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C’era un tempo in cui la F.1 era popolata da angeli in incognito. Era il tempo in cui la passione prevaleva su tutto e ti faceva fare cose impensabili. Bastava un cacciavite in mano, un orecchio allenato, la fantasia per rimediare a un incidente di un pilota troppo focoso. Pietro Corradini apparteneva a quella generazione di angeli con la faccia sporca di grasso, le mani incrostate e un orecchio attento ad ogni minima variazione.
Adesso Pietro Corradini non c’è più, ha lasciato il mondo terreno per dedicarsi finalmente a tutti quei piloti coi quali ha lavorato, discusso, divertito e gioito nella vita terrena: Lauda, Regazzoni, Villeneuve. E ritrova quel Mauro Forghieri, anima di una Ferrari che coi vari Corradini, ma anche Zini, Bellentani, Scaramelli, Cuoghi per citarne alcuni di una epopea magica, sulle piste del mondiale erano personaggi a loro volta. Erano grandi e grossi o minuti e mingherlini. Cambiava poco: quando la F.1 non aveva limiti di orario, li vedevi armeggiare attorno a un motore, una sospensione, modificare qualcosa che “Furia” Forghieri si era inventato lì per lì e nei box, coi mezzi a disposizione, dovevi darci di seghetto, di lima. O magari rifare un ingranaggio del cambio perché troppo lungo o corto o perché il pilota aveva sbagliato una cambiata e tritato tutto. Li vedevi lì attorno, come in una sala operatoria, attenti al dettaglio, nonostante fossero in pista da ore, dall’alba e di dormire, nelle notti dei GP, non se ne parlava ancora. Poi l’ultimo colpo di vite, il motore che prende vita e l’applauso dei presenti che in silenzio seguivano religiosamente le operazioni.
Pietro Corradini era questo e altro ancora, al pari dei suoi colleghi di una epopea scomparsa, l’attenzione, la passione, l’occhio clinico, per dirne una. Montecarlo storico, Leclerc sbatte alla Rascasse. Lui, Pietro, era con la Scuderia Belle Epoque all’evento a seguire le monoposto di un cliente. E precisa arriva la sua analisi, il suo rapporto su cosa è successo e perché, la tirata di orecchie ai giornalisti superficiali che scrivono senza sapere. Ma tutto con calma e serenità, con quella passione innata per quei pezzi di ferro che nelle sue mani diventavano opere d’arte. Gente di altri tempi, gente da ammirare e rispettare. E ricordare con affetto.