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Se 24 Gran Premi per stagione vi sembran troppi, pensate che nei contratti FIA-FOM il limite massimo è di 25. E già adesso c’è chi si lamenta, a partire dalla stessa federazione che dovrebbe dotarsi di una seconda squadra di tecnici e ispettori, idem per i team. Ma Liberty Media prosegue nel suo cammino in cui i contratti decennali, i soldi degli sponsor (anche questi a lunga scadenza) riempiono le casse del promotor e degli stessi team. Alla lunga lista di chi vuole un GP, l’Africa è il continente che ha più probabilità e il Ruanda è la nazione in pole position per ospitare una gara entro un paio d’anni.
Per capire che possibilità reali ci sono, abbiamo incontrato alcuni personaggi, a partire proprio dal presidente del Ruanda, Paul Kagame, venuto a Singapore con tutta la famiglia a vedere da vicino come si svolge un GP e quali servizi servono per ospitare una gara. Il presidente è stato di poche parole, circondato da guardie del corpo che con tatto hanno tenuto lontani i giornalisti e proprio Singapore rappresenta uno Stato da imitare: “Vogliamo essere la Singapore d’Africa – ha detto Kagame, al potere dal 2000 e appena rieletto per il quarto mandato col 99 per cento dei favori – vogliamo far progredire la nazione e la conoscenza del nostro paese facendolo diventare un punto di riferimento”. Che il Ruanda sia già presente nello sport, lo dimostrano le sponsorizzazioni nel calcio: PSG, Arsenal e Bayern Monaco portano già il marchio Ruanda, una operazione che è costata 50 milioni di euro, ma per ospitare la F.1 servono molti più soldi. Sono circa 150 i milioni per la costruzione del circuito (e nella prima fase si pensa a sfruttare le piste dell’aeroporto di Kigali) senza contare gli hotel, le strade e i servizi ancora carenti. Ma perché andare proprio in Africa e soprattutto in Ruanda quando i precedenti parlavano di Sudafrica, con Kyalami che ha ospitato per anni un GP, e la candidatura del Marocco, senza dimenticare che in Sudafrica un paio d’anni fa c’era pure la proposta di Città del Capo ma che con appena 50 milioni di investimenti previsti, non è stato preso in considerazione da Liberty Media. “La F.1 è uno sport globale e mondiale, fra i vari continenti che ospitano una gara manca proprio l’Africa – ci dice Stefano Domenicali - E’ quindi un dovere essere presenti anche qui”.
Una scelta che crea un contrasto notevole: lo sport più ricco del mondo (lo dicono gli incassi e i contratti milionari firmati di recente), nel continente più povero del mondo. Dove il costo di una monoposto, di circa 2,5 milioni l’una, potrebbe sfamare una nazione. Il circo iridato muove soldi in maniera impressionante: se si considera soltanto il valore delle vetture schierate, siamo attorno ai 50 milioni di euro, i contratti dei piloti movimentano altre centinaia di milioni (fra Hamilton, Verstappen e Leclerc, tanto per fare un esempio, siamo già attorno ai 130 milioni in tre…), senza dimenticare gli sponsor del campionato. In Europa la F.1 muove introiti per circa 180 milioni di euro (dati ISTAT inerenti l’ultimo GP d’Italia, ndr), il Ruanda è una nazione di 13.6 milioni di abitanti divisi in tre etnie: Hutu (85 per cento), Tutsi (14 per cento) e BaTwa (1 per cento) con un reddito pro capite di 966 dollari. Ovvero lo stipendio di un anno che vale il costo di un biglietto in tribuna nei GP occidentali. Dice ancora Domenicali:” Vogliamo andare a correre in Africa per creare opportunità, creare lavoro. Noi siamo un campionato mondiale, l’unico continente in cui non corriamo è l’Africa, un continente che ha delle tensioni, delle situazioni sociali e difficoltà diverse rispetto ad altre parti del mondo. Voler andare lì non è legato al fatto di massimizzare quello che potremmo guadagnare di più in un altro posto. Vogliamo dare una centralità e una occasione a un paese che, attraverso la F.1, può diventare il collettore di tanti interessi in un territorio e in uno stato più povero degli altri. E’ l’occasione per far crescere un territorio attraverso uno sport che fa girare numeri importanti, come prodotto interno lordo e posti di lavoro, si parla di un progetto che parte da una carta bianca. Si parla di circuito, hotel. La prima volta che sono stato in Ruanda sono rimasto molto colpito dal mausoleo del genocidio. Una cosa che non può lasciare indifferenti. Spero si possa concretizzare il progetto”. Dice Hermann Tilke, l’architetto tedesco che ha creato diversi impianti, da Abu Dhabi alla Malesia, dal Qatar a Shangai, e che insieme all’ex pilota di F.1 Alex Wurz sta curando il progetto: “Ci sono due difficoltà da superare ovviamente, la prima riguarda gli investimenti, che sono subordinati alla realizzazione del progetto, la seconda di sicurezza, non è facile amalgamare il tutto, vedremo cosa succederà”.
Dice Alessandro Alunni Bravi, team principale Sauber Audi: “Essere la prima nazione in un Continente ad ospitare la F.1 è un biglietto da visita importante per gli investitori. Lo fu per l’Ungheria nell’86, primo paese comunista ad ospitare un GP e lo è stato per il Bahrain, con lo sviluppo che abbiamo visto tutti. La stessa cosa per Shangai e la Cina e per Baku, in Azerbaijan, oggi anche meta turistica ma che prima della F.1 nessuno conosceva o visitava. Per il Ruanda potrebbe essere l’occasione per seguire questi paesi e comprendo bene l’interesse attorno alla F.1”. Le operazioni nel calcio e l’interesse di aziende UK, con tecnici che spingono fortemente per la realizzazione del GP, fa capire come in questa nazione, al centro dell’Africa e ancora in mezzo a situazioni politiche dei paesi confinanti non proprio tranquilli, ci sia un potenziale enorme da sfruttare e nel contempo creare opportunità alla popolazione locale che vive con stipendi minimi.
Fra i maggiori “sponsor” della gara c’è ovviamente Lewis Hamilton, sette volte campione del mondo F.1, da sempre attento ai problemi di inclusione e opportunità per i meno fortunati: “Fra i paesi in Africa che ho visitato, è uno dei miei luoghi preferiti. Ho lavorato molto dietro le quinte e ho parlato con persone in Ruanda, così come in Sudafrica. È un processo lungo – ha aggiunto - ma è splendido che siano così desiderosi di far parte del calendario F.1”. Intanto, nonostante l’epidemia di Marburg (febbre emorragica) che ha colpito il Ruanda, il presidente della FIA, l’emiratino Ben Sulayem, ha confermato il gran galà del 13 dicembre, con la premiazione dei campioni del mondo a Kigali, nonostante l’OMS, l’organizzazione mondiale della sanità, abbia sconsigliato di recarsi nel paese africano. Ma c’è anche un altro rischio e riguarda i diritti umani, da sempre al centro dell’etica F.1 e della FIA. Dice a Nigrizia Victoire Ingabire, figura chiave delle opposizioni estromessa dall’ultima corsa elettorale sulla base di una vecchia condanna per terrorismo e negazionismo del genocidio del 1994: “Non mi oppongo a un eventuale investimento della F.1 in Ruanda, al contrario, ne sarei felice. Se la cooperazione con Kigali deve portare benefici a tutta gli abitanti del nostro paese però – prosegue la politica – i diritti dei cittadini devono essere tutelati. Per questo, chiedo espressamente alla F.1 di insistere affinché il Ruanda migliori la sua politica di rispetto dei diritti umani prima di prendere qualsiasi decisione”.
Tempi di realizzazione del progetto? “Ci vorranno almeno due anni se tutto fila liscio – dice un esponente di Liberty Media – devono essere soddisfatte molte richieste, dalla sostenibilità ambientale del progetto, agli investimenti e alla effettiva creazione di posti di lavoro e benefici per le popolazioni locali. Sud Africa o Marocco? Abbiamo avuto richieste da parte di questi Paesi, ma al momento non hanno soddisfatto le garanzie necessarie per disputare una gara di F.1. Il Ruanda al momento è in pole position, non ci resta che aspettare”. Tutto bello e tutto definito? Affatto. Qualcuno è scettico, aziende italiane che hanno sondato il terreno e viste le difficoltà sono perentorie: “Non lo faranno mai, troppi problemi, troppi limiti e pochi soldi. Tempo sprecato ma fa gioco creare interesse attorno a questa gara”. Sarà davvero così? Due anni il tempo di attesa. Intanto la lista dei paesi che vogliono un GP si allunga: Thailandia, Colombia, Corea del Sud che vuole rientrare, Arabia Saudita che ne vorrebbe due addirittura (oltre Jeddah anche Qyddya). Intanto ai piani alti di Liberty Media qualcosa comincia a scricchiolare. Qualcuno ritiene che si possa fare meglio in termini di incassi e sponsor e mira al posto di Domenicali, ma questa è un’altra storia…