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Nikita Mazepin e Yuki Tsunoda sono le due facce della medaglia dell’irruenza giovanile in Formula 1. 22 anni il primo, 21 il secondo, sono i rookie più chiacchierati del 2021. Il sentiment, come direbbero gli appassionati di marketing e degli anglicismi, è però diverso. Nikita è odiato da prima che approdasse in F1, grazie a una serie di malefatte e dichiarazioni al limite che lo hanno reso inviso a moltissimi. Yuki, invece, ha incantato al debutto in Bahrain, e suscita grande simpatia, grazie allo stridente contrasto tra il suo aspetto da bimbo sperduto e la sfilza di parolacce prodotta in ogni team radio.
Yuki è come il wasabi, apparentemente innocuo, ma in realtà assai piccante. Il problema è che la sua esuberanza potrebbe costargli cara. Dopo il Bahrain, Tsunoda si è perso per strada, commettendo alcuni errori. Il che, in sé, non è un dramma. È un rookie, e la curva di apprendimento passa anche per qualche imperfezione. Il vero nodo della questione è il suo atteggiamento. Nei team radio, Yuki sarà anche divertente, ma è molto aggressivo nei confronti del suo team. Non può permetterselo: con quattro gare all’attivo in F1, deve imparare, non attaccare.
Non aiuta sicuramente la barriera linguistica. Yuki parla inglese, ma non in maniera abbastanza fluente da poter esprimere le sfumature di significato. Un esempio lampante: nel corso del weekend di gara ha asserito che Pierre Gasly avesse a disposizione una macchina diversa dalla sua. Intendeva a livello di assetto, chiaramente. Ma questo tipo di dichiarazione apre il fianco a titoloni roboanti sulla stampa e ad allusioni che non erano nelle sue intenzioni. Semplicemente non sapeva come rendere il concetto in una lingua molto diversa dalla sua.
Se a queste parole apparentemente avventate si aggiunge la costante rabbia nei team radio, è evidente che Yuki stia perdendo la trebisonda. Tsunoda è un pilota dal grande potenziale, per quanto abbiamo visto finora. Ma la storia di questo sport è piena di meteore che si sono autosabotate, prendendo la direzione sbagliata. Dovrebbe essere più assertivo, cercare di capire meglio la sua monoposto e l’ambiente in cui si trova, ascoltando e assorbendo quanto può captare in un mondo straniante come quello della F1.
È anche questa una forma di arroganza, a ben vedere. Yuki sa di essere veloce, di avere talento. E non accetta le difficoltà che sta affrontando, come ogni rookie che si rispetti. Fatica ad adattarsi alla situazione, proprio come Mazepin. Che, in modo decisamente più eclatante, ha un fare sprezzante nei confronti dei colleghi, che non rispetta, e della sua monoposto. Perché non riesce a capire che è lui a doversi plasmare a seconda della sua vettura, non il contrario.
Il problema di Mazepin, però, è che non sembra avere alcuna intenzione di cambiare. È nell’occhio del ciclone dal primo GP, ma le penalità e addirittura il team radio al vetriolo di Toto Wolff alla direzione gara nel corso del GP di Spagna non paiono scalfirlo minimamente. Il suo è un atteggiamento che emana la fragranza del privilegio a chilometri di distanza. Non è evidentemente abituato a sentirsi dire di no. E non pare intenzionato a cambiare modo di porsi.
È la mancanza di autocritica il vero problema di Mazepin. Si crede infallibile, anche quando fallisce miseramente. Tsunoda deve cercare a tutti i costi di non cadere nella stessa trappola. Non potrebbero essere più diversi, Nikita e Yuki. Non solo per talento, ma anche per la manifestazione della loro arroganza. Luciferina quella del primo, esuberante quella del secondo. Ma il risultato rischia di essere lo stesso. Yuki deve usare il suo talento come una bussola, senza farsi traviare dalle sirene che, nella sua testa, lo inducono all’insubordinazione. Anche perché, nella galassia Red Bull, è un peccato capitale.