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Pecunia non olet, i soldi non puzzano. La risposta secca dell'imperatore Vespasiano al figlio Tito non lascia dubbi: sono passati quasi duemila anni ma il concetto è ancora valido oggi. Specie se si parla di F.1. Il prossimo GP d'Arabia, inserito in calendario per la fine del 2021, ha fatto gridare allo scandalo perché la nazione non è fra le più liberali al mondo. Torture, discriminazioni fra i sessi, mancanza di democrazia e tanto altro ancora mettono il paese al centro della lista nera delle nazioni più invise al mondo democratico. Ma in Arabia Saudita è in corso una sorta di rivoluzione sotterranea, fatta di piccoli passi verso una libertà che al momento è ancora molto teorica ma che qualche timido segnale comincia a darlo. Ad esempio, sono appena un paio d'anni che le donne possono guidare l'auto da sole e muoversi senza la presenza di un congiunto maschio. Non solo, pure l'accesso allo stadio è stato sdoganato. Cose che da noi fanno sorridere al pensiero, ma dopo decenni di chiusura, fanno intravvedere dei piccoli passi in avanti. ù
La F.1, dopo la F.E, si occupa del compito di aprire il mondo arabo più tradizionale a quanto di più moderno offre il mondo occidentale. La F.1 come testa di ponte verso nuovi orizzonti, prodroma di un mondo che cambia. Lo aveva intuito subito alla metà degli anni 80 Bernie Ecclestone, quando mise in calendario per la stagione 86 il primo GP d'Ungheria, allora saldamente oltre cortina di ferro. Fu il primo passo verso quello che accade tre anni dopo, con la caduta del muro di Berlino. Anche allora le critiche furono feroci: andare a correre in un paese di un regime comunista, dove la democrazia era sconosciuta. E il buon Bernie, novello Vespasiano, convinse tutti mostrando due banconote da un dollaro. Uno americano e uno proveniente dal cambio ungherese. Nessuna differenza fra i due, quindi tutti concordi e la corsa oggi è in pianta stabile nel calendario mondiale, con un paese che dopo la caduta del muro ha attraversato momenti diversi fino ai giorni nostri.
Nei paesi arabi si corse una volta agli inizi degli anni 80. La famiglia Bin Laden (quella di Osama, per intenderci) era sponsor della Williams campione del mondo, al pari della compagnia aerea locale e imprese petrolifere. La corsa fu una esibizione una tantum su un tracciato semi cittadino, pieno di sabbia, senza protezioni e con poca sicurezza, ma tanto bastò per capire che lì c'erano i soldi. E Bernie Ecclestone ci tornò alla carica ancora in seguito. Nel 2004, infatti, si disputò il primo GP del Bahrain, la prima corsa ufficiale nel Golfo Persico, una invasione occidentale in un mondo arabo ancora chiuso, poi nel 2009 seguì quello di Abu Dhabi dopo che le trattative per Dubai saltarono. E anche lì, non avendo tradizione nè piste, Ecclestone portò una e l'altra, grazie al lavoro di Herman Tilke, il progettista dei due autodromi.
L'Arabia Saudita, a questo punto, forte dei legami familiari, non poteva stare fuori e grazie al lavoro di Alejandro Agag ha ospitato la prima gara di F.E, cui adesso farà seguito la F.1. Il circus come messaggero di pace, affari e aperture mentali. Accadde lo stesso in Cina, sempre nel 2004, anno storico per la F.1 da questo punto di vista, la grande nazione comunista alle prese con la massima espressione del capitalismo. E anche lì sono anni che si corre, ma il primo passo in assoluto, di apertura verso il mondo islamico, lo si deve alla Malesia che nel 1999 ospitò il primo GP, grazie anche ai capitali di Petronas, la compagnia petrolifera nazionale che ben conosciamo per i trionfi con Mercedes.
Nazioni con un potenziale esplosivo dal punto di vista commerciale, ma in quanto a diritti umani, beh la F.1 si è sempre chiusa gli occhi, ha pensato ai soldi, che non puzzano, e al business. E lo stesso hanno fatto le nazioni ospitanti, venendo meno a principi religiosi o politici pur di strappare in mondo visione un messaggio positivo
La F.1 che mette d'accordo religioni, Islam e Cattolicesimo e Protestantesimo, che mette d'accordo gli investitori (il business generato dalle corse e le occasioni di scambio commerciali), la F.1 che dà un biglietto da visita a nazioni che vogliono aprirsi al mondo, vedi Azerbajian (islamico e ricco di giacimenti) o prima ancora la Turchia (anno 2005) con Erdogan che dopo aver fatto costruire a Tilke (quando si dice il caso) l'autodromo, si presentò in pista osannato dalla tribuna festante. Tribuna che quest'anno, 15 anni dopo, sarà deserta ma Erdogan ancora in sella al potere in Turchia...E che dire di India, Corea, Singapore? Nazioni con un potenziale esplosivo dal punto di vista commerciale, ma in quanto a diritti umani, beh la F.1 si è sempre chiusa gli occhi, ha pensato ai soldi, che non puzzano, e al business. E lo stesso hanno fatto le nazioni ospitanti, venendo meno a principi religiosi o politici pur di strappare in mondo visione un messaggio positivo. E l'Arabia Saudita, nel suo lento processo verso un regno più aperto e ugualitario, si è messa in coda. E sta preparando l'assalto a qualcosa di più grande, ma questa è un'altra storia che vi racconteremo a parte...