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Due anni in coma, una carriera unica, un pilota definito il più grande, ma Michael Schumacher è stato anche il primo esempio di pilota-azienda nel mondo della F.1 moderna. Schumacher ha rappresentato in F.1, e nello sport in genere, il primo esempio di una nuova generazione di sportivi e manager. Più che un pilota, per quanto bravo, Schumacher è stato una multinazionale del rischio, una azienda che nel 1996 aveva un fatturato paragonabile a quello dei conti registrati dalla Sony Italia solo nel settore audio hi-fi o della Blaupunkt italiana (televisioni) o come la Momo, accessori per auto che ha un largo mercato anche negli USA. Parliamo di 20 anni fa. Si dice Michael Schumacher ma è come se si citassero queste multinazionali. Con la differenza che abbiamo a che fare con un uomo solo, praticante uno sport pericoloso come l’automobilismo, che si confronta con società specializzate e gestite da frotte di manager che hanno agli ordini centinaia di dipendenti.
Schumacher è un uomo-impresa nel senso più ampio del termine, come nemmeno Senna fu ai suoi tempi. Eppure il brasiliano, ricco di famiglia, riuscì a costruire un impero commerciale come la Senna Promocoes che in Brasile gestiva i marchi come Audi, Ford, De Longhi e tanti altri ancora. Con Schumacher, invece, siamo di fronte a un ragazzo di campagna sul quale scommise Willi Weber, investendo poca cosa, circa un centinaio di milioni di lire dell’epoca, ovvero poco più di 50 mila Euro attuali, aiutandolo nelle corse, fino ad arrivare, con sette titoli mondiali, a un giro d’affari superiore ai 65- 100 milioni di Euro all’anno. Quasi come puntare alla roulette e sbancare al primo colpo. Solo che le probabilità di vincita, in questo caso, sono forse superiori…
Quando Michael Schumacher firmò l’accordo con la Ferrari, alla fine del 1995, molti si stupirono per l’ingaggio pagato dalla squadra italiana, circa 25 milioni di dollari. Era all’epoca l’ingaggio più alto di tutti i tempi e già questo bastava per lanciare Schumacher nell’olimpo degli sportivi più pagati di tutti i tempi. Al contrario dei vari Tyson, Michael Jordan, Tiger Woods e altri sportivi ricchissimi della sua epoca, Schumacher va letto in una chiave diversa. Il tedesco è stato anche testimonial della Ferrari e della Fiat, della Shell (che a partire dal 96 ha investito 8 milioni di Euro all’anno nello stipendio del pilota tedesco) e di altri sponsor importanti ma con importi minori. Anche oggi, praticamente scomparso dalla scena pubblica, alcuni sponsor gli sono rimasti a fianco pagando parte della retta giornaliera dovuta alle cure per il recupero dal coma. A contribuire all’ingaggio ci furono ovviamente anche i soldi della Marlboro, che pagava anche i piloti della Ferrari a partire dal 1983. Grazie alla presenza di questi sponsor istituzionali, Michael Schumacher ha potuto dedicarsi con tranquillità alla discussione con altri marchi. Nel febbraio del 96 firmò un accordo con la Nike, calzature sportive, per 7,5 milioni di Euro.
Quando Michael Schumacher firmò l’accordo con la Ferrari, alla fine del 1995, molti si stupirono per l’ingaggio pagato dalla squadra italiana, circa 25 milioni di dollari. Era all’epoca l’ingaggio più alto di tutti i tempi e già questo bastava per lanciare Schumacher nell’olimpo degli sportivi più pagati di tutti i tempi.
Ma chi crede che il grosso dei guadagni fosse arrivato da questi contratti, si sbaglia. Il grosso del fatturato Michael Schumacher lo fece grazie all’indotto. Da quando è diventata operativa la “Michael Schumacher Collection”, inizio 96, il pilota della Ferrari ha visto incrementare i propri guadagni. Partita con uno staff di 11 persone impiegate a tempo pieno, la MSC faceva capo a Willi Weber, il manager onnipresente. Detto anche Mr 20 per cento, la sua quota negli incassi. All’interno di questa struttura esisteva un reparto che si occupava di ricerche di mercato e un altro che curava le licenze commerciali. Schumacher è stato il primo sportivo al mondo che abbia avuto un progetto di merchandising attorno a sé. All’inizio fu stampata anche una rivista che portava lo stesso nome della società per pubblicizzare i prodotti in vendita. Il Michael Schumacher Magazine costava quasi 4 euro attuali, ma la tiratura di 100 mila copie del primo numero andò esaurita nel giro di 40 giorni. Si trattava di un vero e proprio Postalmarket da corsa, in cui i tifosi trovavano tutti gli articoli firmati Schumacher. Nel corso degli anni, dagli oltre 200 articoli si è passati a una cinquantina. Anche perché alcuni prodotti sono stati un vero e proprio flop, basti citare l’asse copri water rigorosamente rosso, con tanto di modellino della Ferrari incorporato che costava, all’epoca in cui fu presentato, 200 mila lire, poco più di 100 Euro. Ma in listino c’erano anche canottiere, giubbini, tute da ginnastica, pasta, conserve di pomodoro, marmellate, bicchieri per la birra, posate, accendini, portafogli, cerchioni in lega, volanti. Ma anche orologi: Omega, che aveva un accordo con Schumacher, e Girard-Perregaux (che aveva in listino un modello esclusivo marchiato Ferrari).
La presenza di molti prodotti col marchio del cavallino ha fatto anche supporre che ci fosse un accordo o una sorta di liberatoria che andava ben oltre la parte sportiva. Nessun pilota, prima di lui, aveva avuto la possibilità di vendere prodotti firmati col marchio del cavallino rampante. Il primo anno di attività della Michael Schumacher Collection ha fruttato oltre 30 milioni di Euro, di cui “un 10-15 per cento finisce direttamente nelle tasche di Michael” disse Willi Weber commentando i dati commerciali della nuova impresa. Al Nurburgring, giorno del debutto della nuova collezione, furono venduti 35 mila cappellini col marchio Schumacher. A Imola e Montecarlo si superarono i 50 mila, senza contare quelli venduti per corrispondenza. In tre GP della stagione 1996, la MSC ha intascato oltre 2,5 milioni di Euro solo dai cappellini! Se le percentuali citate da Weber sono vere, e non c’è ragione per non credergli, in tre corse Michael Schumacher ha guadagnato dalla vendita dei cappellini 500 mila Euro. In F.1 c’è gente che certe cifre non le vede in anni di corse. Per fare un esempio, Eddie Irvine aveva un ingaggio di 700 mila dollari all’anno, meno di quanto Schumacher ha incassato vendendo cappellini in tre week end. Per Willi Weber, però, il cruccio era la pirateria: “Prepariamo 500 mila cappellini, e sui mercati asiatici ne spuntano altri 500 mila che vengono venduti a basso costo”. Sarà che le aziende, cinesi in maggior parte, oltre alla produzione dello stock firmato, mettono in cantiere anche una bella fetta di articoli “clonati”. D’altronde la qualità è la stessa, visto che le stesse aziende hanno capito il meccanismo e non si fanno scrupoli di inondare il mercato con copie a bassissimo prezzo.
Comparire sempre in TV, mostrare i marchi applicati sulla tuta, mostrare il nuovo modello di cappellino, ha significato per Schumacher diventare il testimonial di se stesso con la differenza che invece di pagare spot televisivi pubblicitari, Schumacher si è fatto pagare per pubblicizzare i propri marchi
L’ultimo punto in cui lo Schumacher azienda ha rivoluzionato il modo di intendere la professione di pilota, è stato l’accordo con la televisione tedesca RTL. Nel 1996 il primo contratto era di 500 mila dollari all’anno, cifra che è poi lievitata al pari dei titoli mondiali del pilota tedesco. Comparire sempre in TV, mostrare i marchi applicati sulla tuta, mostrare il nuovo modello di cappellino, ha significato per Schumacher diventare il testimonial di se stesso con la differenza che invece di pagare spot televisivi pubblicitari, Schumacher si è fatto pagare per pubblicizzare i propri marchi! Non solo, ma Michael veniva anche pagato per raccontare in diretta TV i risultati delle prove e della gara. Se nell’antichità Re Mida divenne famoso perché tutto ciò che toccava diventava oro, nell’era moderna Michael Schumacher ha dimostrato che grazie al suo piede pesante di pilota, è riuscito nella stessa impresa. E fa niente se il manager Willi Weber si lamentava (dopo la brutta separazione e le cause legali) che ormai il mercato dei cappellini era scomparso, così come la MSC che non esiste più da una decina d’anni. Quello che ha fatto fuori dalle piste Schumacher vale forse più di quello, ed è tanto, che Michael ha fatto nei circuiti di tutto il mondo.