Magnussen: «La mia vita è la F1. Ogni mio gesto è finalizzato a fare la differenza»

Magnussen: «La mia vita è la F1. Ogni mio gesto è finalizzato a fare la differenza»
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Abbiamo parlato con Kevin Magnussen della vita nella Formula 1 moderna, ma anche della prossima stagione, quando in McLaren ritornerà Fernando Alonso | <i>P. Ciccarone</i>
10 ottobre 2014

Stretto fra Fernando Alonso da una parte, Jenson Button dall’altra e con la Honda in mezzo e la McLaren di fronte. Non è una bella posizione per Kevin Magnussen, ma poi alla fine il giovane danese se ne esce in un modo solo: tenendo giù il piede sul gas, il resto si vedrà.

Dopo un inizio di stagione stupendo, col podio in Australia, Kevin è sparito un po’ dalle cronache sportive…
«Vero, son rimasto sorpreso anche io perché a Melbourne, col risultato ottenuto, avevo stupito per primo me stesso, non pensavo un esordio così. La macchina andava bene, eravamo subito competitivi rispetto agli altri dietro alle Mercedes, davvero imprendibili. Non so cosa sia successo poi, in alcune piste forse abbiamo sbagliato i set up, in altre forse lo sviluppo non era quello giusto, fatto sta che non abbiamo ripetuto i risultati iniziali e mi spiace, anche se sapevo di aver dato il massimo».

Kevin è finito nelle mire dei commissari per una serie di incidenti coi colleghi, tanto che fra punti tolti sulla patente da corsa, richiami e reprimende varie, si è fatto la fama del cattivo. Come a Monza quando con Bottas alla prima chicane si è preso un altro richiamo.
«A dire il vero, ancora oggi e a distanza di tempo, non ho capito cosa ho fatto di male in quella manovra. Lo stesso Bottas non aveva nulla da dire, penso che sia sfuggita di mano ai commissari, se rivedo 100 volte la lotta, per 100 volte non ci vedo nulla di scorretto, sono deluso. Diverso, invece, il discorso su Alonso in Belgio due settimane prima. A rivedere le immagini e parlando con Fernando mi sono reso conto di aver esagerato davvero, non avevo la percezione di spingerlo fuori, nell’erba, poi ho rivisto le immagini e non c’è nulla da dire, ho sbagliato di brutto e mi spiace».

E' stata una stagione in cui si è imparato tanto, non ultimo dall’incidente di Bianchi, che mi lascia senza parole, ma che dobbiamo analizzare a fondo conoscendo tutte le cause e trovare le giuste soluzioni


«Non è il mio modo di guidare, sono uno sportivo, accetto la bagarre, sentivo di poter fare un buon risultato, potevo giocarmela bene, invece è andata così. Diciamo che è stata una stagione in cui si è imparato tanto, non ultimo dall’incidente di Bianchi, che mi lascia senza parole, ma che dobbiamo analizzare a fondo conoscendo tutte le cause e trovare le giuste soluzioni».

Dennis insiste nel volerlo confermare, Button dice che serve l’esperienza, Alonso potrebbe arrivare spinto dalla Honda e prima di lui c’era Vettel con un contratto firmato, un bel rebus…
«Posso solo guidare e andare al massimo, mi trovo bene con la squadra, mi piacerebbe continuare per concretizzare quanto di buono imparato in questa stagione».

Una volta i piloti affrontavano la F.1 come una parte della loro vita quotidiana, non era al centro del mondo, come insegna tuo padre Jan, ora per voi giovani la F.1 è diventata la vita, il resto è un contorno, sbaglio?
«No, dici bene. Mi ricordo di mio padre che parlava, poco, di F.1 a casa e anche quando facevo il kart non è che fosse al centro dei suoi pensieri. Abbiamo avuto generazioni di piloti come Hunt, Lauda, Rosberg padre, in cui correre in F.1 era affrontare una sfida tutti i giorni, riuscire a scamparla e a tornare a casa interi, poi c’erano altri interessi, la famiglia, il lavoro vero, le donne. Per noi è diverso. Siamo cresciuti rispettando certe regole, ci siamo imposti una filosofia di vita particolare, per me la F.1 è tutto, è la mia vita in pieno e tutto quello che faccio è finalizzato a fare la differenza in F.1 rispetto agli altri. Poi guardo negli occhi mio padre e capisco la differenza di approccio. E’ cambiato il mondo, siam cambiati noi e di conseguenza tutto il resto».

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