiari o gli amici di coloro che sono venuti a Imola a vedere il GP?
Dallo studio mi dicono di lanciare pure la notizia e che appena ne sapremo altre, di darle in tempo reale. "Safety Car, fanno entrare la safety car" urla il direttore di Auto&sport Alberto Sabbatini, "perché non interrompono il GP per pulire la pista e soccorrere la gente in tribuna?". Intanto mandiamo una nostra collaboratrice, Lorenza Cerbini, nel marasma della tribuna centrale: "Vai e non tornare prima di aver saputo come sta la gente e cosa è successo".
In attesa che arrivino notizie fresche vediamo il carosello delle macchine che sono capeggiate dalla Williams di Senna. La sua vettura ondeggia nervosamente, per tenere le gomme in temperatura e tenersi pronto a scattare ancora in testa appena verrà data via libera. Accade al quinto giro e Senna parte ancora al comando.
Sesto giro, davanti ai box Ayrton ha qualche metro di vantaggio su Schumacher. Il rombo del suo motore non mostra indugi quando mette la sesta marcia e si tuffa al Tamburello quando un urlo scuote la sala stampa; “E' uscito, Senna è uscito”. Il monitor di servizio mostra le immagini della Williams che carambola impazzita e il resto del gruppo che cerca di evitare i rottami della macchina: "ragazzi che botta", "sì, ma che sfiga: tre gare e tre ritiri, quest'anno il mondiale si fa duro".
Ayrton è steso in terra e Sabbatini lancia un urlo: "i piedi, guardate i piedi!". La sua esperienza nelle gare motociclistiche gli ha insegnato che quando un ferito è in gravi condizioni a terra, l'apertura dei piedi assume valori innaturali
La Williams è ferma: la telecamera mostra il pilota col casco reclinato sulla destra: "Adesso scende, ma perché ci mette tanto? Con una botta del genere sarà suonato. Ecco, muove la testa, guardate ha mosso la testa, ma perché non scende ancora? Si sarà fatto male a una gamba, lui che non sopporta il dolore fisico". "Ricordate in Messico tre anni fa quando andò a sbattere? Peggio di Mansell la scena che fece allora". "Ma perché non scende? E poi, perché il pompiere della CEA non si avvicina, chi sta aspettando?". “bandiera rossa, bandiera rossa: hanno interrotto la gara”. “Cavoli, adesso è dura, la espongono solo quando c'è un ferito”.
Squilla il telefono: è ancora Radio Monte Carlo che chiede notizie, siamo in attesa del collegamento e intanto un medico sta togliendo il casco ad Ayrton. Spunta del sangue in giro, le 14,17 sono passate da poco, arriva la macchina di servizio pilotata da un uomo della CEA e l'altra da Massimiliano Angelelli, campione italiano di F.3 e figlio del custode dell'autodromo. Ayrton è steso in terra e Sabbatini lancia un urlo: "i piedi, guardate i piedi!". La sua esperienza nelle gare motociclistiche gli ha insegnato che quando un ferito è in gravi condizioni a terra, l'apertura dei piedi assume valori innaturali.
Alberto schizza via, va in direzione gara o dove ci sia una radiotrasmittente di servizio. E' un lampo, torna indietro stravolto e mentre stiamo per andare in onda con Radio Monte Carlo, ci strappa il telefono di mano e urla allo studio di riattaccare. Poi chiama un collega in redazione a Bologna e gli intima di andare all'Ospedale Maggiore dove stanno per portare Senna. E' un attimo e cominciamo a muoverci in apnea senza sapere perché, ma solo con l'imperativo di avere notizie fresche, sapere cosa è successo anche se tutti, guardandoci in faccia, cominciamo a capire l'enormità di quello che è accaduto e dell'eccezionalità dell'evento.
Il lavoro non è ancora finito, dobbiamo ancora raccontare tutto quello che è successo a Imola. Ma chi l'ha capito cosa è successo a Imola? Dopo tanti mesi stiamo ancora tutti lì a chiedercelo. A cena, fra colleghi che hanno vissuto l' olocausto in diretta, ce lo domandiamo ancora dopo tanti mesi, anni, cercando di capire qualcosa.
Bologna. La redazione è in fermento, pezzi da tagliare, didascalie da sistemare, impaginati da controllare. Aggiungi qua, togli là, metti una foto qui. Sono ormai le 3,30 del mattino. Ci sarebbe da andarsene a dormire. Ma oggi non è stata una giornata come le altre. Lo si capisce dai silenzi pesanti che aleggiano dappertutto. I colleghi di Superbasket evitano di fare domande, hanno capito che è accaduto un'enormità.
Non ho voglia di andare a letto. Riprendo la macchina, infilo l'autostrada e torno a casa a Bergamo. Arriverò alle 5,30 del mattino. Parcheggio, mi spoglio, mi infilo a letto: Madonna, ma è morto Senna! E chi lo racconta adesso? Io. E gli altri colleghi. L'abbiamo già fatto. Chissà, forse svegliandomi mi accorgerò di aver fatto un brutto sogno. Domani lo racconterò. Ho sognato che è morto Senna. Ma Senna non può morire. Non morirà mai.