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Ayrton: il mio solo, unico idolo
Quando ho saputo che avrei corso ad Imola nel giorno del ventesimo anniversario dalla scomparsa del leggendario Ayrton non riuscivo ad essere felice. Farò una 7 ore di kart, gara di durata. Il tempo di mettere giù il telefono e la mia mente fa un fulmineo “rewind” a quello che accadde il 1 maggio del 1994. Ecco che ora mi ritrovo catapultato nel salotto della mia vecchia casa a Desenzano del Garda seduto sulla poltrona di fronte alla TV. Allora ero un ragazzino di 13 anni ed Ayrton era il mio idolo, altri non ne ho avuti ne prima ne dopo di lui.
Che io lo voglia o no, la mia mente mi fa rivivere per un istante la stessa medesima emozione che avevo provato all’inizio di quella corsa maledetta. Ero sotto shock per quello che accadde a Rubens due giorni prima e poi Roland il giorno antecedente il 1 maggio ma nonostante questo, come sempre, tifavo per il mio idolo ed avevo, come al solito, il cuore in gola. Provavo più tensione nel guardarlo correre, per il desiderio di vederlo vincere, rispetto a quando correvo io stesso in macchina.
Una folla immensa ad Imola
Poi avvenne il targico incidente ed il tempo si fermò. La mia mente si lascia andare ed io mi ritrovo di nuovo nel presente avvolto da un profondo vuoto. La prima cosa che mi chiedo è “Sono passati davvero 20 anni”? Capisco che per me questo memorial sarà bello tosto dal punto di vista emotivo ma allo stesso tempo mi sento onorato ad avere la possibilità di omaggiare una persona che tanto ammiro. Quello che però non immaginavo è che questo viaggio sarebbe stato anche un po’ una riscoperta di me stesso e della strada percorsa a distanza di tutti questi anni.
Il primo maggio arriva veloce ed in mattinata sono al circuito. Mi ritrovo imbattuto in una folla immensa e sono felice di vedere tante persone venute ad omaggiare il grande campione. Sono sbalordito. Sono in così tanti che uno potrebbe pensare che si stia per svolgere un gran premio. Decido che è il momento di farlo e mi incamino verso il monumento dedicato ad Ayrton. Non l’ho mai voluto fare prima, l’ho sempre evitato per qualche strano motivo. Ora voglio vivere questo memorial in pieno e quindi voglio “sentire” tutto. Non ho mai amato le mezze misure. Sono in tanti intorno al monumento e grande è l’emozione. Gente che piange, prega e sopratutto ricorda. Sento un brivido.
Una 4 ore di kart per ricordare Ayrton
Quella sera incontro al completo la mia squadra, la “Porsche Sport Driving School” e prepariamo la strategia per la corsa di domani. Marta, il nostro team manager, mi dà la tuta e più tardi mi ritrovo come il ragazzino di vent’anni fa a provarla in camera. Una volta vestito al completo mi guardo allo specchio, sorrido e penso al ragazzino che ero. Mi rendo conto che la voglia è la stessa come lo è anche il mio legame di amore e passione che mi stringe stretto al mondo del motorsport.
“Allora ero un ragazzino di 13 anni ed Ayrton era il mio idolo, altri non ne ho avuti ne prima ne dopo di lui”
Nulla cambia anche quando noto che le scarpe sono di un numero troppo piccole e che quindi indossarle per le 7 ore di gara sarà tutt’altro che piacevole. Il 2 maggio, ore 13, parte la corsa sotto un diluvio mica male. Penso che sono proprio le condizioni giuste per ricordare Ayrton. Poi ricordo d’aver letto che Ayrton si allenava con le gomme “slick” proprio in queste condizioni quando correva in kart e casualità vuole che anche tutti noi presenti dovremo fare lo stesso.
In gara i miei compagni Alessandro, Andrea, Daniel, Francesco, Massimiliano ed io siamo bravi, come tutti i presenti del team Porsche Sport Driving School che ci hanno dato una mano dal muretto dei box. Per tutta la gara siamo sempre nelle prime posizioni e solo inconvenienti tecnici non ci hanno permesso di andare a vincere questa corsa. Finiamo secondi ed una volta tanto, riesco a non essere scontento per non aver vinto. Oggi per me era davvero importante esserci, partecipare, dare il meglio di me, ricordare.
La mia vita: il motorsport
A fine giornata mi ritrovo da solo in albergo e, solo dopo essermi tolto le scarpe, ripenso un po’ a tutto quello che mi è successo in questi ultimi due decenni. Alle mie vittorie più importanti, alle sconfitte che mi bruciano ancora, alle persone che ho incrociato sulla mia strada e che mi hanno influenzato in un modo o in un altro, ai tanti alti e bassi... Ne è valsa la pena? Sono contento dei traguardi raggiunti? Mi trovo nello spazio / tempo che penso di meritare? Decisamente no.
Penso di non essere stato ricompensato come credo di meritare ma questo duro mondo del motorsport mi ha plasmato e creato, ha fatto di me l’uomo che sono oggi. Mi sento finalmente “completo” sia come uomo che come pilota e per cui dico va bene così, c’è ancora tempo, il mio deve ancora arrivare, io ci credo. Il destino è una cosa molto strana e decisamente imprevedibile, vedi Schumi. Sono pronto a cogliere la mia chance se questa si presenterà.
Saudade Roland! Saudade Ayrton! Ridateci Michael se potete.
Miloš Pavlović
Il sound della splendida Lotus 97T, con cui Senna vinse la prima gara in Portogallo nel 1985