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Dire Monza vuol dire casa. Quando c’è il Gran Premio sulla pista brianzola, vuol dire tornare a calpestare l’asfalto sul quale si è nati professionalmente. Ma soprattutto, vuol dire tornare a dormire a casa dopo le prove, invece che trovare un albergo a qualche decina di chilometri dal circuito.
Quando si affronta il Gran Premio d’Italia ci si muove ad occhi chiusi nel paddock, ma anche attorno alle stradine, per evitare code e ingorghi, vuol dire sapere dove andare a chiedere una informazione, come muoversi fra guard rail e commissari inflessibili. E’ l’aspetto positivo di questa gara.
Non ci sono solo lati positivi
Purtroppo c’è anche un aspetto negativo: il fatto di conoscere tutti, di sapere come muoversi, negli amici o nei semplici conoscenti scatta la convinzione che il GP d’Italia di F.1 sia una corsa che uno organizza fra amici al bar e pertanto si possono chiedere pass per i box (mica biglietti, sarebbe troppo facile) accessi riservati e altro ancora. Siccome la lista di conoscenti, facendo il giornalista, è piuttosto lunga, accade che in alcune edizioni della gara le richieste siano tali da poter riempire la tribuna centrale. Moltiplicare il numero di richieste per i 450 giornalisti accreditati, per i 1600 commissari in pista, per i 150 dipendenti dell’autodromo con annessi e connessi, per il numero di autorità politiche, amministrative o commerciali (bancari, commercialisti, medici del pronto soccorso) alla fine a fronte di 150 mila biglietti venduti ci sono 280 mila richieste di biglietti gratis.
A questo punto scatta la caccia al tagliando ed è sempre problematico, a volte anche umiliante, dover cercare qualcosa per qualcuno al quale non si può dire di no. Nel mese precedente la gara, che di solito è nella prima o seconda settimana di settembre, va tutto liscio visto che ad agosto sono quasi tutti in ferie. Qualcuno, più previdente, comincia a chiederti dei biglietti con tre mesi di anticipo: “Allora, quest’anno va a Monza?” ti chiedono, sapendo benissimo (vigliacchi) che uno che lavora in F.1 per forza di cose deve andare a Monza. “Non ci sarebbe qualche biglietto con lo sconto?” ti chiedono. Dicono sconto ma in realtà dicono gratis. I più temerari si avventurano: “Non è che ti serve una mano nei box? Non darei fastidio, mi metto lì in quello della Ferrari e tu intanto fai il tuo lavoro” come dire che stanno facendo un trapianto di cuore e siccome sei amico del chirurgo, uno si mette lì con lo stetoscopio che se succede qualcosa al malato, magari ti dà una mano…
“Negli amici o nei semplici conoscenti scatta la convinzione che il GP d’Italia di F.1 sia una corsa che uno organizza fra amici al bar e pertanto si possono chiedere pass per i box (mica biglietti, sarebbe troppo facile) accessi riservati e altro ancora”
Favoritismi vari
Il macellaio comincia a metterti da parte la carne per il cane o per il gatto, la vicina di casa dice che i bambini seguono sempre la F.1 “ma vedesse come sono appassionati, conoscono tutti”… e via di questo passo. Diventa un inferno come lo diventa quando devi andare a chiedere i tagliandi. Una volta chiesero il pass dei fotografi con tanto di carta intestata dell’agenzia. Peccato che nella via indicata, vicino a Milano, ci fosse una lavanderia. Se ne accorse un ragazzo dell’ufficio stampa, passando per caso. Entrato a chiedere informazioni, scoprì che gli operai erano appassionati di F.1 e volevano entrare gratis. Questo per dire che a Monza bisogna aspettarsi di tutto.
Quando poi si riesce, con preghiere, lusinghe e umiliazioni, ad avere il famigerato tagliando, il passaggio di consegne fa invidia ai corrieri della droga colombiana. Un ammiccamento, uno sguardo furtivo, gente che si sposta dalla sala stampa con mosse veloci, rapidi passaggi di mano e poi via, in un angolo nascosto a controllare “la merce”. “Tenga, è il massimo che sono riuscito a fare” ti dice la voce fuori campo. Tu ringrazi, metti via e pensi di chiamare subito colui che ti ha chiesto il biglietto. Vai nelle toilet e scopri che ci sono altri colleghi, tutti intenti a fare la stessa cosa: controllare la busta bianca. La apri, estrai il tagliando e leggi: “valido come ingresso prato sabato, prove libere e ufficiali”. Ma come? Uno diventa matto, avvengono contorsioni che a spacciare droga sarebbero meno complicate, e ti ritrovi in mano un biglietto prato? Per le prove del sabato, per giunta! Finalmente, quando arriva la domenica, c’è solo da pensare al lavoro e non è affatto una brutta cosa!
Monza. Quanti ricordi!
I ricordi legati alla corsa di Monza sono tantissimi e tutti ancora ben freschi nella mente. Per tutti resta l’edizione del 1978, quando ci fu una paurosa carambola alla partenza. All’epoca appartenevo al gruppo dei portoghesi, gente che entrava in pista senza pagare. Attorno alla pista sorgevano le tribunette abusive, meglio conosciute come trabatelli. Il popolo dei trabatelli è molto particolare. Per costruirle bisognava portare in autodromo tutto il materiale da costruzione, tubi Innocenti, viti, bulloni, chiavi inglesi. Ma siccome non si poteva portare dentro tutto questo materiale senza destare attenzione nei controlli, l’operazione prendeva il via con largo anticipo sulla gara. Si sceglieva la zona del circuito dove installarli, si portavano dentro un po’ alla volta con dei volontari, ai quali sarebbero andati di diritto i posti migliori.
“I ricordi legati alla corsa di Monza sono tantissimi e tutti ancora ben freschi nella mente. Per tutti resta l’edizione del 1978, quando ci fu una paurosa carambola alla partenza”
Poi, a tre giorni dalla gara, come per incanto le zone del prato attorno al circuito si sarebbero trasformate in un cantiere a cielo aperto. Battere di martelli, chiavi inglesi che passano di mano in mano, e le tribunette di cinque o sei piani prendevano vita. Il fenomeno è stato notevolmente ridotto nel corso degli anni, anche perché il rischio di cadute era sempre presente. Un anno, edizione 1995, sul lato sinistro della prima chicane intervennero i carabinieri e fecero smontare tutte le impalcature abusive.
Mancavano poche ore al via della gara e i lavori di abbattimento furono velocissimi. A un occhio attento, però, non sfuggì un particolare. Mentre calavano i piani dal lato sinistro della pista, quasi contemporaneamente crescevano i piani sul lato destro del tracciato. Alla fine, quando ormai la gara stava per partire, dal lato sinistro non c’era più niente mentre a destra si ergeva una bella tribunetta di sei piani. Naturalmente abusiva. Forse non tutti sanno che crescere professionalmente a Monza è una scuola di vita. Quando si frequentavano le gare minori, come la F.Monza, si imparavano le difficoltà tecniche da risolvere, si imparava a fare le fotografie dietro al guard rail, a capire cosa era accaduto e a raccontarlo in 20 righe sui giornali specializzati.
Back in time
Il primo pass mi fu rilasciato da Romolo Tavoni in persona. L’ex DS della Ferrari, direttore di gara dell’autodromo, è una figura carismatica. Per tutti è lo zio, perché come un buon vecchio zio, magari brontolone, ti segue, ti aiuta e ti indirizza. Per uno che aveva solo tanta passione e la voglia di stare nel mondo dei motori, senza l’aiuto morale e pratico di “zio” Romolo non sarebbe stato possibile arrivare da nessuna parte. Le “lezioni” di Tavoni erano finalizzate all’interpretazione della realtà circostante. Ti faceva vedere sempre l’altra faccia delle cose, quella meno visibile, la più nascosta, ti aiutava a pensare e a trarre delle conseguenze.
Tavoni ha insegnato ad essere onesti fino in fondo, perché ripeteva sempre: “Fare il giornalista è come lavorare in piazza. Sei sotto gli occhi di tutti. Se sei un ladro, un truffatore o uno onesto, alla fine la gente lo sa. Non ti scordare di lavorare in piazza e comportati di conseguenza”. E’ stato così e anche se agli inizi veniva la rabbia di vedere certe carriere, di vedersi sbattere in faccia tutte le porte, di non trovare sbocchi, alla distanza di quelli che all’epoca sembravano celebratissimi e potentissimi, oggi ne sono rimasti pochi se non nessuno.
“Il primo pass mi fu rilasciato da Romolo Tavoni in persona. L’ex DS della Ferrari, direttore di gara dell’autodromo, è una figura carismatica. Per tutti è lo zio, perché come un buon vecchio zio, magari brontolone, ti segue, ti aiuta e ti indirizza”
Ancora oggi, che entro in autodromo a Monza col pass per l’auto in bella vista sul parabrezza e quello FIA appeso al collo, c’è sempre la stessa sensazione di essere un imbucato alla festa dei grandi. A Monza ci fu un altro record: dalla prima edizione del GP, seguita a bordo pista come spettatore, nel 1974, ad oggi, non ho mai pagato un biglietto. Per raccontare i modi e i metodi di ingresso a sbafo in autodromo, ci vorrebbe un libro apposta. Per tutti vale la pena ricordare l’edizione del 1979. La Ferrari stava per vincere il mondiale con Scheckter e Villeneuve.
Grande attesa
L’attesa e la pressione ai cancelli di ingresso erano altissime. Fra il golf club e il rettilineo della sopraelevata, riuscii a imbucarmi, ma appena entrato in pista fui inseguito dai militari, catturato e portato su un cellulare dei carabinieri che mi riportò fuori dall’autodromo. Di pagare il biglietto non se ne parlava e così ci fu il secondo tentativo. Anche questo andato a male: altra carica dei carabinieri, altro rastrellamento e lo stesso cellulare che mi portò fuori dall’autodromo. Mai darsi per vinti e soprattutto mai pagare un biglietto a Monza (quando lo leggeranno i responsabili della SIAS mi faranno pagare anche gli arretrati…).
Fu così che, presi dalla disperazione e per niente in forma, con un gruppetto di temerari riuscimmo a scavalcare la rete, saltare giù dal curvone della sopraelevata (con le scarpe di cuoio su asfalto bagnato è come fare la discesa libera nel km lanciato), poi una volta a terra, inseguito dai cani lupo della polizia, ci fu lo scavalcamento dell’ultima rete con lancio dello zaino dall’altra parte. Oltre tre metri di recinzione scavalcata in un lampo con il cane che mordeva i jeans e il poliziotto che urlava di scendere. Lo feci, ma dalla parte opposta percorrendo i 100 metri con il nuovo record olimpico, mai omologato a dire il vero. L’autodromo di Monza è la nostra famiglia, quella degli appassionati di corse. Me lo ricordo tutte le volte che varco quel cancello, F.1 o gara minore che sia. Ma questa si chiama passione e spiegarla non è sempre facile!