Per inviarci segnalazioni, foto e video puoi contattarci su info@moto.it
Ancora un racconto dal vecchio mondo della F1 fatta di uomini e soprattutto dagli uomini in senso stretto. Principalmente pochi di loro e non i poteri forti delle politiche aziendali di colossi globali, a decidere quanto si vedeva in pista. Ma, si vedeva? Ecco, la storia che raccontiamo forse è di quelle vecchie ma sempre attuali, per come gira il mondo del Motorsport ancora oggi. Per come in pochi mesi si può parlare tanto, per arrivare poi a vedere… Nulla.
Fine anni Settanta, da poco il re del rock se ne era andato ma in F1 i motori cantavano ancora a voce alta, con note ben diverse tra una monoposto e l’altra, per fortuna di chi allora le vedeva dal vivo, le gare del Mondiale. Noi chissà se e quando mai le rivedremo, le F1 in pista per un GP. Di certo non potendole riconoscere a 2 Km di distanza per il rumore, come avveniva ai tempi di questa storia. Una storia di Riviera ma senza il mare. Una storia di persone che in Italia decidono di provare a mettere in pista una macchina con il loro nome, il loro team. Nel Regno Unito lo fanno in tanti e con buon successo, un po' meno altrove a dire il vero. Noi italiani però, siamo più fantasiosi e dinamici di molti altri e allora: perchè no.
Certo che pensare di insidiare la Ferrari, al tempo iridata con Jody Scheckter sulla 312 T4, non è plausibile. Magari seguire non troppo da lontano l'Alfa Romeo... Spazio per provare a correre comunque poteva esserci, senza dover piangere ai piedi di colossi industriali e sponsor che, a suon di promesse e piani a medio termine, convincessero Federazione e Associazione Team ad accettare una new-entry.
La terra brianzola nel 2020 flagellata dal Coronavirus al tempo era meno falsamente ricca di denari e notorietà, ma molto ricca di inventiva e operosità, anche nei motori. Specie in quelli da corsa. Tra i vari personaggi attivi sul fronte ecco l’idea: facciamo la macchina e il nuovo team per la F1. Si chiamerà Riviera F1. Base in alta Brianza, border line con la provincia di Como, dove già era attivo un certo Merzario che il suo nome lo aveva messo sia sulla carena delle Ferrari, sia su quella di monoposto tutte “sue”, imitando un certo, grande, Jhon: Surtees (qui il ricordo dell’unico iridato nelle massime formule di auto e moto).
Se il buon Ken Tyrrell ci riusciva a vincere un Mondiale, con il classico collage dei tempi, ovvero: ottimo telaio e bravi tecnici, più fornitura di motori e gomme al top messi sotto il sedere di un asso del volante che "si paga" con i risultati... Perché non provare almeno a fare i punti, nella F1 di quei tempi? Pronti via: tecnici locali ma con esperienza, elementi telaio Thompson, cambio Hewland e l’ovvio otto cilindri Cosworth, quello “di tutti” ma che non era proprio uguale per tutti, i Team privati. Al volante Alberto Colombo, anch’egli un local, già campione italiano di F3 con buoni risultati anche nella allora serissima, F2.
Si arriva a fine stagione 1979 con le intenzioni tramutate in realtà: auto assemblata, pronta a fare i primi giri di pista misurando il livello in attesa del nuovo Mondiale. In un attimo però, tempo di leggerne sui giornali e il nuovo puzzle F1 tricolore si smonta. I pezzi vengono persino rivenduti, senza che sulla azzurra Riviera con gli otto cilindri splendesse mai il sole. Motivo? Ufficialmente non pervenuto. Ci restano il ricordo pallido e le gare di Colombo in altre formule, insieme a quella immagine: una monoposto F1 italiana color celeste pronta all’avventura del Mondiale, che assomiglia tanto a quelle del tedesco Willi Kauhsen con i loghi di alcuni sponsor tra cui in maggior evidenza le coq sportif. Scarpette niente male, proprio no, se piacciono e non si deve farne uso troppo specialistico (tipo correre). Ecco: la F1 con gli anni Ottanta stava diventando per veri specialisti. L’ultimo azzardato collage vincente di zio Ken, fatto in pochi mesi, era datato inizio anni Settanta, senza repliche.
OMF