L'evoluzione della sicurezza nel motorsport

L'evoluzione della sicurezza nel motorsport
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La drammatica fine di Jules Bianchi ci offre l'occasione per parlare degli standard di sicurezza raggiunti nel tempo da vari aspetti considerati marginali nel mondo delle competizioni: dalle tute ai caschi, tutto serve a preservare il pilota
21 luglio 2015

Motorsport is Dangerous. Il motorsport è pericoloso. Lo sappiamo tutti fin troppo bene, solo che troppo spesso ce ne dimentichiamo, ed allora – puntuale – la sorte ce lo ricorda. Il week-end scorso è stato sciagurato, sotto questo punto di vista. Sabato mattina ci siamo svegliati con la terribile notizia della scomparsa di Jules Bianchi a seguito delle conseguenze del terribile incidente del 5 ottobre 2014 a Suzuka, mentre domenica sera altri due centauri hanno pagato a caro prezzo la loro passione per le competizioni sul tracciato californiano di Laguna Seca.

 

Motorsport is Dangerous. Il motorsport è pericoloso. Questa scritta compare nei pass federali della FIA, per ricordarci sempre che stiamo assistendo si ad uno sport, ma ad alto tasso di rischio, dove ci si può davvero fare del male.

 

Motorsport si Dangerous. È con questa convinzione che molteplici aziende lavorano di continuo per rendere le discipline a motore più sicure per chi rischia in prima persona, ovvero ai piloti. Pensiamo l'enorme evoluzione raggiunta negli anni per quanto riguarda l'abbigliamento tecnico. Se, negli anni '30, Tazio Nuvolari è divenuto famoso per il suo celeberrimo maglione giallo indossato durante le corse, al pari della polo azzurra degli ultimi istanti di vita di Alberto Ascari in quel di Monza, Niki Lauda deve molto alle protezioni ignifughe indossate durante il Gran Premio di Germania del 1976, del quale porta ancora oggi i segni sulla propria pelle.

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Il casco rappresenta la prima difesa per il pilota

 

Chi ha fatto della sicurezza dei piloti una vera e propria crociata è Sparco, azienda leader nel settore, tra le più utilizzate dai piloti di ogni dove. Sono sostanzialmente cinque i capi d'abbigliamento tecnico imprescindibile per un pilota iscritto a competizioni patrocinate dalla FIA. Il casco, in primis.

 

Nato originariamente come una sorta di cuffia in pelle alla quale spesso si accompagnavano vistosi occhialoni che poco avevano da invidiare agli assi della Prima Guerra Mondiale, nel corso degli anni è diventato il primo capo irrinunciabile di ogni pilota degno di questo nome, oltre che vero oggetto distintivo del guidatore. Si pensi, per un attimo, ai caschi di Ayrton Senna, Gilles Villeneuve, Graham Hill, Michael Schumacher, Jacky Stewart: riconoscibili e solidi. Questo perché le normative impongono standard rigidi, con test di impatto ardui: basti pensare che i caschi, per essere omologati, vengono lanciati tramite slitte dinamiche ad una velocità di 9.5 m/s da 5 metri d'altezza. Felipe Massa, nel 2009, sopravvisse ad un impatto terribile contro una molla di 1kg, che lo colpì ad una velocità di 270 km/h. Ancor più difficili i test delle visiere, contro le quali viene letteralmente sparato un proiettile di piombo da 1 grammo alla velocità di 500 km/h.

Gerhard Berger ad Imola nel 1989 uscì quasi incolume da un drammatico incidente, ma con le mani bruciate in corrispondenza delle cuciture del guanti

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Altro particolare di massima importanza sono le tute ignifughe. Del peso oscillante tra  i 700 grammi ed 1.3 kg, è la prima barriera protettiva del pilota contro le fiamme. Per la FIA, ogni tuta deve resistere almeno ad 11 secondi ad un calore di 800°. Come se ciò non bastasse, per quel lasso di tempo la temperatura interna alla tuta  non deve superare i 24° di differenza rispetto all'esterno. Il medesimo standard viene applicato anche alle scarpe, le quali devono coprire il piede sino ad una determinata altezza: ad esempio, una calzatura taglia 42 dovrà coprire il piede sino a 12 cm d'altezza.

 

Anche i guanti devono resistere al calore per i famosi 11 secondi. Negli anni, giustamente, sono stati oggetto di studi approfonditi, anche per via di alcuni incidenti simbolo, come quello occorso a Gerhard Berger ad Imola nel 1989, dove il pilota uscì incolume, ma con le mani bruciate in corrispondenza delle cuciture del guanti. Per ovviare a ciò, ora le cuciture sono esterne, mentre nel palmo della mano vengono applicate determinate resine per favorire il grip dell'arto.


Anche il sotto-tuta è un particolare da non sottovalutare. Per saggiarne la bontà, viene esposto ad una fiamma per dieci secondi, dopodiché – all'allontanarsi dell'augello ossidrico – le fiamme dovranno estinguersi autonomamente in meno di due secondi, mentre il sotto-tuta non dovrà presentare usura o fori superiori ai 5mm.

 

Molto è stato fatto, molto altro è ancora da fare. Chi corre lo fa con la consapevolezza di essere sottoposto ad un rischio, ed è dovere di chiunque si impegni nella prevenzione di tali rischi di ridurli il meno possibile.

 

Marco Congiu

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