Jean Alesi: «I piloti di oggi? Che tristezza!»

Jean Alesi: «I piloti di oggi? Che tristezza!»
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Alla vigilia del GP dove colse nel '95 la sua unica vittoria in F1, Jean Alesi si racconta in una intervista, dove parla della moderna generazione di piloti | <i>P. Ciccarone, Montreal</i>
5 giugno 2015

Per Jean Alesi il GP del Canada conta moltissimo. Dopo 90 gare a vuoto, l’11 giugno 1995 ottenne la sua unica vittoria in Formula 1, conquistata al volante della Ferrari. Era il giorno del suo compleanno e, oltre a questo, Montreal, per un tifoso di Gilles Villeneuve come era Alesi, ha rappresentato il massimo della carriera nella categoria. Ora Jean non corre più, ma segue il figlio Giuliano che gareggia in F.4.

 

Dopo Mick Schumacher, Max Verstappen, Nicolas Prost e tanti altri ancora, pure la dinastia Alesi calca le piste. Un bene o un male?

«Diciamo che sono contento per Mick Schumacher, perché visto quello che è successo al padre vederlo vincere mi ha fatto piacere, ma anche perché in pista lo portavo io insieme a mio figlio Giuliano. Il male è che ha troppa pressione addosso perché si chiama Schumacher e questa pressione spero non l’abbia mio figlio. I ragazzi devono crescere liberi da stress, fare quello che sentono e divertirsi. Se non si divertono, meglio che cambino sport.»

 

Tu sei contento di tuo figlio?

«Per ora sì, ha vinto le prime due gare in F.4 e devo dire che il campionato francese è molto interessante. Intanto le macchine sono tutte uguali, gestite dalla federazione e ad ogni gara vengono sorteggiate, quindi se uno vince con macchine diverse vuol dire che è bravo. Nelle ultime prove Giuliano è stato pure penalizzato per un problema, quindi ha vinto e si è presto le penalizzazioni, segno che non è raccomandato. Se nella vita avesse voluto fare il violoncellista, non avrei potuto aiutarlo, son pure stonato. Ha voluto correre in macchina e quindi posso dargli dei consigli su cosa fare o come farlo,»

jean alesi (4)
Jean Alesi vinse, nel 1995, la sua unica gara in F1, al volante di una Ferrari

 

Come carattere in pista è come te? Ovvero aggressivo, spettacolare, senza limiti?

«No, per niente. A vederlo non sembra nemmeno mio figlio tanto usa la testa e corre col cervello! Meglio così, evita di fare dei danni…»

 

Naturalmente tu speri possa arrivare in F.1: cosa faresti in quel caso? Il team manager?

«Assolutamente no. Già oggi è un problema enorme stargli dietro, preferisco sedere in tribuna a fare il capo clan dei tifosi: non sono un hoolingans, ma faccio abbastanza casino fra il pubblico. Se arrivasse in F.1 farei lo stesso. È meglio stargli lontano, ha bisogno di calma e io sono troppo nervoso, mi agito, perdo il ritmo e lui mi calma dicendo 'papà smettila, papà non ti stressare….' In questo è lui che calma me! Figurati come son messo…»

Sono contento per Mick Schumacher, ma ha troppa pressione addosso, e spero che non ce l'abbia anche mio figlio

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E visto che abbiam parlato di Formula 1, cosa ne pensi della situazione attuale?

«Categoria mi piace sempre, la seguo a livello professionale per la TV, ma ci sono delle cose che non mi piacciono. Vorrei vedere più lotta serrata fra i piloti, un minimo di personalità e tanto ancora. Qualcosa non funziona ma tutti hanno la ricetta giusta, poi alla fine il risultato è quello che abbiamo sotto gli occhi. Si potrebbe fare di meglio.»

 

Magari avere dei piloti come te che mandavano a quel paese il team manager in diretta TV?

«Forse ero esagerato, però noi ci divertivamo molto in pista: la gente lo capiva e ti seguiva. Oggi non mi pare sia lo stesso, perché sono tutti uguali, hanno sempre i musi lunghi, una concentrazione estrema, nessun sorriso… Che tristezza!»

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