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Kevin Magnussen preferirebbe la Formula 1 alla possibilità di vincere altrove? “Dipende assolutamente da quale sia l’opportunità in questione. La F1 è la categoria regina del motorsport, e tutti tendono a restarci il più possibile. Vorrei provare anche dell’altro, ma ho solo 31 anni”, ci risponde nel motorhome della Haas a Spa, quando il suo addio alla scuderia di Kannapolis è già stato ufficializzato, e il suo futuro appare ancora incerto.
“Non che non ci siano aspetti negativi, ma nulla arriva gratis. Figuriamoci correre in Formula 1”, aggiunge, con la dose di scandinavo pragmatismo che lo contraddistingue, proprio come la tenacia che mette in pista. “Non c’è nulla come una monoposto di F1. Forse nel 2026 questo cambierà, chissà. Alla fine, questo è il mio sport e la mia passione. So che amo correre in F1 e questo è ciò che conta davvero”.
La F1, insomma, resta la priorità in un momento di incertezza che Magnussen conosce bene. “Mi sono trovato diverse volte in questa situazione, e non mi disturba più di tanto, anche se mi sarebbe piaciuto rimanere”. E la precarietà non cambia il suo approccio al lavoro: "Quando sei in macchina non hai uno scopo preciso, cerchi solo di fare il tuo meglio, perché è la cosa più naturale. Siamo piloti, abbiamo uno spirito competitivo. Corriamo e basta”.
“Avere delle certezze è sempre bello. Ma allo stesso tempo c’è qualcosa di elettrizzante nel sapere che il prossimo anno le cose saranno diverse”, riflette con gli occhi che si illuminano dell’istinto di competizione tipico del pilota. La stagione 2024, finora, non è stata semplice, ma Magnussen rifugge qualsiasi scusante: "parlare di sfortuna non ha senso, è inutile. C’è sempre qualcosa che avresti potuto fare meglio”.
“Ci siamo trovati in alcune situazioni complesse in qualifica, e sono stato estromesso alla Q1 in circostanze in cui avrei potuto essere in Q3. Un po’ di traffico, qualcuno che decide di uscire dai box all’ultimo momento, quando non avrebbero più tempo per iniziare il giro: sono successe cose strane, a volte. Ma in alcuni casi ci siamo rifatti la domenica, anche partendo dietro”. “La F1 è spietata, in questo senso – osserva -. Anche se la situazione ha mille sfaccettature, alla fine siamo noi piloti il volto dei risultati. Ma quando le cose vanno bene, siamo noi a prenderci tutto il merito, quindi vale anche all'inverso".
Che Magnussen sia un tipo che va dritto al punto, senza voler accampare giustificazioni, lo capiamo ancora meglio quando gli chiediamo quale sia il risultato di cui va più orgoglioso nella sua carriera. “Non saprei – risponde -. Già arrivare in Formula 1 è piuttosto difficile. Quando ero un bambino, sognavo di vincere gare e mondiali, cogliere delle pole. Non sono riuscito a fare granché, in questo senso. Ci sono stati una partenza al palo e un podio, ma non era questa la mia ambizione. Anche se sono contento dei miei progressi da quando ho iniziato a correre ad oggi, e del fatto di aver corso per 10 anni in F1, continuo a pensare che vincere sia l’obiettivo”.
Dopo una decade nel Circus, Magnussen non sente di aver perso smalto, anzi. “Penso che ogni anno che passa si diventi più forti, resilienti. Credo di migliorare sempre di più con l’esperienza. Niente mi scompone. Quando ero un rookie, avevo una mentalità molto diversa rispetto ad oggi. Mi sento all’apice delle mie forze, e credo che sarà così anche andando avanti”. E oggi Kevin ha una consapevolezza che da giovane non aveva. “Quando ero un rookie, non mi focalizzavo sulle cose giuste”.
“Pensavo solo a vincere la mia prima gara dopo aver colto un podio nel mio GP d’esordio - riflette -. Non credo che sia un male per un giovane atleta, ma non era il massimo per la situazione in cui mi trovavo. La F1 è l’unico sport in cui accettare la propria situazione è un toccasana. Se non puoi vincere, non ti resta che fare il meglio con la monoposto che hai a disposizione. In un altro sport, saresti considerato un perdente se dicessi di non aspettarti di poter vincere. Qui è diverso”.
Ma cosa direbbe a un giovane talento che vorrebbe raggiungere la Formula 1? “Non credo di poter dare consigli, se non le ovvietà: sii te stesso, credi nei tuoi sogni… Ma la verità è che serve tanto supporto finanziario. È una visione molto romantica, vero? - ci dice con un sorriso amaro -. Le cose stanno in questo modo, però. Si tratta della base per poter lavorare sul resto. Senza un supporto in questo senso diventa durissima, ed è un po’ triste che sia così”. Lui, dal canto suo, non accetterebbe mai il destino che tocca ad alcuni giovani, fare il pilota di riserva. “Perché mai dovrei affrontare il viaggio per essere presente a 24 gare per avere la vaga possibilità di disputarne una? Ne ho corse quasi 200, non me ne serve una in più”.
Di quella triplice cifra di corse, Magnussen non si scorderà mai il GP del Bahrain 2022, la sua seconda chance in F1, arrivata in fretta e furia dopo il licenziamento di Nikita Mazepin. “È stata una cosa da pazzi – racconta -. Avevo già chiuso del tutto quel capitolo mentalmente. Avevo avuto una figlia e avevo iniziato una nuova fase della mia vita con la mia famiglia. E poi, improvvisamente, rieccomi qui. Più che il quinto posto colto in Bahrain al ritorno a essere incredibile fu l’intera esperienza. Ero seduto in spiaggia con un drink in mano, e dovetti correre in aeroporto, ritrovandomi poi nel paddock con una scottatura e senza la giusta forma mentis. Fu entusiasmante”.
“Poi sono arrivati dei momenti difficili, ma devi metterlo in conto quando diventi un pilota di F1. Sapevo che sarebbe successo, avevo abbastanza esperienza per conoscere ciò a cui andavo incontro. Ero consapevole che ci sarebbero stati degli intoppi sulla strada dopo l’iniziale luna di miele. Ma è parte del gioco”. Kevin Magnussen come funziona la Formula 1 lo sa benissimo. È una consapevolezza frutto di un lungo percorso da cui è uscito pilota e uomo diverso. E comunque andrà a finire, Magnussen resterà a galla. Perché quelli come lui, dopotutto, non affondano mai.