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Con una piccola modifica al Codice Sportivo Internazionale, la FIA ha deciso di zittire i piloti che corrono nelle competizioni sotto la sua egida, F1 compresa. L'articolo 12.2.1.n ora stabilisce che i piloti violerebbero le regole qualora si verificasse "la diffusione o l'esibizione di messaggi o commenti politici, religiosi o personali, in particolare in violazione del principio generale di neutralità promosso dalla FIA attraverso i propri statuti, a meno che non siano previamente approvati in forma scritta dalla FIA per le competizioni internazionali, o dalle autorità locali per le competizioni nelle loro giurisdizioni".
Ne consegue che, a meno che la FIA non approvi il messaggio, non vedremo più magliette come quelle indossate da Sebastian Vettel e Lewis Hamilton negli ultimi anni a supporto delle cause in cui credono. A ben vedere, questo è il passo successivo per il controllo dei piloti dopo le minuzie dello scorso anno. Le querelle sui gioielli e sull’abbigliamento ignifugo che, guarda caso, avevano visto protagonisti proprio i due decani dello schieramento, erano il segnale di un’insofferenza che oggi è sfociata in qualcosa di più.
I gesti plateali, e pure infantili, di Vettel e Hamilton quest' anno – il primo si era presentato nel paddock con le mutande sopra la tuta, il secondo con diversi orologi al polso in conferenza stampa – non erano mere provocazioni, ma nascondevano qualcosa di più profondo. Vettel in Austria si era visto pure comminare una multa da 25.000 dollari per aver abbandonato anzitempo il briefing. Fu una dimostrazione chiara del fatto che certe insubordinazioni da parte dei piloti non sarebbero state tollerate.
Ma c’è anche dell’altro. A pensar male si fa peccato, però non abbiamo potuto fare a meno di notare una certa severità nei confronti di Pierre Gasly dopo le sue parole forti per la presenza della gru in pista a Suzuka. Come a dire che pure far notare le mancanze della direzione gara non è per nulla gradito. Nonostante l’addio di Michael Masi, anche nel 2022 si è vista una mancanza di uniformità di giudizio, oltre ad alcuni episodi in cui la sicurezza di chi era in pista è stata messa a repentaglio. È inevitabile che i piloti si infastidiscano vedendo molta attenzione sulle minuzie regolamentari che li riguardano e non su quanto accade in pista.
Il divieto di indossare gioielli e l’obbligo di munirsi di abbigliamento intimo ignifugo – presenti nel regolamento da tempo, peraltro – sono il frutto della necessità di garantire sicurezza. Nel caso di magliette o caschi con messaggi “politici”, si va invece a interferire nell’ambito della libertà di espressione del singolo pilota. E il principio di neutralità sbandierato dalla Federazione può davvero arrivare a silenziare chi ha intenzione di utilizzare la propria notorietà per dare visibilità alle cause in cui crede?
Questi sono i primi passi del nuovo corso voluto dal presidente della FIA, Mohammed ben Sulayem, dopo un inevitabile periodo di transizione con la gestione precedente. I piloti devono stare in silenzio, perché, dopotutto, pecunia non olet. Se Hamilton si presentasse di nuovo in Qatar o in Arabia Saudita con un casco a supporto della comunità LBGTQ, dopotutto, sarebbe una scortesia nei confronti di chi elargisce denaro sonante alla F1. E la vaghezza della normativa prescritta dalla FIA, peraltro, lascia un inquietante spazio di manovra. Ci si lamenta spesso che i piloti di oggi siano come dei robot, senza emozioni e con troppi peli sulla lingua. Ma come possono esprimersi se è la stessa Federazione a volerli controllare?