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“Non me ne sono ancora davvero reso conto. Realizzerò tutto domani, nella mia prima sessione di prove libere da pilota ufficiale di Formula 1”. Quando abbiamo incontrato Isack Hadjar, il giovedì del Gran Premio d’Australia 2025, il rookie della Racing Bulls non aveva ancora davvero metabolizzato il fatto di aver coronato il suo sogno. E, soprattutto, non poteva sapere che il weekend di gara del suo debutto avrebbe preso una piega amara, esponendo con forza la sua fragilità al mondo intero dopo l’errore commesso nel giro di formazione del suo primo GP.
Quando ci ha raggiunto nel dehor dell’hospitality della Racing Bulls a Melbourne, la prima cosa che ci ha colpito di Hadjar è la sua timidezza. Ci è voluto un paio di domande prima che si sciogliesse, cominciando a raccontare il percorso che lo ha portato in F1. “Mi sono appassionato alle corse grazie al film Cars. Mio padre, poi, guardava la Formula 1 in TV, e volevo emulare i piloti”: così ha spiegato la miccia che avrebbe portato, molti anni dopo, all’esplosione della sua carriera, con l'aiuto cruciale della sua famiglia.
“Il loro supporto è stato fondamentale. Trovare il budget per correre ed essere competitivi è stato molto difficile. Mia madre è stata la figura chiave, ha fatto di tutto perché potessi correre. Mio padre era il mio meccanico nei primi tempi nei go-kart. Di quel periodo conserviamo sia ricordi positivi che negativi. Se sono arrivato in F1, comunque, lo devo a mia madre. Lei è molto orgogliosa di quello che sono riuscito a raggiungere”.
La vera svolta, quella destinata a portarlo dritto in Formula 1, arrivò nel 2021 a Monaco. “Vinsi e lo stesso giorno firmai con la Red Bull. Fu il giorno più speciale della mia carriera. In quel momento non sapevo quale sarebbe stato il mio futuro, in che direzione stavo procedendo. Non avevo piani. Sarebbe stato persino difficile concludere quella stessa stagione. Poi arrivò la Red Bull, che mi diede un percorso, una struttura. Fece una differenza immensa”. Isack, però, non ha mai mollato, nemmeno quando il futuro era incerto.
“Non ho mai pensato di non poter continuare – ha sottolineato con una certa fierezza, con la sua timidezza iniziale ormai messa da parte -. Ogni volta che scendevo in pista, avevo solo un obiettivo in mente, dimostrare a tutti quanto valevo. E alla fine ci sono riuscito. Ho deciso di concentrarmi su quello che potevo davvero controllare. All’epoca avevo 16 anni, e non mi rendevo conto di quello che stava accadendo. Ma col senno del poi, avevo un muro davanti che sembrava insormontabile. E la Red Bull lo ha abbattuto”.
Il programma giovani della Red Bull vede una competizione spietata e una grande pressione. Ma Hadjar non sembra aver vissuto con difficoltà la sua scalata verso la F1. “Devo dire che finora sono stato trattato molto bene. Mi ricordo la prima stagione come membro del Junior Team, in Formula 3. Disputai un ottimo campionato, e passai in Formula 2, dove vissi la stagione più difficile. Ho avuto dei momenti complicati con Helmut (Marko, il superconsulente della Red Bull, ndr), ovviamente. Ma mi diedero una seconda occasione, perché vedevano il mio potenziale. La fiducia fu ripagata, vista la mia grande stagione lo scorso anno con la Campos”.
Con Marko “non parliamo spesso, ma abbiamo un rapporto sano e onesto”, ha raccontato Hadjar. “Andiamo d’accordo. Ha un gran senso dell’umorismo. È una persona piacevole, specialmente quando performi bene”, osservava giorni prima che Marko definisse “imbarazzanti” le sue lacrime versate dopo l’errore nel giro di formazione. Uno sbaglio, questo, che, ironia della sorte, lo accomuna a una leggenda del motorsport cui è stato paragonato dalla stampa francese.
Lo chiamano “le petit Prost”, il piccolo Prost, Hadjar. Ma lui Alain lo ha conosciuto? “L’ho incontrato un paio di volte, ma non ho mai avuto il privilegio di parlargli a quattr’occhi. Direi che in comune abbiamo l’approccio intellettuale alla guida. C’è chi dice che gli somiglio, che ho lo stesso viso, la stessa voce. Non saprei”. Forse è proprio questa sua razionalità ad averlo aiutato a mettere in prospettiva le dichiarazioni rilasciate dopo il suo errore da Marko, con cui, Isack ha spiegato a Shanghai, ha subito chiarito.
Ma qual è stato l’aspetto più complesso dell’adattamento alla F1 per Isack? ”La macchina. Quanto è veloce. Al resto ci si abitua, è la parte più semplice. Le monoposto di Formula 1 sono avanti anni luce rispetto a una F2. È stato scioccante rendersi conto quanto fosse rapida la prima volta che ne ho guidata una”. Forse è stato più semplice perché la sua generazione è maggiormente preparata al salto alla F1? “Tutto evolve, nel tempo. E credo che si vada a ondate. Ci sono generazioni più forti delle altre, forse. Succede. Penso sia quello che sta accadendo quest’anno”.
Come per tutti i piloti della galassia della Red Bull, il punto di riferimento di Hadjar è Max Verstappen. “Vorrei emulare il modo in cui gestisce tutto, ancora prima di vincere quanto e come lui. Bisogna essere realistici, ora come ora se fossi il compagno di squadra di Max non lo batterei. Altrimenti ci sarebbe un problema, no? Ma il mio vero obiettivo, il motivo per cui sono in Formula 1, è dimostrare a me stesso di poter essere il migliore. Il sogno sarebbe confrontarmi ad armi pari con il miglior pilota in assoluto e batterlo. Le statistiche e il resto non mi importano. È una questione di soddisfazione personale”.
Cercherà di farsi strada in Formula 1 come i suoi due grandi miti, Ayrton Senna e Lewis Hamilton. “Non lo conosco bene – ci ha raccontato di Hamilton - l’ho visto poche volte e non abbiamo approfondito il nostro rapporto. Ma succederà, ora che sono in F1. Avrò più tempo per conoscerlo. Essere in pista con lui è surreale, comunque”. Non avrebbe potuto immaginarsi, in quella giornata di fine estate a Melbourne, che un errore lo avrebbe subito avvicinato all’idolo che seguiva in televisione accanto al padre nelle sue domeniche di bambino.