Luca Ghiotto, in gara per la Formula 1

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Il vicentino Luca Ghiotto è protagonista nel campionato di Formula 2, anticamera per accedere alla massima serie. Una sfida che richiede talento, determinazione, ma anche la capacità (e la fortuna) di trovare gli appoggi giusti. Ecco la sua storia
16 settembre 2019

La scalata che conduce alla F1 è probabilmente una delle competizioni più difficili, incerte e talvolta perfino crudeli che ci siano. Sicuramente più di un gran premio stesso. Devono allinearsi tanti astri: genitori pronti a sostenere almeno i primi passi nel karting, i team giusti anno dopo anno, gli sponsor, un manager capace… e poi naturalmente il talento al volante. Ma com’è affrontare questa sfida? Per capirlo abbiamo intervistato Luca Ghiotto, 24 anni, vicentino (è nato ad Arzignano e risiede a Brendola), attualmente 3° nella classifica di campionato di F2. È lui il prossimo italiano - dopo Giovinazzi - in attesa di ricevere da qualche team manager della massima serie una di quelle chiamate che ti cambiano la vita.

Luca, iniziamo dal principio: qual è il tuo primo ricordo legato alle corse?

«Il primo ricordo che ho di un autodromo e di una gara è quello fin dove la mia memoria mi permette di arrivare: avrò avuto 4 o 5 anni ed ero nel box di mio padre. Lui ha corso per circa 15 anni, prima in F3 e poi nei Prototipi, anche se ha potuto iniziare a gareggiare solo tardi e quindi ha sempre corso per pura passione».

Tornando all’attualità, come valuti la tua stagione fino a questo momento?

«Sono deluso, perché abbiamo la velocità per lottare sempre per vincere, ma ogni volta c’è qualcosa che non quadra: qualche piccolo errore mio oppure un colpo di sfortuna. Anche gara 1 di Monza, senza l’inconveniente ad una pistola durante il pit stop si poteva vincere (invece è arrivato 2° dopo una gran rimonta per recuperare il tempo perso ai box, ndr.) La verità è che abbiamo lasciato tanti punti per strada e considerando tutto quello che ci è successo posso ritenermi perfino fortunato a essere terzo in campionato. Ma potremmo essere in testa alla classifica se avessimo avuto un po’ più di consistenza».

Dopo quello che è successo a Spa la domanda purtroppo è d’obbligo: come si gestisce la consapevolezza di praticare uno sport ad alto rischio?

Luca ci pensa un attimo, poi risponde: «Con gli ultimi sviluppi, tra le scocche sempre più resistenti e l’halo, c’era nell’aria la convinzione che queste macchine fossero ormai diventate iper sicure, che fosse quasi impossibile che succedesse qualcosa. E poi quando corri l’adrenalina ti fa pensare solo al risultato e a guidare meglio e più velocemente possibile, non ai rischi. L’incidente di Spa è stato una terribile doccia fredda. Ripensandoci però ci sono state molte coincidenze sfortunate nella dinamica dell’incidente. Ammetto che come pilota non è stato facile tornare in macchina a Monza, ma ancora una volta quando ho abbassato la visiera tutti i pensieri erano di nuovo concentrati solo sulla prestazione».

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Che tipo di pilota è Luca Ghiotto?

«Questa è una cosa che a volte devo ancora capire - sorride Luca -, in alcune stagioni sono stato molto calcolatore, in altre più aggressivo. Quest’anno forse alcune volte sono stato troppo irruento. Sicuramente quando so di avere la macchina a posto, che si comporta come voglio io, tendo ad attaccare, non sto li ad attendere gli eventi. Il che va bene perché ho fatto molte gare in cui ho dovuto rimontare e le rimonte mi vengono bene di solito, è successo anche in gara 1 a Monza».

Sei un pilota da giro secco o da gara?

«Negli anni sempre stato più incisivo in gara mediamente, eppure la qualifica mi piace di più come momento. È eccitante avere un solo giro a disposizione in cui sai di dover essere perfetto in tutto».

La tua pista preferita?

«Ne ho 2: Monza e Spa. La prima perché correrci con il calore del pubblico di casa è incredibile, e devo dire che mi piace anche come tracciato. E poi c’è Spa, che è una pista che piace a tutti, è speciale come tracciato, anche se in alcuni punti può essere pericolosa».

Meglio correre sull’asciutto o sul bagnato?

«Devo dire che non ho preferenze per l’una o l’altra situazione, fortunatamente sono sempre andato bene in tutte le condizioni».

Quando non corre, cosa fa un pilota di F2?

«Passa la vita in palestra! Anche oggi mi sono allenato due volte, mattina e pomeriggio, perché può non sembrare ma guidare queste macchine è molto faticoso: raggiungiamo i 4 g di forza laterale e anche l’assenza di servofreno si fa sentire. La verità è che a questi livelli correre in macchina è uno degli sport che richiedono maggiore sforzo fisico».

A proposito di attività extra pista: come si trovano gli sponsor per arrivare fino alla F2?

«Non è facile, la mia famiglia non ha mai avuto la possibilità di finanziarmi la carriera e quindi ho sempre dovuto cercare gli sponsor, ed è molto difficile, anche perché chi sponsorizza il motorsport, soprattutto nelle categorie minori, lo fa soprattutto per passione. Occorre quindi trovare chi ha le possibilità finanziarie per fare da sponsor e allo stesso tempo è appassionato di corse e queste opportunità, da diversi anni ormai, in Italia, sono praticamente scomparse. Fortunatamente però ho sempre trovato dei team che mi hanno aiutato, mettendo loro buona parte del budget per farmi correre».

Sei al quarto anno di F2: sono tanti in un momento in cui altri piloti sembrano avere carriere velocissime?

«Purtroppo non ho mai avuto l’occasione di arrivare in un campionato e scegliere la squadra top, ho sempre dovuto aspettare l’occasione per trovare un sedile. Questo anche in F2: solo quest’anno sono in una situazione vincente. E questo è uno dei motivi per cui ho ripetuto l’esperienza in questo campionato. Poi, per certe carriere, oltre al talento ci vogliono tutta una serie di condizioni, inclusi tanti soldi naturalmente. E questo senza nulla togliere alle capacità mostrate poi in pista».

Dal 2015 ad oggi hai svolto diverse sessioni ai simulatori, anche per team di F1: che tipo di esperienza è e quanto sono utili per la crescita di un giovane pilota?

«Sì, i simulatori professionali sono molto formativi, se non altro perché ora come ora non ci è rimasto altro per allenarci... In F1, F2 e anche F3 i test sono proibiti al di fuori delle giornate ufficiali, ma devo dire che concordo con questa imposizione perché così non c’è qualcuno che gira più di altri. Anche se c’è comunque qualcuno che trova la scappatoia, svolgendo test su vetture diverse da quelle di campionato. Diverso è il discorso per la F4 e le altre categorie minori, dove si possono ancora effettuare i test ed è un bene perché dobbiamo lasciare la possibilità di imparare a chi ha appena iniziato a gareggiare. In questa situazione di test bloccati, comunque, per noi i simulatori sono preziosi, anche se il loro utilizzo dipende dalla categoria. In F1 vengono usati per sviluppare l’assetto e anche per provare virtualmente i pezzi nuovi prima di costruirli e utilizzarli in pista. Con il simulatore di F2 invece si può lavorare un po’ sull’assetto, ma principalmente viene usato per ripassare la pista e allenarsi mentalmente, simulando le diverse situazioni di qualifica e di gara».

A Budapest nel 2017 hai anche provato la F1, quella vera, con la Williams: dove si avverte di più la differenza rispetto alla F2?

«Premesso che l’attuale generazione delle vetture di F2 è davvero molto performante, con prestazioni sui livelli delle F1 di pochi anni fa, devo dire che oggi le F1 sono talmente estreme che non è possibile isolare un singolo aspetto che colpisce di più. È tutto l’insieme: la frenata, il motore, il grip in curva, tutto è incredibile».

La mia famiglia non ha mai avuto la possibilità di finanziarmi la carriera e quindi ho sempre dovuto cercare gli sponsor, ed è molto difficile, anche perché chi sponsorizza il motorsport, soprattutto nelle categorie minori, lo fa soprattutto per passione

Per il prossimo anno quali prospettive hai? Valuteresti una stagione come 3° pilota senza correre?

«L’obiettivo principale è ancora la F1 chiaramente e spero che finendo bene il campionato si apra qualche opportunità. Quella del 3° pilota, anche se con l’abolizione dei test ci sono molte meno occasioni di salire in macchina, è sempre un’opportunità da prendere in considerazione. Dipende anche dalle condizioni, perché ci sono team che chiedono soldi per fare la riserva, ma altre squadre pagano i piloti e li fanno lavorare, come ha fatto la Ferrari con Giovinazzi prima di quest’anno. E questo è sempre un modo per entrare nel mondo della F1, anche se dalla porta di servizio, e mostrare le proprie capacità».

Hai un piano B?

«Seguo con grande interesse il WEC e in generale le gare endurance, sia le GT che i prototipi, dove ho già dei contatti. Ma intanto c’è una stagione in F2 da concludere nel migliore dei modi».

Per le prossime gare cosa ti aspetti?

«Le sensazioni sono sempre ottime, perché la velocità c’è sempre stata, così come la consapevolezza di poter fare bene. Devo però concretizzare di più io: non devo pensare solo al risultato finale di ogni gara, ma essere più calcolatore. E poi spero di superare un po’ la fortuna, perché anche a Monza in gara 1 senza quella pistola inceppata al pit stop avremmo vinto».

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