Formula 1: la scomparsa dei piloti italiani

Formula 1: la scomparsa dei piloti italiani
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Da cinque anni non si trovano piloti italiani sulla griglia di partenza di un GP di F1. Le cause sono di natura economica, ma c'è anche una scuderia che non investe in maniera congrua...
20 ottobre 2015

Valentino Rossi e Andrea Iannone, ma anche Dovizioso e prima ancora Agostini, Lucchinelli, Capirossi, Biaggi, Uncini, Gianola, Gresini, Ferrari e tanti altri ancora. L’albo d’oro dei piloti a due ruote è fonte di orgoglio per l’Italia, poi se guardiamo all’elenco dei campioni del mondo di F.1 si fa un salto nel passato.

 

Nino Farina e Alberto Ascari. Era il 1953, dopo di che il nulla assoluto. O quasi. Rare eccezioni, campioni a un soffio dal titolo, come Alboreto o De Angelis e Patrese. Qualche vittoria nei GP, con Fisichella e Trulli in anni recenti (oltre un decennio fa…). Poi il vuoto. Da cinque stagioni in F.1 non ci sono più piloti italiani. Nulla, eppure l’Italia e la F.1 vantano una storia da primato. E se ci si guarda intorno, viene il magone.

 

La Grande Italia da corsa è presente in tutte le categorie del motor sport. Dalla MotoGP o i titoli mondiali nella GP2 con Pantano e Valsecchi, le vittorie a Le Mans con Bruni, Fisichella, Capello, Pirro e il rischio di dimenticarne tanti altri ai vertici internazionali vedi Tarquini, campione del mondo WTCC a 50 anni. Eppure parlando di F.1, zero via zero. C’è l’Italia del tennis con la Pennetta e la Vinci, capaci di scrivere pagine di storia, c’è l’Italbasket, c’è la nazionale di ginnastica artistica. C’è un mondo di sport e di protagonisti. Dappertutto tranne che in F.1. Perché? L’analisi è semplice e difficile al tempo stesso: da una parte c’è stata una mancanza di talenti veri, su cui investire. Dall’altra l’ottusa incapacità di sfruttare un nome e un potenziale come quello della Ferrari che ha sempre fagocitato tutte le risorse (scarse) della nostra nazione.

michele alboreto
Alboreto, nel 1985, fu l'ultimo italiano a rischiare di vincere un Titolo Mondiale di F1

 

«Quando c’era il mio team in F.1 – dice Giancarlo Minardi – di piloti italiani ne ho fatti correre a iosa. Non voglio citare solo Fisichella e Trulli, ma anche Nannini, Martini e tanti altri ancora come Webber e Alonso. Quando dicevo che un secondo team era fondamentale per l’Italia da corsa, sono stato deluso dalle reazioni. Anzi, invece che aiutarci e darci spazio, ci davano addosso. Oggi la risposta è sotto gli occhi di tutti, da cinque anni non abbiamo più un pilota italiano in griglia e nonostante gli sforzi che la FDA, la Ferrari Driver Academy sta facendo, ci vorrà ancora del tempo per rivederne uno ai nastri di partenza».

 

Su questo aspetto interviene anche Cesare Fiorio, ex direttore sportivo di Lancia, Fiat e Ferrari F.1. «A distanza di 25 anni possiamo dire che avevo visto giusto e che avevo ragione io – dice Fiorio – quando decisi di fornire i motori Ferrari alla Minardi e quando avevo a disposizione un serbatoio di giovani piloti da svezzare. L’ho fatto nei rally con Fiat e Lancia, l’ho fatto in F.1. Dopo di allora è mancata una politica unitaria e i risultati sono evidenti. Se c’è un talento lo prende la Red Bull o la Mercedes, da noi non accade nulla, se la Ferrari avesse proseguito con la mia politica, oggi non saremmo a questo punto…».

Da un lato si mette mano al portafoglio, Red Bull, dall’altro (FDA) si cercano talenti già completi o quasi sperando poi di trovare i finanziamenti

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La Ferrari, idolo degli appassionati, ma anche un Saturno che mangia i propri figli: «In Italia tutte le risorse, che sono poche, finiscono nelle mani della rossa – dice ancora Fiorio – e purtroppo correre in auto costa caro, senza sponsor non vai da nessuna parte». La Ferrari ha varato qualche anno fa il programma FDA alla ricerca di nuovi talenti. Forse solo Jules Bianchi, scomparso a luglio, è stato il frutto di una politica che non ha portato a grandi risultati. Pochi nomi, alcuni bruciati in breve tempo, vedi Bortolotti, altri nel limbo come Marciello o Fuoco, un fallimento in termini di risultati pratici, al contrario della politica Red Bull che ha sfornato negli anni Vettel, Ricciardo, Kvyat, Buemi, Sainz, Verstappen e l’elenco potrebbe continuare a lungo: «Guardiamo alle formule minori, se uno ha talento, lo mettiamo sotto contratto lo aiutiamo con un programma fatto di squadre e finanziamenti» dice Helmut Marko, factotum della Red Bull. Quindi da un lato si mette mano al portafoglio, Red Bull, dall’altro (FDA) si cercano talenti già completi o quasi sperando poi di trovare i finanziamenti:«Secondo me l’errore è che non si investe a dovere  - dice Giancarlo Fisichella, ex pilota Ferrari e Renault F.1 – una volta individuato un giovane, si dovrebbe investire su di lui, cercare sponsor, coinvolgere aziende nazionali e no. Oggi lo fa solo la Red Bull e i risultati si vedono, zero piloti in griglia dopo me, Liuzzi e Trulli».

alessandro zanardi
Senza munifici sponsor alle spalle, la Formula 1 può durare appena una stagione, nonostante un cv di tutto rispetto

 

Fra i giovani oggi c’è attenzione a Ghiotto e Ceccon nella GP3, col primo nell’ottica Red Bull grazie al lavoro del team Trident di Maurizio Salvadori e alla politica della CSAI di aiuto, ma perché nelle moto andiamo forte e in F.1 siamo latitanti? «Intanto è un discorso economico – dice Danilo Petrucci, pilota Ducati MotoGP – con le cifre che girano nelle moto, in F.1 non ci compri nemmeno lo spazio su una fiancata. Di certo c’è che gli italiani, dalla Moto3 alla MotoGP, seguono un percorso fatto di team, sponsor, aiuti e concretezza, in F.1 non mi pare ci sia. Se uno va forte nella GP3 poi sparisce nella GP2 e in F.1 nemmeno sanno chi è. Ci fossero soldi allora si potrebbe anche tentare, ma non vedo soluzioni».

 

Italiani brava gente, tranne che in F.1. Peccato, e pensare che l’Italia da corsa è rappresentata al vertice da aziende come Brembo, Marelli, Pirelli, OZ cerchi, Sparco e altro ancora, come dire che la F.1 è Italia ma è senza italiani in griglia. «È un lavoro lungo e complesso – dice Angelo Sticchi Damiani, presidente ACI – che con la federazione abbiamo impostato qualche anno fa, non è facile e ci vogliono risorse che le aziende italiane non hanno o non vogliono investire, di sicuro c’è lo sforzo della federazione per rivedere un pilota italiano in F.1 e possibilmente al vertice e non come comparsa». Speriamo, ma quanto costa portare in F.1 un pilota? Partendo dalla GP3, che è già una categoria professionistica e che costa 700 mila euro all’anno, si passa alla GP2 da 1,5 milioni di euro. In F.1 i sedili si “affittano” a 8-10 milioni di euro. Quindi calcolando due anni per ogni categoria, se non metti sul tavolo almeno 15 milioni di euro, la F.1 te la scordi.

 

E non parliamo del go kart, primi passi per tutti. Con cifre che partono da 100-150 mila euro all’anno si capisce bene che il percorso per arrivare in F.1 è quello di investimenti a lungo termine, sperando poi di concretizzarli con contratti da primato. Ovvero con cifre fra i 25 e i 35 milioni di euro all’anno di ingaggio come percepiscono i top driver della F.1. Ma questa è un’altra storia…

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