Questa non è una Formula 1 per rookie

Questa non è una Formula 1 per rookie
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Questa non è una Formula 1 a misura di rookie: il perché lo spiegano Franz Tost e James Vowles
25 agosto 2023

La Formula 1 oggi è ancora uno sport per giovani promesse? Viene naturale chiederselo, visto che i rookie sono certamente svantaggiati da una serie di limitazioni che non sussistevano qualche tempo fa. Chi conosce bene quali siano gli ostacoli che un debuttante deve affrontare oggi è il team principal della Williams, James Vowles, che quest’anno schiera l’esordiente americano Logan Sargeant.

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“Non me ne sono reso conto finché non è arrivato Logan – ha spiegato Vowles nel venerdì di Zandvoort - ma con le Sprint e il maltempo che abbiamo avuto spesso quest’anno i rookie hanno avuto molto meno tempo a loro disposizione, ed è una situazione molto diversa rispetto a una quindicina di anni fa. Credo che valga la pena riconsiderare le regole per aiutare i piloti in questa posizione. L’ideale sarebbe dare la possibilità di girare molto di più”.

A sostenere la tesi di Vowles pensa anche Franz Tost, che nei tre lustri alla guida di quella che oggi si chiama Alpha Tauri ha avuto modo di lavorare spesso con degli esordienti. “Debuttare in F1 è diventato molto più difficile per i rookie rispetto a qualche anno fa. Prima di tutto, perché lo schieramento è molto equilibrato. E in secondo luogo, c’è un motivo finanziario. Una volta, il decimo team nel mondiale costruttori otteneva 20/30 milioni di dollari a fine anno, ora ne ottiene tra i 70 e i 90. C’è una grande differenza, e servono piloti di esperienza per non finire indietro”.

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“Oltre a questo – aggiunge Tost - ci sono sei weekend Sprint con una sola sessione di prove libere prima della qualifica, il che implica un forte svantaggio per i rookie. I giovani piloti vanno preparati al meglio, cioè facendo percorrere loro almeno 5/6000 km al volante nei test privati. Se i piloti non sono in grado di esprimersi al massimo, diventa molto complesso. Anche perché a inizio stagione corrono su piste che non conoscono, come Melbourne e Jeddah. Lo stesso vale anche per la seconda parte dell’anno, con Singapore, Giappone, Austin e molte altre piste. Venendo dalla F2, corrono per la maggior parte dei casi in Europa”.

Ma quanto ci mette un pilota a imparare la pista? “Serve poco tempo – concede Tost -. Ma le circostanze cambiano in fretta. Per esempio, la temperatura e il vento possono cambiare rispetto alle prove libere e questo complica le cose. E poi le monoposto sono talmente vicine in termini prestazionali da rendere cruciali anche pochi decimi. Il pilota apprende le curve dopo una mezz’oretta al volante, ma per gestire al meglio le gomme ed estrarre il massimo dal pacchetto in qualifica serve l’esperienza accumulata nel corso degli anni”. E con un tempo sempre più limitato al volante, diventa sempre più difficile affinare le proprie abilità. Come sottolineava Vowles, urgono rimedi, prima che le barriere all’ingresso in F1 diventino pressoché invalicabili.

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